GIOVANNI MAZZILLO
INTRODUZIONE al libro “Chiesa e
lotta alla ‘Ndrangheta”
Il presente libro raccoglie le
lezioni tenute a Lamezia nell’anno accademico 2014/2015 sull’impegnativo
argomento che compare nel titolo. Promotrice dell’iniziativa è stata la Conferenza
Episcopale Calabra, che in diverse occasioni aveva manifestato la sua
determinazione a che l’argomento facesse parte dell’iter formativo dei
candidati al presbiterato dell’intera Calabria.
Su tale
specifico argomento, non erano mancate proposte, in diverse sedute della stessa
Conferenza, ad alcune delle quali ero
stato invitato a partecipare come Direttore, all’epoca, dell’Istituto Teologico
Calabro e come si evince dai comunicati finali delle stesse assemblee. A premere per una serie di interventi mirati a
un’adeguata preparazione per la conoscenza e la conseguente lotta alla
delinquenza organizzata e più specificatamente alla ‘ndrangheta erano i noti
episodi di recente utilizzo delle feste patronali da parte di ambienti
malavitosi e l’ormai divenuta celebre netta condanna, fino alla scomunica, della mafia da parte di
Papa Francesco a Sibari il 21 Giugno 2014[1].
Il corso ha
così avuto luogo, in maniera residenziale, a Lamezia Terme, al fine di
facilitare la presenza degli studenti dei diversi Istituti Teologi della
regione, e in lezioni compatte tenute nell’arco dell’intero pomeriggio del
Venerdì e del mattino del Sabato
successivo. Ha avuto come docenti alcuni esperti nella materia e dei quali compaiono qui gli
articoli.
Il nostro contributo
mirava ad offrire un’introduzione generale alla vasta e complessa tematica,
facendo notare, da un lato, l’urgenza dell’impegno nella lotta contro la
‘ndrangheta e, dall’altro, il ruolo trainante che può avere l’evangelizzazione
per la nostra realtà calabrese: come annuncio profetico nella concretezza del
vissuto quotidiano e in vista di un radicale cambiamento delle situazioni di
partenza.
Lo
riproduciamo qui di seguito, tenendo anche conto dell’ulteriore sviluppo che esso
ha avuto nell’ambito del convegno organizzato dalla Pontificia Facoltà
Teologica del’Italia Meridionale, della quale il nostro Istituto catanzarese è
parte integrante, come Istituto aggregato.
L’intero
corso ha avuto un suo sviluppo, che qui viene dipanato attraverso i diversi interventi.
Per la nostra introduzione prendiamo l’avvio dal libro del 1992, intitolato Chiesa e lotta alla mafia[2], contenente gli atti del seminario
interdisciplinare omonimo tenuto all’università di Cosenza. Nella sua presentazione, uno dei profeti
della Chiesa universale e non solo del
Sud Italia, Mons. Antonio Bello, Vescovo di Molfetta e presidente della Pax Christi italiana, tracciava un profilo del lento
affrancamento della gente del Sud dai suoi condizionamenti storici e sociali,
per concludere con un riferimento alle
tre famose ere indicate da Gioacchino da Fiore: nel Mezzogiorno d’Italia sono
ancora presenti i segni dello stato degli schiavi, nel pur lento e
faticoso passaggio verso lo stato dei liberi e nell’anticipazione segni
premonitori della comunità degli amici.
Gli oltre
due decenni che ci separano dalla stringata, quanto suggestiva, analisi del
vescovo oggi in procinto di essere riconosciuto santo, non ne hanno alterato la
sostanza. Tanto più che le ferite ed i
condizionamenti, più che i segni, di un certo stato di asservimento della
nostra terra, che le impedisce di decollare per essere una terra completamente
libera e di uomini liberi, sono
collegati alla persistenza della brutta piaga sociale denominata ‘ndrangheta.
Questa, come fenomeno negativo, anzi esiziale, fino ad
essere denominato vero e proprio “cancro”, è stato oggetto di analisi, condanne
e provvedimenti molteplici e reiterati, anche a livello ecclesiale, a partire
dalla Lettera collettiva del 25 gennaio 1948.
Con essa i vescovi di Campania, Calabria, Puglia, Basilicata e Molise
iniziarono a sollevare il problema a livello più sistematico ed in ordine alla
situazione pastorale complessiva della realtà del Mezzogiorno come realtà che
interpellava la coscienza di quanti avevano responsabilità e potere
decisionale, sia sul piano civile sia su quello religioso. A partire pertanto
da una realtà senz’altro problematica, anche per l’oggettiva situazione di
emarginazione in cui versa, l’intero Mezzogiorno e per ciò che ci riguarda, soprattutto
la Calabria, si può dire che oggi, accanto alla maturazione civile, è da registrare anche la maturazione della coscienza
ecclesiale, che va superando le sterili lamentazioni di chi accentuava ed
accentua solo il dato negativo, mentre si va intravedendo alla lunga una
progettualità “profetica” verso un riscatto tanto della marginalità quanto della
sottomessa passività ad uno stato di fatto considerato ereditario e pertanto
immodificabile. Sicché è stato giustamente scritto che è tempo che la Calabria da periferia si trasformi in un
luogo di riscatto[3].
Se questo
può essere l’itinerario ideale, che fa da sfondo al libro e che guarda
retrospettivamente al passato e prospetticamente al futuro, qui si vogliono
indicare i momenti più salienti di tale crescita, anche per non lasciar
disperdere un patrimonio ideale che rischia di essere un’ulteriore vittima di
una situazione disgregata e notoriamente poco incline a portare ad unità i
differenti vissuti locali e gli eventi che si sono succeduti e si succedono nel
tempo.
Tra gli
interventi da non trascurare e che riaffiorano, sebbene in contesti diversi,
nei vari contributi del libro, che li riprendono dalle angolazioni delle
rispettive competenze (storica, sociologica, giuridica, pastorale) ci sono, su
un piano più generale, anniversari e ricorrenze
della lettera collettiva già citata e riguardano l’area dell’intero
Mezzogiorno. Essi preparano il documento
del 1989 specificamente da ascrivere
alla Conferenza Episcopale Italiana, che lo ha candeggiato e adottato, sebbene
le analisi e le riflessioni siano nate in
loco o da gente del luogo. Il documento porta un titolo già di per sé
programmatico: Chiesa Italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà[4]. Per restare nella nostra regione, i vescovi
calabresi hanno ovviamente fatto spesso riferimento a tale testo importante e
hanno spesso affrontato l’argomento del
sottosviluppo e del suo possibile superamento singolarmente e in maniera
collettiva, principalmente, in questo
secondo caso, negli incontri e nelle
convocazioni ecclesiali regionali.
Dando seguito al convegno nazionale della CEI,
svoltosi a Roma sul tema Evangelizzazione e promozione umana, l’episcopato calabrese, sul finire
degli anni ’70, si fece promotore di alcune convocazioni regionali, con
l’intento di declinare sul piano locale quanto era stato trattato su quello
nazionale. Su questa scia presero corpo
diversi convegni. Il primo ha avuto luogo il 1978 ed è noto come “Paola 1”,
essendo il primo dei tre tenuti nella patria del santo calabrese promotore di
santità e riscatto, che corrisponde al nome di Francesco. da Paola.
Il tema recitava: Le vie dell’evangelizzazione in Calabria per
un’autentica promozione umana[5],
con un’accentuazione particolare sui percorsi e le metodologie da seguire per
una promozione autenticamente umana. Qui il problema della malavita organizzata si affacciava,
ovviamente, come uno dei maggiori ostacoli nel conseguimento di tale obiettivo,
essendo la negazione di qualsiasi pur minimo senso di umanità, mentre si invitavano
le comunità cristiane a prenderne coscienza e a combattere tale triste ed
atavico fenomeno.
Nel
convegno di “Paola 2”, Nuova Evangelizzazione e Ministero di Liberazione[6], celebrato nel 199, compariva il promettente binomio “evangelizzazione e liberazione”, anche se
l’ampiezza dei due argomenti e la, per la verità, alquanto ossessiva
preoccupazione di scadere nel sociologismo impedirono di fatto, più che le
analisi, le necessarie decisioni collettive in una materia così importante e
impegnativa. Ci furono però
dichiarazioni nel senso di un rinnovato impegno contro la mafia e il degrado
morale, politico e sociale della Calabria.
Seguì, nel
1997, “Paola 3”, avente per tema La Calabria di fronte a Gesù Cristo Maestro
e Signore alle soglie del Terzo Millennio[7].
Il convegno,
riprendendo un’impostazione cara alla presidenza della CEI del tempo,iniziò un
processo che spingeva dal piano dell’analisi a quello della programmazione “militante”, per fronteggiare “le sfide” del tempo, sfide individuate per lo più in
quelle di natura morale: principalmente in ciò che riguarda la morale
individuale , pur non mancando riferimenti a quella di carattere sociale, e
quindi all’impegno contro mafia e ‘ndrangheta.
In questo contesto sono da leggere alcuni interventi a questo convegno
sui quali si ritornerà successivamente.
Il
successivo convegno della “Chiese calabresi” ebbe luogo a Squillace Lido nel
2001 ed ebbe come tema I cristiani laici in Calabria. Faceva riferimento all’avvertito bisogno di una maturazione del laicato e riprendeva
il tema trattato da Giovanni Paolo II, nella Christifideles laici (Esortazione apostolica post-sinodale)
del 30 Dicembre 1988. In tale contesto riaffiora anche qui la necessità dell’impegno dei laici e dell’intera
Chiesa calabrese contro il degrado e di
conseguenza contro la malavita
organizzata. Tuttavia non è difficile condividere l’impressione che l’asse del
convegno sembra da ora in poi essersi spostato più sulla comunione, come
preoccupazione emergente complessiva, che sulla profezia. E ciò riceve conferma
anche e soprattutto nel successivo convegno ecclesiale del 2009, tenuto a Le
Castella e convocato all’insegna del tema: La
comunione nella Chiesa è speranza per la gente di Calabria. Il convegno non
ignora comunque il rinnovato appello all’impegno nella lotta contro mafia e
‘ndrangheta, come dimostra l’invito al convegno di Pino Masciari, testimone
di giustizia sotto scorta per la sua denuncia contro le cosche che gli avevano
chiesto il pizzo. La sua scelta, che gli ha aveva certamente cambiato la vita,
non poteva non essere applaudita e condivisa al V convegno calabrese, anche se
non impediva a qualcuno di sollevare la provocatoria domanda: La Chiesa è
vittima o carnefice della ‘ndrangheta in Calabria?”[8].
Restando sul piano della riflessione ecclesiale
sul nostro argomento, sono ancora da menzionare 2 settimane sociali in Calabria. La prima, che
ha avuto luogo il 2006 a
Valentia
Marina, coinvolgeva solo le Chiese calabresi; la seconda, pur avendo luogo a
Reggio Calabria, era la 46a
settimana sociale nazionale, ma essendo celebrata in terra calabra, ha toccato anche il
problema della “questione meridionale” e della ‘ndrangheta che ne è certamente
concausa e caratteristica particolarmente odiosa e aggravante.
A Vibo Valentia Marina, la settimana sociale
regionale si apriva con il titolo impegnativo tanto sul piano teologico quanto
su quello politico: Cristo nostra
speranza in Calabria. Testimoni di corresponsabilità per servire questa terra
su strade di liberazione[9].
Rileggendo gli Atti, appare altrettanto coraggiosa una sorta di
valutazione critica, che spesso è mancata,
sul tratto di cammino precorso, sugli impegni presi e sulle necessarie
verifiche sulla loro attuazione, al punto di dichiarare, anche in presenza della
mole dei documenti prodotti in materia:
«Quanta
lungimirante attenzione, in quei documenti. Quanta lucidità analitica, quanta
intensità propositiva. Eppure non possiamo non chiederci in che misura alla
luminosità delle parole sia poi seguita la coerenza dei comportamenti e delle
scelte, non possiamo non chiederci quanti passi avanti abbia effettivamente
compiuto la nostra terra sulle auspicate strade di liberazione»[10].
Sembra
comunque di grande importanza la ricomparsa della liberazione e del servizio come
conseguenze di un annuncio declinato e da declinare come testimonianza e
pertanto come annuncio profetico. Tutto ciò a fronte di quella sfida diventata
quotidianità drammatica, che in Calabria si chiama ‘ndrangheta, come
commistione funesta di delinquenza
organizzata e di corruzione, concrezione
violenta del male come peccato e come conseguenza e concausa di potere
familistico e clientelare. Insomma una vera devastazione culturale, oltre che
spirituale, perché vera e propria devastazione di identità, surrogata in
maniera blasfema da una sedicente
religiosità, che è della stessa natura di chiunque invochi Dio come motivo o
fondamento di una violenza di comodo[11]. A questo primo enorme problema di assurda coesistenza
nella mentalità ‘ndranghetista di religiosità e violenza gratuita e
spietata, di vessazioni e soprusi come
pratica abituale, si accompagna il
problema di chi vede tutto ciò e lo subisce e tuttavia talora lo “comprende” e
perfino lo giustifica.
A questo
riguardo, non possiamo che ripeterci,
riproponendo quanto asserito a “Paola 3” in una relazione che ci fu affidata
per l’occasione:
« Il
popolo di Dio …. canta e prega, con preghiere antiche e con richieste
impellenti di aiuto. …[Ma] per riprendere la nostra immagine di fondo, il
nostro popolo appare talvolta incantato dalle voci delle sirene del momento
storico in cui viviamo, ed è distolto, almeno in parte, dall’ascolto della
Parola che veramente conta, perché dà importanza eccessiva a quelle parole
umane … che hanno ancora troppo peso
sulla bilancia dei suoi problemi e dei suoi crucci»[12].
Affiora la
stessa domanda: «Ma perché tutto ciò si perpetua e non è avvertito come
contraddizione stridente, se non soltanto in alcune élites?». Non abbiamo
trovato nel frattempo risposte diverse da quelle di allora:
«Pur proteso ad
ascoltare l’unico Signore, [il popolo di Dio] in parte reagisce con generosità
e dignità, in parte ancora si ferma ad ascoltare … gli ordini di altri signori.
… i signori della ‘ndrangheta,
a quelle delle estorsioni... Ma ci riferiamo anche alle altre signorie o
baronie, da quelle civili a quelle talora sacrali di personaggi intoccabili.
Tra “il Signore Dio e gli altri signori”[13] in molti casi sembra che non si compia una
scelta netta e decisa. Una scelta irreversibile. [ E tuttavia] … a noi tutti il
Maestro restituisce la capacità di udire e di parlare, ma proclama anche:
“Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà
l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona”» (Mt 6,24)[14].
Non è
possibile alcun riscatto? Nessuna capacità di realizzare una liberazione? Una liberazione dalla ‘ndrangheta e dal malaffare e, ciò che
più conta, dall’interiorizzazione del proprio asservimento, fino a pensare,
rasentando l’inferno, che non si riesca più nemmeno a fare a meno del proprio
stato di asservimento?[15]
In realtà,
solo una reale conversione alla Parola liberante di Dio consente
l’affrancamento dalla’interiorizzazione delle proprie catene. A tale
conversione, come processo globale che considera il peccato in tutte le sue
dimensioni e così anche la relativa conversione al Cristo che «ci ha liberati
perché restassimo liberi» (Gal 5,1) fanno appello non pochi documenti, incluso
quello già citato Chiesa italiana e Mezzogiorno. Anche nel loro
ministero diocesano i vescovi calabresi, sebbene con altre parole e in contesti
diversi, sembrano avere come finalità un riscatto morale globale. Ci sembra sia
necessario insistervi ulteriormente, perché divenga lampante, come lo è stato
nel messaggio di Papa Francesco a Sibari, e sia lampante per tutti, in ogni
chiesa e in ogni cappella, dai duomi diocesani ai santuari mariani più remoti,
in ogni celebrazione, da quella eucaristica al semplice segnarsi con il segno
di croce, che la liberazione morale è anche liberazione strutturale, tanto che
non si può separare l’annuncio del Vangelo dal rifiuto, fino alla lotta, pur
sempre nonviolenta, alla delinquenza
organizzata.
Del
resto è questo il significato più autentico della liberazione e della relativa “Teologia della liberazione”[16],
valida certamente anche nel nostro caso, pur con i dovuti aggiustamenti
richiesti dalla nostra situazione locale.
Ci troviamo anche noi, senza alcun dubbio, in effettive condizioni oppressive
ed opprimenti dovute alla presenza, alla pervasività e alla resistenza
della ‘ndrangheta, sicché si richiede
un’effettiva costruzione della giustizia, attraverso un percorso che inglobi
strutturalmente l’informazione, la formazione alla resistenza al male con il
bene e la nonviolenza attiva. Si richiede
l’attivazione il potenziamento di processi virtuosi già in atto, per una
liberazione dalle strutture oppressive esteriori ed interiori, per forme
costruttive di socialità e di solidarietà, veri laboratori di speranza e di
fiducia: una fiducia che è urgente ed indispensabile anche nelle nostre
capacità rigenerative, come abbiamo avuto già modo di dire altrove[17].
La sintesi di questo percorso può essere ancora
validamente espressa nella frase «Contro l'ingiustizia, denuncia,
lotta e competenza»[18], riprendendo un trinomio risalente a Mons.
Antonio Bello e ricorrente, sebbene con alcune varianti anche in un altro Vescovo impegnato nel Sud, Mons.
Giancarlo Bregantini, alla cui intraprendenza e incoraggiamento sono da ricondurre
alcuni segnali di speranza tuttora presenti nel nostro territorio nella Locride
e altrove. In questi due vescovi, come
in altri che lo hanno ripreso, il programma passa attraverso l’annuncio, la
denuncia e la rinuncia: annuncio del
Vangelo liberante da ogni forma di oppressione a danno degli uomini e
particolarmente dei più indifesi, denuncia
del male nelle sue forme concrete e reali, rinuncia
a privilegi e ogni ricerca di ricchezza e di agiatezza, specie se ciò dovesse
avvenire a discapito di altri[19].
Sono linee programmatiche in piena sintonia con
interventi a livello interregionale o nazionale, come il già citato «Per un
Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno», in cui sono indicate vie
similari per il riscatto del Sud, che riprendono e incoraggiano quanto in
Calabria la locale
Conferenza Episcopale ha additato come dovere di reagire contro mafia e «mafiosità». Qui la ‘ndrangheta
è tra le righe di quel triste fenomeno che «si insinua tra le pieghe delle
istituzioni, diventa facile accomodamento, addirittura in certi casi si
trasforma in comoda autogiustificazione (poiché c’è la mafia, è inutile
operare, inutile investire, inutile cambiare e vano è restare per cambiare la
nostra terra!)»[20].
Su questa
scia, è da segnalare la «Nota
della Conferenza Episcopale Calabra»
del 2007, dal titolo «Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo»[21]. Nell’efficace sintesi di Giovanni Lucà[22], la ’ndrangheta
è immediatamente stigmatizzata come
“armata del diavolo” , perché fenomeno «nemico
del vangelo e della comunità umana»,
con il conseguente appello dei vescovi
calabresi a tutte le componenti
ecclesiali e a tutte le forze sociali a quell’impegno che altro non è, come
nella migliore teologia della liberazione,
che cooperazione all’opera di Cristo e della Chiesa nell’opera di
redenzione e di salvezza del mondo. Ciò comporta una lotta nel quotidiano e nell’ordinario,
con la forza della fede, contro le armate del diavolo, per spezzarne le catene
che si chiamano peccato sociale e strutturale.
La ‘ndrangheta è una struttura che con l’estensione della sua illegalità
riesce a anche a coprire il bene e la solidarietà, la condivisione e i
numerosi segni di speranza presenti e
operativi in Calabria. A fronte di tutto
ciò occorre, a maggior ragione «annunciare
il vangelo della vita nella nostra terra per un futuro di giustizia e carità», come recita il sottotitolo della
stessa nota. Infatti l’annuncio della
“Verità del Vangelo” qui comporta che si sconfiggano tutte le mafie, perché
«le mafie, di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa,
sono nemiche del presente e dell’avvenire della nostra Calabria … del Vangelo e
della comunità umana». Occorre pertanto
reagire con «modelli culturali alternativi» e curando, contemporaneamente, una
«rigenerazione delle coscienze»,
perché le comunità cristiane
«corrono il rischio d’una dissociazione tra la fede professata e l’etica che ne
deriva», avendo, di fatto, comportamenti
compromissori che contraddicono la verità del Vangelo.
Una nota successiva
della Conferenza Episcopale Calabra, pubblicata nel 2014, dal titolo
«Testimoniare la verità del Vangelo. Nota Pastorale sulla ’ndrangheta»
si presenta in nome e in forza della
“Chiesa esperta in umanità” e analizza
il fenomeno della delinquenza organizzata estendendo la diagnosi ai rapporti
tra Chiesa e istituzioni civili[23].
Il testo si propone come una più accurata sintonia con le parole di pesante
condanna di tutte le mafie che vennero già da Papa Giovanni Paolo II in Sicilia
e che sono state ribadite, fino alla citata scomunica ai mafiosi, da parte di
Papa Francesco. Nella nota non manca l’invito alla conversione, alla
costruzione della società e alla collaborazione all’interno della stessa
Chiesa, motivando ogni intervento in tal senso in nome del Vangelo e del suo
carattere vincolante per ogni comunità ecclesiale.
I vescovi
calabresi infatti scrivono fin dall’inizio:
«Il nostro
intento, in questa Nota Pastorale, non è di leggere il Vangelo alla luce delle
situazioni difficili e, per certi versi, drammatiche di questa Terra: ma, al
contrario, di leggere queste situazioni alla luce del Vangelo»[24].
Ciò
significa un impegno ben superiore a quello di voler “adattare” il Vangelo alle “situazioni
concrete”. Si tratta qui di
«lottare per
accompagnare e condurre, con atteggiamenti di misericordia e di chiarezza
insieme, la vita concreta della gente di Calabria verso le altezze dell’eterno
Vangelo, convinti che la Misericordia non possa essere mai disgiunta dalla
Verità, né la Verità dalla Misericordia, “vivendo secondo la verità nella
carità” (Ef 4,15)»[25].
Se questo è
il contesto teologico pastorale complessivo,
si è posto tuttavia, da molti anni a questa parte, il bisogno di un
direttorio operativo, per intervenire in casi specifici, soprattutto in ordine
alle più volte denunziate commistioni tra pietà polare e organizzazioni
mafiose. Si è arrivati alla fine a un
testo pastoralmente impegnativo e
concreto, il Documento della
Conferenza Episcopale Calabra, «Per una Nuova Evangelizzazione della pietà
popolare»[26].
Il testo,
datato 30 Giugno 2015, come si dichiara nella sua presentazione, non è un
Direttorio vero e proprio, ma prescrive le linee-guida da seguire per i futuri
provvedimenti delle singole diocesi, linee comunque impegnative per tutti,
riguardo alla pietà popolare «
al fine di purificarne ogni aspetto; e al fine di offrire al popolo di Dio - e
a chiunque vi si accosti - il mirabile esempio di una fede, che affonda le
radici nella storia e tocca insieme il cuore della gente di oggi»[27].
Dopo le
precisioni iniziali del I capitolo, su valori e rischi insiti nella pietà
popolare, si affrontano, nel II
capitolo, i casi specifici del battesimo e della cresima, in merito, tra
l’altro ai padrini, dai quali sono tassativamente esclusi i mafiosi:
«Nr. 11 …. A persone
condannate dal competente organo giudiziario dello Stato con sentenza
definitiva per reati di ‘ndrangheta e simili, o che risultino affiliate, o
comunque contigue, ad associazioni ‘ndranghetiste e, con il loro operato o
connivenza, siano strumenti per la loro affermazione sul territorio, non va
perciò rilasciato dalle autorità ecclesiastiche il permesso di fungere da
padrino o madrina nelle celebrazioni dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana»
(Ivi, n. 11).
Dopo la
precisazione che il criterio della testimonianza cristiana vale anche nella
designazione dei testimoni di nozze, si affronta il caso delle esequie, senza
volerle del tutto negare ai mafiosi stessi, per la considerazione della
misericordia di Dio verso i peccatori, i quali si possono pentire anche in fin
di vita e per il fatto che tale liturgia non è celebrazione di un vivente, ma
il suo ultimo affidamento a Dio «giudice giusto e misericordioso»:
«Pertanto, anche nel caso di persone condannate per reati di
mafia, se non c’è stato un loro precedente espresso rifiuto della celebrazione
religiosa, la Chiesa concede anche ad essi il conforto delle esequie religiose,
ma in forma semplice, senza segni di pomposità, di fiori, canti, musiche e
commemorazioni».
Altro
discorso è quello fatto al III capitolo
per le «feste e processioni», dove si prescrive un’accurata vigilanza
sui «comitati per le feste», con tutti
gli adempimenti già previsti, inclusa la previa approvazione della competente
curia diocesana dei programmi, mentre si precisa che di tale comitati
«… possono
far parte esclusivamente fedeli del territorio parrocchiale, stimati per
l’ordinaria e riconosciuta condotta di vita di fede, sempre attivi nella
collaborazione pastorale (e non soltanto in coincidenza con la festa), mentre
devono restarne del tutto esclusi i soggetti con problemi penali, civili,
tributari e amministrativi e che siano stati dichiarati colpevoli da sentenze
passate in giudicato» (ivi,
nr. 17).
Ciò è
richiesto dall’effettiva coerenza della vita con ciò che si celebra, ma anche al fine di evitare che proprio le
feste rafforzino e ostentino il valore di personaggi loschi quanto mafiosi:
«Pertanto, a tali persone si vieti
la partecipazione attiva alle feste religiose popolari della Comunità,
soprattutto nella fase della programmazione e della gestione economica,
valutando attentamente e operando un sano ed oculato discernimento, perché
tutte le manifestazioni genuine di pietà popolare (soprattutto processioni e
feste) non diventino mai appannaggio delle famiglie ‘ndranghetiste del luogo,
che mirerebbero soltanto a favorire la loro esteriore rispettabilità o, ancor
peggio, i loro interessi economici e di potere» (ivi, 19).
Al seguito di tali direttive, si prende
posizione netta contro le infiltrazioni di uomini della ‘ndrangheta anche per ciò che riguarda lo svolgimento delle
processioni, il loro percorso , le soste delle statue e i loro portatori. Su
questi si prescrive in particolare:
«Non sono ammesse persone aderenti ad Associazioni condannate
dalla Chiesa, o che siano sotto processo per associazione mafiosa, o che siano
incorse in condanna definitiva per mafia, senza prima aver dato chiari segni
pubblici di pentimento e di ravvedimento; − le statue del
Cristo, della Vergine o dei Santi, anche nei momenti di sosta, non devono mai
“guardare” case, persone, edifici, ad eccezione di ospedali e case di cura con
degenti parrocchiani» (ivi,
nr. 24)
È inoltre «tassativamente proibita
la raccolta di offerte in denaro e in altri beni materiali, né vanno appesi alla statue banconote
o oggetti preziosi», così come sono vietate soste con le statue per assistere a
danze o spettacoli o a spari pirotecnici (ivi).
L’ultimo capitolo, il IV, riprende il tema della conversione e della
formazione alla resistenza e alla lotta contro la mafia e la mafiosità,
disegnando i «Percorsi Pastorali
per una “nuova Evangelizzazione” della pietà popolare», con la sottolineatura,
anche alla luce dell’esperienza ormai acquisita, che «senza un reale e pubblico cambiamento, senza una vera e propria presa di distanza
dalla vita vissuta, fino a quel giorno, nel male, non
si può parlare di pentimento e di conversione dei mafiosi» (ivi, 26).
Si tratta
di una base normativa che fa seguito a molte altre indicazioni e prescrizioni
tanto a livello più generale, come abbiamo avuto modo di vedere, quanto a
livello diocesano, in sinodi, lettere pastorali ecc.
In qualche
diocesi, come in quella di Oppido Palmi,
dove inizialmente il vescovo locale aveva sospeso tutte le processioni,
per le quali si era sospettato
l’inquinamento ‘ndranchetista, anche
per il un caso di “inchino” di una statua davanti all’abitazione di un malavitoso, si è successivamente pubblicata
la «Guida per le celebrazioni, i pii esercizii e le processioni della Settimana
Santa»[28]. Il testo, che passa in rassegna i
giorni liturgici che rimandano al mistero della passione, morte e risurrezione
di Gesù, ne ribadisce l’importanza e mette in guardia contro esagerazioni e
degenerazioni popolari ancora in vigore, vietandole per l’avvenire, mentre
prende le distanze e invita a fare altrettanto da ogni forma di inquinamento ‘ndranchetista. Ci sembra utile
riportare quasi interamente la «Normativa generale sullo svolgimento delle
processioni», che fa capire meglio di ogni altro discorso lo spirito e la
finalità di tutto il documento:
«1. le
processioni non devono durare più
di due ore;
2. è severamente proibita ogni
forma di raccolta di denaro;
3. il percorso della
processione e le eventuali soste
siano precedentemente programmate dal Parroco
insieme al Consiglio Pastorale Parrocchiale;
4. i portatori delle
Statue, a motivo del servizio che rendono alla pietà popolare, sotto la diretta
responsabilità del Parroco, siano scelti tra i fedeli di
provata testimonianza cristiana che abitualmente frequentano i
Sacramenti e la Messa domenicale nonché la vita della Comunità Parrocchiale» (ivi,
nr. 43).
Anche tali
norme, mentre confermano l’indirizzo precedente che dichiara la totale
incompatibilità della ‘ndrangheta con
la fede e soprattutto la prassi
della fede cristiana, vengono finalmente
incontro a quell’impellente bisogno
di progettualità fattuale dai più
invocato. Sono anche l’occasione, e ne offrono un inizio promettente, per quelle necessarie, effettive verifiche
sul piano pastorale, disciplinare e istituzionale di ciò che da tempo è stato
prodotto a livello letterario. A noi
sembra che tutto ciò possa e debba procedere di pari passo con la revisione e
il cambiamento di quelli che sono stati
chiamati i “modelli di Chiesa” ancora in auge, tanto nella mente quanto
nella prassi di molti cristiani, in molti luoghi[29].
Si tratta di modalità di intendere il proprio rapporto con Dio, con i Santi,
con le celebrazioni e pertanto con la vita, con la responsabilità sociale e
civile. Sono modalità di vivere e di
intendere e sono connessi a modelli culturali e antropologici ancora vigenti, ma richiedono quel mutamento
di concezione generale sia della Chiesa sia dell’appartenenza ad essa, mutamento
voluto dal Vaticano II. Mentre è
innegabile che il dettato di tale Concilio sia stato generalmente recepito
nella liturgia, almeno per le forme celebrative nella lingua del popolo, rimane
da verificare quanto sia entrato nel vissuto ecclesiale, quotidiano e
straordinario (feste ricorrenze ecc.).
Si ha l’impressione che accanto ai documenti prodotti e al cammino
lodevole in molti campi da parte di alcuni elementi laicali, i modelli
ecclesiali si ispirino abbastanza spesso ad una visione sacrale o
semplicemente spiritualistica, che non vanno
certamente verso la realizzazione storica né verso le dovute decisioni operative e pastorali di quanto è tuttavia chiaro e già
sufficientemente consolidato a livello dottrinale. Eppure se ne avverte un gran bisogno, mentre
da alcuni ambienti più impegnati vengono già i segni premonitori di come vivere
la fede e la propria appartenenza cristiana in una sua ri-comprensione
profetica e testimoniale. Il vissuto
delle comunità ecclesiali calabresi può davvero cambiare, ed in parte ha già
iniziato a cambiare, assecondando e moltiplicando quei segni di speranza che
sono per adesso una costellazione non con moltissime stelle e tuttavia
sufficienti ad indicare la rotta da percorrere[30].
Non mi
resta che augurare “buona lettura”, sebbene i testi siano ben altro che “divertenti”.
Sono impegnativi e cercano di essere liberanti. Impegnativi perché nascono in genere da un ingaggio reale degli autori
nella lotta contro la ‘ndrangheta e
perché sollecitano e motivano un impegno non eludibile né procrastinabile anche
da parte di voi “lettori”. Sono liberanti: espressione di una superiore libertà
dello spirito, che attinge all’esperienza redentiva di Cristo le varie forme e la forza necessaria per una liberazione
da realizzare nella nostra storia locale; tendono a liberare totalmente e
definitivamente da fardelli sacrali e sacralizzanti, purtroppo talvolta in
commistione con il fenomeno considerato.
Sono infine
testi che sembrano essere coerenti, o
almeno tendono alla coerenza: coerenti con la Parola di Dio, su cui interviene
a mo’ di intonazione il primo
contributo, quello di don Serafino Parisi, vicedirettore del nostro Istituto Teologico
all’epoca della realizzazione del corso. Sullo stesso, sempre necessario, richiamo alle
esigenze primarie della Parola di Dio ritornano
anche gli altri autori, ogni qualvolta
il discorso mette a fuoco i motivi e gli approdi ultimi di quanto affermato.
Agli altri approcci abbiamo già accennato. Ai vescovi calabresi che hanno voluto e
sostenuto l’intero progetto del corso,in particolare a Mons. Luigi Cantafora,
Moderatore del nostro Istituto, che ci ha ospitato nella sua Diocesi, al
segretario dello stesso Istituto, Mimmo Maressa, che ne ha curato la logistica
e a tutti i docenti e agli estensori dei
testi, in primo luogo a don Serafino Parisi, che si è sobbarcato tutto il
lavoro redazionale, va il più vivo ringraziamento.
BIBLIOGRAFIA
ESSENZIALE
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[1] Cf https://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2014/documents/papa-francesco_20140621_cassano-omelia.html.
[2]Cf A. Bello, P. Fantozzi, G. Mazzillo, Chiesa
e lotta alla mafia Molfetta [Bari] : La Meridiana, 1992. Il mio testo è
leggibile anche da: www.puntopace.net/Mazzillo/modelli-ecclesiologici-e-mafia.htm.
[3] Cf A. Vetere,
La Calabria: da periferia a luogo di
riscatto, Cittàcalabria edizioni, Soveria Mannelli 2015, 23.
[4] Chiesa e Mezzogiorno (1989): ECEI 4/1919-1981.
[5] Le vie dell'evangelizzazione in
Calabria: per un'autentica promozione umana. Atti del Convegno
regionale ecclesiale, Paola 28-10/1-11-1978, Edizioni
Dehoniane, Napoli 1980.
[6] Nuova Evangelizzazione e Ministero di
Liberazione, Atti del 2° Convegno Ecclesiale Regionale. Paola 29 ottobre-1°
novembre 1991, Editoriale Progetto 2000, Cosenza 1991.
[7] Conferenza Episcopale Calabra, La Calabria di fronte a Gesù Cristo Maestro
e Signore alle soglie del Terzo Millennio, Atti del 3° Convegno Ecclesiale
Regionale, Paola 29 ottobre-1 novembre 1997, Editoriale Progetto 2000, Cosenza
1999.
[8] Cosi Enzo
Romeo, caporedattore del tg2.
[9] Conferenza Episcopale Calabra, Cristo nostra
speranza in Calabria. Testimoni di corresponsabilità per servire questa terra
su strade di liberazione. Atti della Settimana sociale delle Chiese
di Calabria, Vibo Valentia Marina, 3-5 marzo 2006, Mesiano di Filandari (VV)
2007.
[10] Cristo nostra speranza, Atti, 64 ss.
[11] Cf G. Mazzillo,
«Cultura
mafiosa: rassegnarsi o reagire?» (Locri il 25.3.1991), leggibile
anche da www.puntopace.net/Mazzillo/contromafia-locri91.htm
.
[12] G. Mazzillo
« La Calabria e la sfida del Duemila. Contributo teologico per una lettura
della situazione pastorale del popolo di Dio in Calabria», in Conferenza
Episcopale Calabra, La Calabria di
fronte a Gesù Cristo Maestro e Signore alle soglie del Terzo Millennio.
Atti del terzo Convegno Ecclesiale Regionale. Paola 29 ottobre 1 novembre 1997,
109-134. Leggibile da www.puntopace.net/Mazzillo/relazionepaola3.htm
.
[13] Cf. V. Salvati, Il
signore Dio e gli altri signori. Dire Dio in un contesto di pace, La
Meridiana, Molfetta (BA) 1994.
[15] Su questo ultimo problema, che si potrebbe chiamare
meccanismo di interiorizzazione dell’oppressione, che spaventa, ma che non si
può evitare, se non altro per escogitare i percorsi pedagogici che mettano in
moto uno scatto di fierezza e un processo di affrancamento anche da se stessi,
cf G. Mazzillo, Teologia come prassi di pace, La
Meridiana, Molfetta (BA) 1989, pag. 43: «Storicità
liberante»:
La liberazione interviene sul piano non
solo spirituale, ma anche su quello psicologico-strutturale, nel momento in cui
non solo le catene e la prigionia hanno fiaccato e coartato la libertà, ma
l’assuefazione alle catene e l’asservimento impediscono ad uomini fisicamente
liberi di camminare e di rischiare l’avventura esaltante della libertà. Alla
scuola dell’esodo impariamo che la lotta più difficile non è quella contro il
faraone e la sua armata, contro l’oppressore e il tiranno, ma contro
l’assuefazione all’oppressione, sicché un popolo tenuto a lungo in schiavitù
sembra non sappia fare a meno delle sue catene. Restituire non solo la libertà,
ma la sete di essa, dare non solo il pane, ma la fame della giustizia è
operazione difficile, da condurre con la tenacia fedele di chi scorge continuamente l’invisibile (Eb 11,27).
L’invisibile è la rinnovata vocazione di Dio ad essere ciò a cui si è
destinati, persone libere che comunitariamente scelgono il loro cammino e
vogliono restare esseri liberi».
[16] Qui sarà utile ricordare che le remore che gravavano sull’utilizzo del
termine liberazione e della relativa locuzione “teologia della liberazione”
oggi sono definitivamente cadute. Come
si evince dal libro pubblicato
dall’attuale Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard
Ludwig Müller e – congiuntamente - dal padre storico della stessa teologia
della liberazione, Gustavo Gutiérrez,
libro intitolato Dalla parte dei
poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa[16]. Qui il
radicamento teologico del riscatto sociale, espressione della liberazione in
quanto salvezza, è totale: viene dalla
creazione dell’uomo a immago Dei, dalla redenzione di Gesù da ogni dimensione
del male e dalla realtà egalitaria di
ogni essere umano come figlio di Dio, oltre che dalle dinamiche proprie del Suo
Regno.
[17] Cf per quest’aspetto il contributo proposto
all’Università “Federico II”: G. Mazzillo «Per una comunità solidale,
laboratorio di speranza" , in G. Parnofiello
(ed.), La persona nella città Per un nuovo cammino di convivenza, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2009, 123-134.
Leggibile anche da www.puntopace.net/Mazzillo/RelazioneMazzilloNa23-04-09.pdf.
[18] Cf Adista Documenti n. 26 - 01
Aprile 2006, leggibile anche da www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=19320.
[19] Cf ivi. Indicazioni
più precise su tale programma variamente modulato sono nelle lettere pastorali
di Mons. Bregantini e, precedentemente, nei numerosi testi di Mons. A. Bello.
Ttra questi, mi sembra particolarmente efficace, anche per lo sforzo
sistematico, la sua ampiezza e concretezza, il suo progetto pastorale,
intitolato «Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi», in. A. Bello, Diari e scritti pastorali, Mezzina,
Molfetta 1993, 141-283. Per
un’applicazione più puntale alla situazione calabrese cf anche G. Mazzillo, «Per una Calabria diversa. Riferimenti
storico-ecclesiali», in La rivista
del clero italiano 68 (1987) leggibile anche da www.puntopace.net/Mazzillo/calabriadiversa-rivistacleroitaliano.htm.
[20] Citazione da un foglietto proposto a tutte le Chiese
di Calabria, in occasione della conclusione dell’anno bruniano. Il frontespizio
del foglietto è Conferenza episcopale
calabra, Lettera alle nostre Chiese di Calabria nel fascino dei
nostri santi meridionali - 6 Ottobre 2002.
[21] Cf http://www.dehoniane.it:9080/komodo/trunk/webapp/web/files/riviste/archivio/02/20083113a.htm,
leggibile anche da www.calabriaecclesia2000.it
.
[22] Cf http://www.dehoniane.it:9080/komodo/trunk/webapp/web/files/riviste/archivio/04/20074405.htm.
[24] Ivi.
[25] Ivi.
[26] Cf http://www.oppido-palmi.chiesacattolica.it/home_diocesi/in_evidenza/00023343_Il_Documento_della_CEC_Per_una_Nuova_Evangelizzazione_della_pieta_popolare.html . Il testo
si può scaricare dal link qui inserito: http://www.oppido-palmi.chiesacattolica.it/pls/oppido/v3_s2ew_consultazione.redir_allegati_doc?p_id_pagina=23343&p_id_allegato=1794&rifi=&rifp=&p_url_rimando=%2Foppido%2Fallegati%2F23343%2FCEC%20finale.pdf.
[27] Presentazione del Presidente della Conferenza
Episcopale Calabra, ivi.
[28] Cf http://www.oppido-palmi.chiesacattolica.it/home_diocesi/guida_per_le_celebrazioni__i_pii_esercizii_e_le_precessioni_della_settimana_santa/00023286_Guida_per_le_celebrazioni__i_pii_esercizii_e_le_precessioni_della_Settimana_Santa.html .
[29] Cf G. Mazzillo,
«Modelli ecclesiologici e contesto mafioso», in AA.VV., Chiesa e lotta alla mafia, a cura
dell'Osservatorio Meridionale, La Meridiana, Molfetta (BA) 1992, pp. 35-62,
leggibile anche da www.puntopace.net/Mazzillo/modelli-ecclesiologici-e-mafia.htm
.
[30] Vedi, a riguardo, l’ultima parte del citato libro di
A. Vetere, La Calabria: da periferia a luogo di riscatto, con le interviste
che arricchiscono e documentano tali segni di speranza.