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Lettera
per E-Mail N.2 (25/07/99 [cencom@libero.it])
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Dove va la tua barca |
«Il regno dei cieli è
simile a un mercante |
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DISTACCHI ED
INCONTRI
(G.
Mazzillo)
Accettare
il vuoto anziché volerlo riempire. Per riempirlo occorre far ricorso alla
nostra immaginazione. Proprio essa ci inganna e ci lascia più soli. Sicché,
in una maniera o nell'altra, occorre fronteggiare la propria solitudine.
Meglio allora il distacco e al più presto possibile...
La
prima e l'ultima parte di questo incipit
sono di Simone Weil. La parte intermedia sulla inevitabile solitudine è
invece una logica conseguenza del suo particolare modo di pensare.
L'insieme
è sembrato a me abbastanza sostenibile, anzi una sorta di risorsa - forse
l'ultima - con la quale possiamo darci almeno una ragione di quelle
particolari stagioni della vita alle quali non ci è semplicemente dato di
scampare.
A
voi tutti, carissimi amici, dedico questa riflessione, non solo per
condividere un frammento di esistenza - vi assicuro che è quello più intimo
e più personale - ma per comunicare qualcosa che ha il sapore di una
scoperta, di un “eureka” come -
esclamerebbe don Peppino (di cui poi vi racconto).
Ma
il cosiddetto distacco, parola dalle assonanze antiche, è poi praticabile? Lo
è per noi, al giorno d'oggi? Ed è proprio vero che l'immaginazione è da
fuggire come nemica? Non è forse proprio essa una risorsa o almeno talvolta
l’ultima alleata, grazie alla quale si può affrontare la navigazione
interminabile alla ricerca della perla preziosa? E quanto al distacco, se esso
volesse dire l'abbandono della volontà e persino del gusto delle cose e in
fondo del vivere, certamente sarebbe da evitare. Così almeno sembra suggerire
il pur delicato intervento di Roberta de Monticelli sull'inserto culturale di
Domenica 20.6. u.s. del Sole-24 ore
(«Dialogando con Simone Weil», p. 34).
La
commentatrice passava in rassegna alcune affermazioni cardini della Weil, la
cui paradossalità è tuttavia apparsa come l'inevitabile prezzo che bisogna
pagare allorquando si raggiungono quelle vette che sono anche gli ultimi
sprofondamenti umanamente ipotizzabili. Qui però e non altrove è da condurre
la ricerca di quella verità, la greca a-letheia,
che non può essere solo, come a qualcuno suggeriva l'etimo dell’alfa
privativa (si vedano Heidegger e altri), la fuoruscita dal fiume sempre in
piena della dimenticanza (il Lete era infatti il rivo dell’oblio). È molto
di più. Soggettivamente è avvertire che il vuoto, finalmente accettato, è
presagio promettente e accogliente di un'altra finora non ipotizzata pienezza.
Cosa sia oggettivamente, è cosa troppo complessa, anche se con tutto ciò
correlata. Ma forse affiorerà dall’insieme.
Ha
ragione Simone W.: «l'apparenza si attacca all'essere e solo il dolore può
strapparli l'uno all'altro». Le si può dar ragione solo quando «all'apparir
del vero» non si cade solamente miseri, ma proprio la caduta dà finalmente
spazio alla Grazia, che non è più impedita dalla nostra pesantezza, o ombra
che sia (si fa riferimento ovviamente all'opera di Weil L'ombra
e la grazia).
Tutto
questo che cosa richiede? Esige alcuni passaggi previ, senza dei quali anche
un pensiero sofferto, eppure liberante, come quello di Simone W., rischia di
essere sterilizzato in nome di pretese culturali o soggettive che nascono
sovente dal non essere (più) capaci di cogliere la differenza tra il vero dai
suoi cascami e di distinguere l'essere dalle sue apparenze.
Imparare
questo primo e fondamentale discernimento non è facile. E tuttavia mentre
scrivo queste annotazioni e scorgo, in questa tersa giornata d’estate, i non
lontani rilievi di Capo Palinuro, penso che almeno qui noi veniamo da una
cultura che con Parmenide, fondatore della Scuola di Elea (sorta alcune decine
di chilometri da qui), aveva già imparato e insegnato che esistono, oltre
alle opinioni fallaci, anche le apparenze e finalmente l'essere «dal cuore
che non trema».
Quello
che di nuovo e di interessante si può apprendere da Simone Weil, una dei
testimoni più profondi di questo secolo che si chiude, è che l'apparenza non
solo è mescolata all'essere, ma gli si attacca in maniera spesso
inestricabile e solo il dolore li strappa l'una dall'altro. Il dolore, non
quello cercato - sarebbe
masochismo inaccettabile - ma quello accettato
senza acredine, e che tra l’altro è accoglienza proprio sulla soglia della
propria coscienza del dolore degli altri.
La
tristissima guerra dei mesi primaverili, le rappresaglie delle settimane
scorse, le fosse comuni degli eccidi della guerra, che - come sempre - spegne
ogni residuo di pietà, sono infatti dolore vero per chi ama per davvero, sono
dolore serio per chi conosce il sapore amaro delle lacrime, amaro tanto per
gli uni che per gli altri. Lo stesso dolore, e solo esso, strappa ancora la
maschera della retorica della guerra e dei difensori dei diritti umani a part
time o a giorni alterni.
Già, il dolore. Che cos’è? È questa capacità di soffrire con gli altri la stessa capacità di separare le apparenze dall'essere, a costo di sentire il sapore amaro di un vuoto senza misura. Occorre prima o dopo accogliere questo vuoto, presagio di un'altra presenza, solo intuita, solo colta attraverso le sue tracce e allora, stranamente, ci si sente finalmente accolti. Allora si è forse alla presenza del tesoro nascosto e della perla preziosa di immenso valore. Povertà, dunque, ancora una volta. Sì, povertà come essenzialità, come recettività, per una ricchezza di una qualità ben diversa.
Un
grande maestro, Meister Eckhart appunto, nella sua La
via del distacco, [Oscar Mondadori, Milano 1955, 72]: scriveva alcuni
aforismi sull’argomento. Ve ne trascrivo un’intera pagina. Non ho saputo
resistere all’allettamento delle citazioni concatenate l’una all’altra e
che integrano e spiegano quanto detto finora.
<<202. Che noi siamo tolti a noi stessi
e posti in Dio non è difficile, giacché Dio stesso deve operare ciò in noi.
Questa è infatti un'opera divina, in cui l'uomo deve solo seguire, senza fare
resistenza: lo patisca, e lasci Dio
fare.
203. Più l'uomo è povero in ispirito, più
è distaccato e considera tutte le cose come un nulla - e più le cose gli
appartengono e sono propriamente sue.
204. Dimentica ciò che è tuo e acquisirai la
virtù.
205. Si potrebbe dire: Ebbene! Dato che sono
mie tutte le cose e io posso goderne, perché tanto penare ed essere tanto
distaccato?».
Allora io dico: «Quanto sei distaccato,
altrettanto possiedi, non di più. Ma se pensi che debbano appartenerti questi
beni, e li hai di mira, non otterrai niente. Io ho tanto quanto mi
disapproprio». E aggiungo: «Se amo il mio prossimo come me stesso».
Se mi disapproprio completamente di quel che
è mio, ho un solo e medesimo amore perfettamente uguale per tutti, ed entro
in possesso di quello che è loro»>>.
Espropriarsi
allora non per ascesi, ma per avere un solo e medesimo amore… Lasciare ogni
altra perla e qualsiasi tesoro per l’unica perla e per il solo tesoro, che
vale la pena inseguire, non dico ottenere. Arte difficile questa, eppure
indispensabile per chi non vuole fermarsi né alle apparenze e nemmeno ai
vestiboli fumogeni di una spiritualità moralistica quanto assurda. Al
contrario, chi crede ancora all’amore non potrà non avvertire la lontananza
dell’amato. Forse tenterà di colmare il suo vuoto, sebbene il segreto non
sia né di rimpiazzarlo, né di idolatrarlo in qualche oggetto che ne è il
surrogato. Il segreto è nel sapere che quel vuoto è reale e che il distacco
da lui, prima ancora che dalle cose, seppure doloroso, comporta
l’inevitabile distacco dalle cose e - oso aggiungere qualcosa di cui forse
non si è mai del tutto capaci - richiede un distacco dal nostro modo umano di
accostare le persone. Come ho trovato nel maneggevole ma intenso libro di
Giancarlo Gaeta, Religione del nostro
tempo, Edizioni e/o, Roma
1999, il comandamento biblico «Non desiderare» ha un suo valore segreto
eppure reale, quanto sconosciuto.
So
che separazione e distacco sono solo momenti funzionali, indispensabili quanto
si vuole, per avvertire ancora, finché avremo vita, il bisogno dell’amico
lontano. Forse anche per questo vi scrivo. In ogni caso siamo insieme alla
ricerca delle tracce di Colui che è presagito e desiderato nel vuoto che ci
avvolge. Le sue sono appunto tracce. Talvolta sono come le lettere minute
scritte in libri e libriccini, come quelli visti qualche settimana fa nella
biblioteca di Policastro - antica e nobile, quanto altrettanto povera e
dimenticata diocesi. Don Peppino, fedele custode di quelle tracce, ne ricava -
biblicamente - cose nuove e cose antiche. Ma soprattutto ne ricava un sorriso
discreto eppure vero, come sono talora uomini e cose, mare e montagne di
questa mia (nostra) terra che prende nome dallo stesso golfo, qui non molto
lontano da dove fu intuita e formulata per la prima volta la consistenza
dell’Essere. E questo accadde recependo ancora quel vuoto che non fa altro
che richiederlo, sebbene solo come intravedendone le impronte.
Ecco,
amici miei, quanto mi sentivo di comunicarvi oggi, dopo aver ricevuto alcune
reazioni (positive) all’iniziativa di lettere circolari che ci tengano in
contatto. Riporto ampi stralci delle e-mail
di risposta, mentre so di altri che hanno espresso apprezzamento e persino
entusiasmo per l’iniziativa. Ma questa mia conversazione, al pari di quella
fatta con alcuni di voi, ha confermato ancora una volta il bisogno di parlare
di «queste cose». Un’occasione potrà esserci offerta in un «seminario»
che penso di organizzare a Tortora, alle Sarre, nell’ultima settimana di
agosto dal 22 al 29 sul tema: «Il molo
dal quale hai preso il largo». Che cosa vuol dire? Penso di spiegarlo la
prossima volta… Intanto voi che vi leggete, con quali associazioni lo
collegate?
Un
fraterno e caro abbraccio d. Gianni MAZZILLO - 25-07-1999
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DA SAVERIO E ANNA GALLO (& figli) (Gioia del Colle - PUGLIE) [gallos@aen.ansaldo.it]
….
Siamo molto contenti del messaggio che ci hai mandato ...SULLE SUE/TUE TRACCE
che ancora una volta manifesta il desiderio e la gioia di incontrarsi (magari
anche ...per ora via mail). Effettivamente ci è sembrato di ascoltarti e la
tua riflessione iniziale ci ha ricordato l'origine del nostro volerci bene.
L'iniziativa che hai intrapreso ci piace molto e spero abbia molto seguito. Ti
siamo vicini... Nell’augurarvi ogni bene ti inviamo delle foto che abbiamo
fatto lo scorso anno quando sono stati a casa nostra le bimbe di Carla prima
d'andare su a Cuneo, ciao Anna, Saverio,
Costantino, Donato, Emanuele.
DA MARIO SPINICCI [spima@labnet.it]
Grazie per quanto hai scritto e per la tua presenza oltre e-mail. [La mia] è una prova tecnica di trasmissione un forte iniziale abbraccio da Mario Spinicci
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DA MARIA E NICOLA (CATANZARO) [nicola@toplevel.it]
…
rispondiamo in ritardo per problemi vari... Hai perfettamente ragione tu, la
posta elettronica può davvero rendere più vicino nonostante i chilometri e
gli inevitabili impegni che ci dividono... Anche noi sentiamo l'esigenza di
momenti di "alterità", sempre più assorbiti e
"ingabbiati" dalle vicende quotidiane... Le occasioni di incontro,
quando ci sono, raramente toccano "certe corde", aprono "certe
finestre"... Le "profondità" sono sempre meno raggiunte e si
finisce col vivere del "periferico"... Con molta insofferenza, che
cresce ogni giorno di più. L'insoddisfazione, il senso di ribellione per
"come vanno le cose", il sentirsi sempre più estranei rispetto a
troppe vicende (il modo di vivere i rapporti, le scorrettezze dei colleghi
ritenute "normali", una vita ecclesiale incomprensibile - o
comprensibile, ma con altre logiche, evidentemente non evangeliche -,
l'ottusità dei cittadini di questa allucinante città e..., basta!, tanto
sono cose che già conosci...). Forse ciò che scriviamo per chi non ci
conosce può sembrare la solita critica demolitrice
e, a ragione, qualcuno potrà chiedersi "ma voi cosa fate, come vivete,
che progetto di vita condividete perché il disagio diventi operatività,
segno profetico, la comunicazione dell'amore che tutto comprende e trasforma
senza mai possedere". Il nostro sentirci inadeguati rispetto a ciò che
abbiamo ricevuto da Dio, la consapevolezza di non poterci accontentare di un
vivere che non sia la realizzazione di un'esistenza cristiana coerente ci
spinge a ricercare spazi quotidiani in cui la presenza e l'ascolto dell'altro
diventi alimento e "finestra su un mondo diverso"... La
realizzazione di una "teologia dal quotidiano", dalle arrabbiature e
dai sorrisi, dai piatti da lavare e dai segni di amicizia, dagli occhi delle
nostre nipoti (inarrestabili divoratrici del tempo) supplisce, in qualche
misura, al contatto con la teologia accademica. Ma la voglia di ricominciare
è tanta... Un abbraccio Maria e
Nicola
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DA P. JOHANNES BEUTLER (GREGORIANA - ROMA)
[beutler@unigre.urbe.it]
Herzlichen Dank für Deinen
Rundbrief mit dem schönen Bild und Text zum Geben und Nehmen. Er gilt ja auch für
Dich nicht nur auf der individuellen Ebene. Ich erhielt einen schönen Rundbrief
von Pax Christi, der vom Geben und Nehmen unter den Völkern spricht. Im
Augenblick erleben wir, daß die reicheren Nationen immer stärker die
Weltherrschaft ergreifen und dabei auch keine Rücksicht mehr auf die Vereinten
Nationen nehmen. Das ist eine verhängnisvolle Entwicklung, der wir als Christen
entgegensteuern müssen.
Mitte
September [fahre ich] nach Mexiko zu einer Tagung: "Apokalypse - Ende der
Geschichte oder Christliche Utopie?", bei der ich das Einleitungsreferat
halten soll. Es geht dort um millenaristische Erwartungen von Sekten im Blick
auf 2000. Ich bin während des ganzen Sommer auch über meine römische
e-mail-Adresse erreichbar.
Herzlich, Johannes.
[TRADUZIONE]
Un
grazie di cuore per la tua circolare con la bella immagine [del pane] e con il
testo sul dare e ricevere [vedi n. 1]. Vale, sì, anche per te, ma non solo sul
piano personale. Ho ricevuto una bella lettera circolare dalla Pax Christi [s’intende
tedesca], che parla del dare e ricevere tra i popoli. Al presente sperimentiamo
che le nazioni ricche con sempre più forza arraffano il dominio del mondo senza
prendere in alcuna considerazione le Nazioni Unite. E’ uno sviluppo
inesorabile contro il quale noi da cristiani dobbiamo sterzare in senso
contrario.
A
metà settembre [faccio un viaggio] in Messico per un incontro sul tema «Apocalisse
- Fine della storia oppure utopia cristiana?». Dovrò tenervi la relazione
introduttiva. Si tratta qui di attese millenaristiche sul 2000. Durante
l’intera estate sono raggiungibile al mio indirizzo [e-mail, suindicato] di
Roma.
Cordialmente,
Johannes