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Lettera per E-Mail N.2   (25/07/99 [cencom@libero.it])

Dove va la tua barca
e per quale rotta
già stai navigando?
 Le tue perle preziose
riesci a contarle?
  Guardandoti intorno
ti sembra talora di scorgere
solo pezzi di vetro
che ti hanno ingannato,
  ed anche se brilla qualcosa
nel mucchio
  ancora va la tua barca
in cerca di perle preziose (G.M.)

 

«Il regno dei cieli è simile a un mercante
che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore, va,
vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13,45-46).

 

 

DISTACCHI ED INCONTRI

(G. Mazzillo)

Accettare il vuoto anziché volerlo riempire. Per riempirlo occorre far ricorso alla nostra immaginazione. Proprio essa ci inganna e ci lascia più soli. Sicché, in una maniera o nell'altra, occorre fronteggiare la propria solitudine. Meglio allora il distacco e al più presto possibile...

La prima e l'ultima parte di questo incipit sono di Simone Weil. La parte intermedia sulla inevitabile solitudine è invece una logica conseguenza del suo particolare modo di pensare.

L'insieme è sembrato a me abbastanza sostenibile, anzi una sorta di risorsa - forse l'ultima - con la quale possiamo darci almeno una ragione di quelle particolari stagioni della vita alle quali non ci è semplicemente dato di scampare.

A voi tutti, carissimi amici, dedico questa riflessione, non solo per condividere un frammento di esistenza - vi assicuro che è quello più intimo e più personale - ma per comunicare qualcosa che ha il sapore di una scoperta, di un “eureka” come - esclamerebbe don Peppino (di cui poi vi racconto).

Ma il cosiddetto distacco, parola dalle assonanze antiche, è poi praticabile? Lo è per noi, al giorno d'oggi? Ed è proprio vero che l'immaginazione è da fuggire come nemica? Non è forse proprio essa una risorsa o almeno talvolta l’ultima alleata, grazie alla quale si può affrontare la navigazione interminabile alla ricerca della perla preziosa? E quanto al distacco, se esso volesse dire l'abbandono della volontà e persino del gusto delle cose e in fondo del vivere, certamente sarebbe da evitare. Così almeno sembra suggerire il pur delicato intervento di Roberta de Monticelli sull'inserto culturale di Domenica 20.6. u.s. del Sole-24 ore («Dialogando con Simone Weil», p. 34).

La commentatrice passava in rassegna alcune affermazioni cardini della Weil, la cui paradossalità è tuttavia apparsa come l'inevitabile prezzo che bisogna pagare allorquando si raggiungono quelle vette che sono anche gli ultimi sprofondamenti umanamente ipotizzabili. Qui però e non altrove è da condurre la ricerca di quella verità, la greca a-letheia, che non può essere solo, come a qualcuno suggeriva l'etimo dell’alfa privativa (si vedano Heidegger e altri), la fuoruscita dal fiume sempre in piena della dimenticanza (il Lete era infatti il rivo dell’oblio). È molto di più. Soggettivamente è avvertire che il vuoto, finalmente accettato, è presagio promettente e accogliente di un'altra finora non ipotizzata pienezza. Cosa sia oggettivamente, è cosa troppo complessa, anche se con tutto ciò correlata. Ma forse affiorerà dall’insieme.

Ha ragione Simone W.: «l'apparenza si attacca all'essere e solo il dolore può strapparli l'uno all'altro». Le si può dar ragione solo quando «all'apparir del vero» non si cade solamente miseri, ma proprio la caduta dà finalmente spazio alla Grazia, che non è più impedita dalla nostra pesantezza, o ombra che sia (si fa riferimento ovviamente all'opera di Weil L'ombra e la grazia).

Tutto questo che cosa richiede? Esige alcuni passaggi previ, senza dei quali anche un pensiero sofferto, eppure liberante, come quello di Simone W., rischia di essere sterilizzato in nome di pretese culturali o soggettive che nascono sovente dal non essere (più) capaci di cogliere la differenza tra il vero dai suoi cascami e di distinguere l'essere dalle sue apparenze.

Imparare questo primo e fondamentale discernimento non è facile. E tuttavia mentre scrivo queste annotazioni e scorgo, in questa tersa giornata d’estate, i non lontani rilievi di Capo Palinuro, penso che almeno qui noi veniamo da una cultura che con Parmenide, fondatore della Scuola di Elea (sorta alcune decine di chilometri da qui), aveva già imparato e insegnato che esistono, oltre alle opinioni fallaci, anche le apparenze e finalmente l'essere «dal cuore che non trema».

Quello che di nuovo e di interessante si può apprendere da Simone Weil, una dei testimoni più profondi di questo secolo che si chiude, è che l'apparenza non solo è mescolata all'essere, ma gli si attacca in maniera spesso inestricabile e solo il dolore li strappa l'una dall'altro. Il dolore, non quello cercato -  sarebbe masochismo inaccettabile - ma quello accettato senza acredine, e che tra l’altro è accoglienza proprio sulla soglia della propria coscienza del dolore degli altri.

La tristissima guerra dei mesi primaverili, le rappresaglie delle settimane scorse, le fosse comuni degli eccidi della guerra, che - come sempre - spegne ogni residuo di pietà, sono infatti dolore vero per chi ama per davvero, sono dolore serio per chi conosce il sapore amaro delle lacrime, amaro tanto per gli uni che per gli altri. Lo stesso dolore, e solo esso, strappa ancora la maschera della retorica della guerra e dei difensori dei diritti umani a part time o a giorni alterni.

Già, il dolore. Che cos’è? È questa capacità di soffrire con gli altri la stessa capacità di separare le apparenze dall'essere, a costo di sentire il sapore amaro di un vuoto senza misura. Occorre prima o dopo accogliere questo vuoto, presagio di un'altra presenza, solo intuita, solo colta attraverso le sue tracce e allora, stranamente, ci si sente finalmente accolti. Allora si è forse alla presenza del tesoro nascosto e della perla preziosa di immenso valore. Povertà, dunque, ancora una volta. Sì, povertà come essenzialità, come recettività, per una ricchezza di una qualità ben diversa.

Un grande maestro, Meister Eckhart appunto, nella sua La via del distacco, [Oscar Mondadori, Milano 1955, 72]: scriveva alcuni aforismi sull’argomento. Ve ne trascrivo un’intera pagina. Non ho saputo resistere all’allettamento delle citazioni concatenate l’una all’altra e che integrano e spiegano quanto detto finora.

<<202. Che noi siamo tolti a noi stessi e posti in Dio non è difficile, giacché Dio stesso deve operare ciò in noi. Questa è infatti un'opera divina, in cui l'uomo deve solo seguire, senza fare resistenza: lo patisca, e lasci Dio fare.

203. Più l'uomo è povero in ispirito, più è distaccato e considera tutte le cose come un nulla - e più le cose gli appartengono e sono propriamente sue.

204. Dimentica ciò che è tuo e acquisirai la virtù.

205. Si potrebbe dire: Ebbene! Dato che sono mie tutte le cose e io posso goderne, perché tanto penare ed essere tanto distaccato?».

Allora io dico: «Quanto sei distaccato, altrettanto possiedi, non di più. Ma se pensi che debbano appartenerti questi beni, e li hai di mira, non otterrai niente. Io ho tanto quanto mi disapproprio». E aggiungo: «Se amo il mio prossimo come me stesso».

Se mi disapproprio completamente di quel che è mio, ho un solo e medesimo amore perfettamente uguale per tutti, ed entro in possesso di quello che è loro»>>.

Espropriarsi allora non per ascesi, ma per avere un solo e medesimo amore… Lasciare ogni altra perla e qualsiasi tesoro per l’unica perla e per il solo tesoro, che vale la pena inseguire, non dico ottenere. Arte difficile questa, eppure indispensabile per chi non vuole fermarsi né alle apparenze e nemmeno ai vestiboli fumogeni di una spiritualità moralistica quanto assurda. Al contrario, chi crede ancora all’amore non potrà non avvertire la lontananza dell’amato. Forse tenterà di colmare il suo vuoto, sebbene il segreto non sia né di rimpiazzarlo, né di idolatrarlo in qualche oggetto che ne è il surrogato. Il segreto è nel sapere che quel vuoto è reale e che il distacco da lui, prima ancora che dalle cose, seppure doloroso, comporta l’inevitabile distacco dalle cose e - oso aggiungere qualcosa di cui forse non si è mai del tutto capaci - richiede un distacco dal nostro modo umano di accostare le persone. Come ho trovato nel maneggevole ma intenso libro di Giancarlo Gaeta, Religione del nostro tempo, Edizioni e/o,  Roma 1999, il comandamento biblico «Non desiderare» ha un suo valore segreto eppure reale, quanto sconosciuto.

So che separazione e distacco sono solo momenti funzionali, indispensabili quanto si vuole, per avvertire ancora, finché avremo vita, il bisogno dell’amico lontano. Forse anche per questo vi scrivo. In ogni caso siamo insieme alla ricerca delle tracce di Colui che è presagito e desiderato nel vuoto che ci avvolge. Le sue sono appunto tracce. Talvolta sono come le lettere minute scritte in libri e libriccini, come quelli visti qualche settimana fa nella biblioteca di Policastro - antica e nobile, quanto altrettanto povera e dimenticata diocesi. Don Peppino, fedele custode di quelle tracce, ne ricava - biblicamente - cose nuove e cose antiche. Ma soprattutto ne ricava un sorriso discreto eppure vero, come sono talora uomini e cose, mare e montagne di questa mia (nostra) terra che prende nome dallo stesso golfo, qui non molto lontano da dove fu intuita e formulata per la prima volta la consistenza dell’Essere. E questo accadde recependo ancora quel vuoto che non fa altro che richiederlo, sebbene solo come intravedendone le impronte.

Ecco, amici miei, quanto mi sentivo di comunicarvi oggi, dopo aver ricevuto alcune reazioni (positive) all’iniziativa di lettere circolari che ci tengano in contatto. Riporto ampi stralci delle e-mail di risposta, mentre so di altri che hanno espresso apprezzamento e persino entusiasmo per l’iniziativa. Ma questa mia conversazione, al pari di quella fatta con alcuni di voi, ha confermato ancora una volta il bisogno di parlare di «queste cose». Un’occasione potrà esserci offerta in un «seminario» che penso di organizzare a Tortora, alle Sarre, nell’ultima settimana di agosto dal 22 al 29 sul tema: «Il molo dal quale hai preso il largo». Che cosa vuol dire? Penso di spiegarlo la prossima volta… Intanto voi che vi leggete, con quali associazioni lo collegate?

Un fraterno e caro abbraccio d. Gianni MAZZILLO - 25-07-1999

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DA SAVERIO E ANNA GALLO (& figli) (Gioia del Colle - PUGLIE) [gallos@aen.ansaldo.it]

…. Siamo molto contenti del messaggio che ci hai mandato ...SULLE SUE/TUE TRACCE che ancora una volta manifesta il desiderio e la gioia di incontrarsi (magari anche ...per ora via mail). Effettivamente ci è sembrato di ascoltarti e la tua riflessione iniziale ci ha ricordato l'origine del nostro volerci bene. L'iniziativa che hai intrapreso ci piace molto e spero abbia molto seguito. Ti siamo vicini... Nell’augurarvi ogni bene ti inviamo delle foto che abbiamo fatto lo scorso anno quando sono stati a casa nostra le bimbe di Carla prima d'andare su a Cuneo, ciao Anna, Saverio, Costantino, Donato, Emanuele.

DA MARIO SPINICCI [spima@labnet.it]

Grazie per quanto hai scritto e per la tua presenza  oltre e-mail. [La mia] è una prova tecnica di trasmissione un forte iniziale abbraccio da Mario Spinicci

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DA MARIA E NICOLA (CATANZARO) [nicola@toplevel.it]

… rispondiamo in ritardo per problemi vari... Hai perfettamente ragione tu, la posta elettronica può davvero rendere più vicino nonostante i chilometri e gli inevitabili impegni che ci dividono... Anche noi sentiamo l'esigenza di momenti di "alterità", sempre più assorbiti e "ingabbiati" dalle vicende quotidiane... Le occasioni di incontro, quando ci sono, raramente toccano "certe corde", aprono "certe finestre"... Le "profondità" sono sempre meno raggiunte e si finisce col vivere del "periferico"... Con molta insofferenza, che cresce ogni giorno di più. L'insoddisfazione, il senso di ribellione per "come vanno le cose", il sentirsi sempre più estranei rispetto a troppe vicende (il modo di vivere i rapporti, le scorrettezze dei colleghi ritenute "normali", una vita ecclesiale incomprensibile - o comprensibile, ma con altre logiche, evidentemente non evangeliche -, l'ottusità dei cittadini di questa allucinante città e..., basta!, tanto sono cose che già conosci...). Forse ciò che scriviamo per chi non ci conosce può sembrare la solita critica demolitrice e, a ragione, qualcuno potrà chiedersi "ma voi cosa fate, come vivete, che progetto di vita condividete perché il disagio diventi operatività, segno profetico, la comunicazione dell'amore che tutto comprende e trasforma senza mai possedere". Il nostro sentirci inadeguati rispetto a ciò che abbiamo ricevuto da Dio, la consapevolezza di non poterci accontentare di un vivere che non sia la realizzazione di un'esistenza cristiana coerente ci spinge a ricercare spazi quotidiani in cui la presenza e l'ascolto dell'altro diventi alimento e "finestra su un mondo diverso"... La realizzazione di una "teologia dal quotidiano", dalle arrabbiature e dai sorrisi, dai piatti da lavare e dai segni di amicizia, dagli occhi delle nostre nipoti (inarrestabili divoratrici del tempo) supplisce, in qualche misura, al contatto con la teologia accademica. Ma la voglia di ricominciare è tanta... Un abbraccio  Maria e Nicola

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DA P. JOHANNES BEUTLER (GREGORIANA - ROMA)      [beutler@unigre.urbe.it]


Herzlichen Dank für Deinen Rundbrief mit dem schönen Bild und Text zum Geben und Nehmen. Er gilt ja auch für Dich nicht nur auf der individuellen Ebene. Ich erhielt einen schönen Rundbrief von Pax Christi, der vom Geben und Nehmen unter den Völkern spricht. Im Augenblick erleben wir, daß die reicheren Nationen immer stärker die Weltherrschaft ergreifen und dabei auch keine Rücksicht mehr auf die Vereinten Nationen nehmen. Das ist eine verhängnisvolle Entwicklung, der wir als Christen entgegensteuern müssen.

Mitte September [fahre ich] nach Mexiko zu einer Tagung: "Apokalypse - Ende der Geschichte oder Christliche Utopie?", bei der ich das Einleitungsreferat halten soll. Es geht dort um millenaristische Erwartungen von Sekten im Blick auf 2000. Ich bin während des ganzen Sommer auch über meine römische e-mail-Adresse erreichbar.

Herzlich, Johannes. [TRADUZIONE]

Un grazie di cuore per la tua circolare con la bella immagine [del pane] e con il testo sul dare e ricevere [vedi n. 1]. Vale, sì, anche per te, ma non solo sul piano personale. Ho ricevuto una bella lettera circolare dalla Pax Christi [s’intende tedesca], che parla del dare e ricevere tra i popoli. Al presente sperimentiamo che le nazioni ricche con sempre più forza arraffano il dominio del mondo senza prendere in alcuna considerazione le Nazioni Unite. E’ uno sviluppo inesorabile contro il quale noi da cristiani dobbiamo sterzare in senso contrario.

A metà settembre [faccio un viaggio] in Messico per un incontro sul tema «Apocalisse - Fine della storia oppure utopia cristiana?». Dovrò tenervi la relazione introduttiva. Si tratta qui di attese millenaristiche sul 2000. Durante l’intera estate sono raggiungibile al mio indirizzo [e-mail, suindicato] di Roma.

Cordialmente, Johannes