Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

ESSERE CHIESA AL SUD (1985)

[Il testo, che si riporta con qualche lieve ritocco, risale a una relazione precedente preparata per un convegno della Pax Christi dell’Italia Meridionale. Fu arricchito dei riferimenti statistici, dovuti all’opera di P. Giorgio Andolfi, e successivamente letto da don Gabriele Bilotti, allora direttore dello Studio teologico “S. Pio X” di Catanzaro, all’incontro regionale dei giovani della Calabria a Vibo Valentia]

Premessa

È per noi significativo interrogarci sul nostro modo di essere chiesa al Sud. È importante che lo facciamo dopo la visita del papa in Calabria. È ancora doveroso che guardiamo alla nostra realtà di popolo di Dio che vive in Calabria in prospettiva, volgendo lo sguardo al futuro. Per essere efficaci dovremo tener conto dell'attuale situazione nella quale ci troviamo, dei cambiamenti indispensabili per poterla modificare in meglio e di un progetto di massima sul quale lavorare. È ovvio che non pochi cambiamenti non dipenderanno da noi.

La nostra responsabilità si arresta spesso di fronte a quella di chi ha più responsabilità di noi. Nondimeno, è proprio la coscienza che abbiamo delle nostre responsabilità ad influire notevolmente sui cambiamenti necessari nel popolo di Dio che vive in Calabria, tenendo sempre presenti la nostra area socio-culturale, il Sud, e inoltre nella "terra ecclesiale", l'humus ecclesiologico del Concilio vaticano II, che, a vent'anni dalla sua conclusione, resta ancora, per buona parte, da realizzare.

Ci vogliamo interrogare e confrontare dunque su questa doppia terra, geografica e teologica, per vedere come la chiesa voluta dal Vaticano II sia da ricercare, da incarnare e da vivere nella nostra realtà meridionale. Il mio contributo non può rispondere in maniera esaustiva a questa domanda. Può solo offrire una stimolazione alla riflessione e al dialogo su alcuni dati essenziali, che cerco di esaminare in questi punti:1) Essere popolo di Dio nel Sud (l'identità minacciata); 2) Il popolo di Dio in cammino nel Sud (l'identità riconqui stata)

1) Essere popolo di Dio nel Sud (l'identità minacciata)

Nel Sud dell'Italia la società vive tra tradizione ed innovazione, tra immobilismo e cambiamenti. Parlo di cambiamenti al plurale, perché sono tanti e non tutti riconducibili a un processo unitario, progettuale, logico. La situazione è complessa. Ma tuttavia ha al fondo due fattori determinanti.

Il primo è quello del funzionamento della società di tipo rurale: è il meccanismo che, ispirandosi al ciclo ripetitivo della natura, produce un universo culturale chiuso, restio a qualsiasi cambiamento che non sia previsto, nell'eterno ritorno di fatti ricorrenti. Il secondo è la penetrazione di modelli culturali esterni.

L'universo culturale chiuso include due momenti: quello della ripetizione dei ruoli, delle forme e delle figure sociali e quello della introiezione culturale del funzionamento ripetitivo della stessa società. Come nella produzione della terra ci sono cicli stagionali immutabili, così nell'organizzazione del la vita sociale ci sono ruoli e personaggi non modificabili.

Non sono solo i ruoli familiari che hanno una forza di coesione incredibilmente tenace in tutto il meridione, nonostante sobbalzi culturali che vedremo. Sono anche i ruoli sociali che a quelli familiari si ispirano. Così il "padrino" da "padre" diventa il protettore; il "padrone", un tempo "proprietario" della terra: oggi è il "signore" che conta e che può procurare il posto ai giovani; "il padrone" è spesso di fatto il padrino e lo si chiama a battezzare o a cresimare futuri protetti. Il parroco in qualche luogo è chiamato ed è il "parrino"; il santo venerato è il "patrono" ed è considerato protettore specializzato; Dio stesso è visto, ahimè, come supremo signore e capo dei patroni, dei padrini e dei padroni. Sono tutti ruoli fissi che si imprimono anche nel mondo interiore individuale attraverso meccanismi di introiezione e che si perpetuano e si rafforzano con la ripetitività fisiologica e funzionale a tale sistema.

La mentalità che ne risulta è di una transitività ripetitiva, che qualcuno ha chiamato semintransitiva, data la sua refrattarietà a qualsiasi cambiamento che non sia ciclico- ripetitivo. La società che ne deriva si struttura secondo ruoli fissi che espellono ed emarginano chiunque tenti di realizzare una trasformazione verso forme nuove. Ha tutti gli effetti negativi della ripetizione acritica ed immotivata.

È alla base di fenomeni che si caratterizzano a) rispetto alla storia, b) alla società, c) alla chiesa.

a) Rispetto alla storia, sono da notare l'accettazione passiva di ingiustizie strutturali, l'incapacità di progettazioni alternative, la svalutazione delle proprie capacità individuali e collettiva, l'autolesionismo.

b) Rispetto alla società sono da ricordare il clientelismo, il controllo sociale, l'emarginazione e il ripudio di nuovi ruoli e di nuove forme, l'ubbidienza "sociologica", vale a dire: affermare ciò che dicono tutti, fare quello che fanno gli altri. L'opposto contrario è l'incapacità ad opporsi efficacemente alle violenze di carattere sociologico (ne sono alcuni esempi il portare regali ai padroni, pagare la tangente, l'omertà).

c) Rispetto alla chiesa, si ricordano qui la ripetitività acritica di tradizioni, il devozionismo, il sacramentalismo e così pure l'identificazione della chiesa con alcuni ruoli ecclesiali ("la chiesa sono i preti", "è il papa", "il vaticano" ecc..). In questa ottica è anche la quantificazione sociologica degli atti religiosi, come, ad esempio: "la comunione mi spetta di farla solo una volta all'anno", "faccio dire la messa ogni mese ai miei defunti", "faccio la comunione solo alla messa dei miei morti".

Così si assiste a un'identificazione sociologica anche per ciò che riguarda alcuni atti sacramentali oltre che cultuali, come manifestano alcune frasi esemplari: "il matrimonio se non è fatto in chiesa non è matrimonio", "chi è morto si deve sempre portare in chiesa".

Accanto ai tanti aspetti negativi sono da menzionare quelli positivi che pur hanno le loro origini in un modello rurale ripetitivo. Si possono raccogliere rispetto a queste realtà 1) la società, 2) il sacro, 3) la chiesa.

1) Rispetto alla società si nota un forte senso di identità di base e la coscienza di una comune appartenenza. I sentimenti basilari, che, pur convivendo con un notevole individualismo, particolarmente avvertito quando si toccano gli interessi materiali, affiorano in occasioni particolari della vita del Sud, sono significativi per il senso del collettivo e della comune identità. Emergono in momenti quali la nascita, la morte, il matrimonio, la festa, la disgrazia.

Un altro elemento positivo è l'aiuto portato spontaneamente e generosamente a quanti sono rimasti soli; anziani, bisognosi. Conosco molti casi nei nostri paesi di persone anziane sole che non si possono muovere dal letto da anni e che la gente del vicinato accudisce con naturalezza, come se facessero parte della propria famiglia.

Il senso d'identità collettiva ha inoltre come effetto, maggiore sicurezza esistenziale ed anche materiale. Se, nonostante l'altissima disoccupazione, il Sud resiste e i giovani non fanno la fame è perché fino a quando non si sposano, ed ora in qualche caso, anche dopo sposati, rimangono nella casa paterna, dove vivono delle risorse che ha la famiglia. In certi casi si tratta, è vero, delle pensioni dei genitori e dei nonni.

L'ospitalità e l'accoglienza verso il forestiero sono altri fattori estremamente positivi nella cultura che stiamo esaminando. La ricchezza umana dei poveri consiste spesso nel saper condividere con gioia e senso di fraternità quel poco che si ha. Non di rado forestieri e stranieri si stabiliscono nel Sud anche perché conquistati dallo spirito di accoglienza e di rispetto, quasi di venerazione per chi viene" da fuori".

b) Rispetto al sacro. Le culture di tipo rurale chiuso sviluppano, in genere, un forte senso del sacro, di una presenza superiore che sovrasta e pervade ciò che si vede e ciò che accade. Il silenzio che accompagna costantemente la vita di chi vive nei campi o nei paesi di campagna scava profondamente l'animo. La capacità di riflessione, di preghiera e persino di contemplazione sono atteggiamenti non rari a trovarsi in questo contesto.

c) Rispetto alla chiesa. Dicevamo che la chiesa come popolo di Dio non è avvertita in modo determinante dal punto di vista storico. L'idea che si ha di essa è ripetitiva e se non è radicalmente rivista, non può portare a nulla di realmente nuovo.

È molto sentita, tuttavia, la chiesa come luogo dove il senso del sacro e l’identità collettiva si rafforzano e si esprimono. La festa paesana, le devozioni particolari, il pellegrinaggio, le celebrazioni significative per la collettività (funerali, matrimoni ecc.) hanno il loro supporto nella chiesa come edificio e come struttura sacra. Essa e il suo parroco sono indispensabili per la gente. Del parroco si può anche parlar male, ma ci devo essere in ogni caso.

Concludendo questi appunti sulle manifestazioni socio- religiose ed ecclesiali della cultura a tipo rurale ripetitivo, occorre dire che esse oggi si ritrovano sempre meno frequentemente allo stato puro. Appaiono in forme combinate e spesso ibride, dovute a cambiamenti violenti provenienti dall'esterno, che sono frutto di importazione o di colonizzazione culturale di modelli che mal si combinano con quello precedente. I mezzi audiovisivi, in primo luogo la televisione, il rientro degli emigranti, la mobilità sociale, dovuta al lavoro e al pendolarismo scolastico e simili, hanno creato scossoni culturali e comportamentali, che stanno producendo nuovi fenomeni sociali, dove novità e ripetitività si giustappongono.

Valga per tutti solo un esempio. Il battesimo che si celebra oggi in alcune parrocchie "moderne" risponde pur sempre ad un senso di identificazione sociale e a un bisogno di esprimere la dimensione sacra della vita, e tuttavia diventa, nello stesso tempo, punto di confluenza di nuove mode e comportamenti imposti dalll'esterno, spesso dal consumismo e dalla "modernità". Per molti battesimo si preparano cartoncini di lusso per l'invito, spesso con fotografia del piccolo, si indossano vestiti nuovi e costosi per l'occasione, si diffonde l'uso di filmare il rito stesso e di andare a mangiare in ristorante, almeno per i più ricchi o di fare comunque festa in casa per i più poveri, e di strombazzare con i clacson delle automobili appena fuori dalla chiesa, per gli uni e per gli altri.

Accanto alla penetrazione dei nuovi comportamenti e della manifestazione stereotipata di tipo borghese, bisognerebbe nominare altri fattori di penetrazione "culturale" che creeranno non pochi problemi agli operatori pastorali. Sono l'edonismo, la corsa al piacere sfrenato e al facile guadagno, l'ansia di consumare quanto prima esperienze d'importazione: droga, sesso, magia, ecc., accompagnati da una sempre più diffusa ingordigia di denaro per raggiungere lusso, agiatezza, sfoggio. Si veda, per esempio, la scandalosa lievitazione dei prezzi delle case e dei prodotti anche essenziali dei paesi turistici nelle stagioni estive e si avrà un esempio abbastanza convincente.

In questa situazione vive oggi la chiesa del Sud. Da un lato permane ancora l'impermeabilità di un universo culturale che non agevola la corresponsabilità storica ed e dall'altro si estende a macchia d'olio il modello consumistico comportamentale proveniente dall'esterno. L'incontro di questi due elementi è ancora per molti versi disorganico. Varia a seconda della vicinanza delle popolazioni alle aree più urbane e più fluide e a seconda della resistenza dell'identità collettiva di tipo tradizionale. In genere si nota però una sua effettiva diminuzione, a tutto vantaggio dell'avanzata dei modelli esterni.

L'identità è seriamente minacciata perché tale avanzata individualizza sempre più i bisogni ed isola in maniera sempre maggiore il singolo dalla comunità. Se le chiese si riempiono ancora nei paesi a Pasqua, a Natale e in occasioni di funerali per lutti significativi, nelle periferie e nelle aree marine, dove confluisce una maggiore eterogeneità di soggetti, la frequenza in chiesa è in netto calo.

Possiamo essere contenti che nell'inchiesta rivolta ai giovani "Verso quale chiesa locale di Calabria" [a cura del Seminario S. Pio X di Catanzaro, i cui risultati furono resi noti da S. Sarti nel 1983], il 75 % degli intervistati, alla domanda: "Secondo te cos'è la chiesa?" abbia selezionato la risposta: "È il popolo di Dio in cammino nella storia verso la salvezza", che solo il 2,3 % abbia affermato "Sono i possedimenti del Vaticano" ed appena l'11,3 % abbia detto: "Sono il papa, i vescovi, i preti". Già dalla formulazione affiora tuttavia la tendenza a identificarsi con la risposta teoricamente più giusta suggerita dal tema del "popolo di Dio", senza però che ciò sia rilevante dal punto di vista esistenziale.

Così solo superficialmente ci si può rallegrare che rispetto ai contenuti fondamentali della fede (l'esistenza di Dio, la divinità e la risurrezione di Gesù, il carattere redentivo della sua morte, e la sua fondazione della chiesa) i giovani intervistati non aventi alcun dubbio, si aggirino sul 70 %. Meno soddisfazione suscita in realtà il fatto che tale certezza di fede scende intorno al 40 % per ciò che riguarda la ricompensa dopo la morte, toccando il 26,2 % per ciò che concerne l'infallibilità del papa nella definizione di un dogma.

Quell'indagine conferma l'importanza delle manifestazioni religiose, alle quali è annesso un senso di identità collettiva anche da parte dei giovani Essi al 39,8 % ammettono di partecipare a feste religiose, al 32,6 % alle processioni, al 1O,9 % ai pellegrinaggi, mentre al 21,2 % confessano di portare addosso immagini o simboli religiosi.

La stessa indagine è significativa anche per un'altra ragione. Conferma inesorabilmente l'appiattimento di una certa sensibilità morale e l'adeguarsi a comportamenti che sono in contrasto con la morale cristiana tradizionale. Gli intervistati, che si dichiarano al 90 % cattolici e al 40 % praticanti, per oltre il 44 % non sono d'accordo sulla illiceità dei rapporti prematrimoniali e della coabitazione prima del matrimonio, mentre per quasi il 50 % non condividono l'illiceità dei mezzi anticoncezionali.

Proprio il distacco tra fede e comportamenti etici mette in luce che il dato ecclesiale è prevalentemente di tipo sociologico e poco di tipo teologico. Nonostante il grande consenso sulla risposta più esatta in merito alla chiesa: "È il popolo di Dio - cammina nella storia verso la salvezza" (72,5 %), giovani calabresi mostrano di aver assimilato e manifestano una pratica ecclesiale che non è impostata sul popolo di Dio che cammina nella storia. Ne è una riprova il fatalismo che, in materia più direttamente di impegno storico, traspare da una risposta che raccoglie il 51,8 % dei consensi: "È inutile pensare al domani. Ciò che deve accadere, accadrà ugualmente".

Sul versante più ecclesiologico i giovani intuiscono che la chiesa deve essere qualcosa di più che il luogo della amministrazione del sacro e forniscono anche validi consigli per un suo rinnovamento (maggiore partecipazione, corresponsabilizzazione, convegni di verifica ecc.), eppure proprio l'insistenza e l'intensità di queste richieste testimonia che il cammino da fare è ancora lungo. Vediamo qui di seguito di dare alcuni orientamenti che ci possono aiutare a seguirlo.

2) Il popolo di Dio in cammino (l'identità riconquistata)

a) Il primo passo da fare è scoprire la chiesa del Concilio. Occorre riscoprire la chiesa come popolo di Dio in movimento, in cammino, popolo peregrinante, come ripetutamente afferma la costituzione nella chiesa Lumen gentium. Il suo cammino non è solo un'immagine metaforica, per indicare il passaggio dalla condizione attuale dell'al di qua a quella futura dell'aldilà. Indica la conversione continua che si realizza alla sequela di Cristo e la partecipazione, con discernimento e spirito profetico, alle mutazioni storiche condividendo speranze ed angosce del mondo contemporaneo, come afferma la costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes.

Nel concilio la nostra realtà ecclesiale trova le motivazioni di fede per fare un salto di qualità e per superare la ripetitività di una cultura semintransitiva, trasformandola in una nuova cultura che, pur accettando le proprie radici, si pone in modo critico, profetico e costruttivo rispetto alla prima e rispetto al futuro. Avendo scoperto la chiesa del Concilio, bisogna acquisire il coraggio di essere chiesa che vive nel Sud. Già essere chiesa oggi esige coraggio: il coraggio di vivere tale esperienza in prima persona, con consapevolezza e con impegno. Non più da fruitori passivi, ma da soggetti reali, che portano avanti l'esperienza di chiesa.

Ma questa esperienza avviene ora in una terra bella e amara. Il controllo sociale, che soffoca ogni tentativo di intervento più personale e decisionale, la povertà materiale, la mancanza di posti di lavoro, la povertà culturale, quella di tipo associativo, il clientelismo, un'atavica e diffusa sfiducia nell'amministrazione pubblica e tanti altri fattori, con questi collegati, hanno fatto partire dalla nostra terra molti dei suoi figli, tra i quali spesso c'erano i figli migliori.

In una società minacciata dalla disgregazione e dall'assimilazione di nuovi modelli, importati e imposti con la violenza delle antenne dei canali televisivi di stato e di quelli privati, essere chiesa significa un lavoro spesso difficile e misconosciuto, in più di un caso irriso, quasi sempre ignorato o tollerato, con la sarcastica consapevolezza che tanto ogni tentativo di innovazione o di inversione di tendenza ben presto rientrerà, i volenterosi si stancheranno, le sedi di associazioni si svuoteranno, i giovani presto si sposeranno e si sistemeranno e tutto ritornerà come prima.

Il nuovo che resiste ed avanza è di tutt'altro genere: case-alveari continuano a sorgere lungo la costa, come per miracolo e così pure palazzoni grigi o variopinti, grosse cilindrate si muovono nelle stradine dei centri storici di antichi abitati, parole inglesi compaiono nelle insegne dei negozi, mobili raffinati abbelliscono appartamenti, le cui scale di accesso sono squallide e fatiscenti. Sono tutte realtà sicuramente nuove, anche se i debiti aumentano, le cambiali circolano sempre di più; le richieste di prestito si fanno sempre più pressanti. Eppure almeno in un punto tutto resterà come prima e sarà nel punto più importante se non interverranno fatti nuovi: si subirà tutto da fruitori passivi, da consumatori acritici, da persone terribilmente isolate e sole nelle decisioni più importanti.

In una simile situazione cosa fare? La risposta non può essere che di carattere generale, perché le situazioni, pur rispondendo alla logica descritta, variano da luogo a luogo. Ogni gruppo che voglia costruire un altro modo di essere popolo di Dio nella nostra società dovrà fare analisi più dettagliate e compiere interventi più appropriati. Ma si possono tuttavia proporre alcune piste generali di intervento, che riassumono quanto finora detto.

Le motivazioni ideali, le modalità precise e i traguardi da perseguire si possono articolare intorno ad alcune suggestioni che nascono innanzi tutto:

a) dal coraggio di essere chiesa nel Sud, che significa per i credenti contribuire a costruire la chiesa da protagonisti. Vi si può arrivare, passando da una chiesa clerocentrica a una chiesa cristocentrica, che vive la dimensione peregrinante e profetica del popolo di Dio. Occorre superare la concezione di una chiesa meramente sociologica e tentare l'avventura della costruzione di una chiesa, dove l'ascolto della parola di Dio e la contemplazione dei suoi misteri siano strettamente legati alla costruzione di rapporti fraterni in un società che è violenta o passiva.

b) Il passo successivo è avere sempre e ancora il coraggio di "ricostruire". Alla violenza della non ingerenza e del controllo sociale deve subentrare il coraggio della costruzione di una coscienza comunitaria, di comune appartenenza, di comune responsabilità, non su basi solo storico-geografiche, ma sulla base di un vero progetto di vita che non fugge dal Sud, ma accetta e cambia lo stesso Sud. Volendo riassumere in affermazioni sintetiche questo modo di intervenire, si potrebbe partire da quelle qui riportate.

Primo: non fuggire: né all'estero, né all'esterno, né all'interno della propria vita privata. Non fuggire soltanto sarebbe troppo poco, si chiede di amare la propria realtà, apprezzando la propria gente e riscoprendo gli aspetti migliori delle proprie radici. Ciò significa scegliere di restare, scegliendo di vivere e non restare per sopravvivere.

Secondo: non fruire acriticamente ciò che viene offerto. Tutto ha una sua logica di mercato e di potere. La sicurezza dei missili o degli aerei atomici dati al Sud non è tale e non è un atto di generosità. I cilindri di una macchina non rendono un uomo più uomo, le mode importate non sono cultura ma una caricatura di questa.

Terzo: non rifluire. Tra i tanti espedienti dei mass-media per neutralizzare le spinte innovatrici che venivano dai giovani, e non solo da loro, tra la fine degli anni 60 e una parte degli anni 70, c'e il "riflusso". Questo termine registrava inizialmente, è pur vero, certe attenuazioni della carica ideale del '68 con la fatica di calare nel quotidiano e nella ferialità le intuizioni originariamente feconde, ma che spesso troppo pretenziosamente erano esaltate come rivoluzionarie, senza tener conto dei successivi passaggi per trasformarle in prassi effettiva. II termine completato poi nell'espressione "riflusso nel privato" non è stato solo effetto di un movimento di arretramento per ciò che riguarda i problemi politico-sociali in genere, ma come spesso accade con i mass-media, è stato anche causa di tale movimento a ritroso. Aveva cominciato qualcuno a parlarne come pericolo, ne hanno parlato in molti come realtà, hanno finito con il parlarne tutti come giustificazione.

Personalmente ho dato sempre poca importanza alla cosa, ritenendo l'impegno serio per una società migliore, non influenzabile e ribaltabile dall'esterno. A livello quantitativo è vero che il numero di quanti si impegnano per i grandi ideali è diminuito. Ma non si deve per forza asserire che qualitativamente la spinta ideale si sia esaurita, perché occorre muovere dal principio che essa non e soggetta alla legge della pila, non è esauribile. Si tratta piuttosto di rivedere le motivazioni e le convinzioni con le quali portare avanti o riproporre certe lotte nonviolente per una società più giusta e nel nostro caso per una terra più abitabile, traguardi ai quali il cammino del popolo di Dio non può essere indifferente, anzi è impegnato in prima persona.

Oggi il rifiorire del movimento per la pace in tutte le forme che vediamo è la risposta che, certe cariche ideali quando sono veramente tali, non possono "scaricarsi" o rifluire. Rifluiscono, è vero, persone e gruppi non sufficientemente motivati. Per i nostri gruppi e per le persone operanti nel Sud sono dunque da rivedere le motivazioni di un impegno, perché se queste mancano, il risucchio avviene davvero, ed è in parte avvenuto per i meccanismi di controllo sociale, precedentemente visti.

Quarto: costruire. Non basta non rifluire. Bisogna costruire. Costruire, prospettando una società e un modo di essere che si ponga alternativamente al modo secondo cui la società si sta sviluppando. La costruzione passa per diversi settori. Quelli più urgenti a me sembrano doversi ricondurre all'acquisizione di una nuova coscienza umana. Ma ciò significa ancora una serie di scelte che vanno nei sensi ancora qui indicati.

- Umanizzare la politica (fonte ed esercizio del potere) in esercizio di crescita democratica e in servizio per i meno abbienti, i più infelici.

- Umanizzare la cultura (fonte di prestigio), in servizio per la promozione e la crescita della propria gente.

- Umanizzare i rapporti tra individui e gruppi (spesso conflittuali, che obbediscono alla legge del padre-padrone), in rapporti fraterni ed amichevoli.

- Umanizzare la natura (inquinata e violentata), in ambito accogliente per l'uomo e per tutte le forme in cui si esprime la vita.

Non fuggire, non fruire acriticamente, non rifluire, ma costruire rappresentano in definitiva le tappe di una nostra progressiva umanizzazione e sono al contempo le espressioni del coraggio di essere popolo di Dio al Sud.