Coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo
Intervento presso la Stazione Marittima nel corso
dell'incontro
DAL DIRE AL FARE: Banca Etica e Consumo Critico
Trieste, 25 giugno 1996
Vorrei
cominciare dicendo due parole sul centro che coordino (Centro Nuovo Modello di
Sviluppo, N.d.R.).
Io
dico sempre che è un piccolo centro di documentazione, è quasi una nullità.
Sorge all'interno di un caseggiato dove ci siamo messi insieme, e dico
"ci", nel senso che siamo tre nuclei familiari che hanno deciso di
andare ad abitare l'uno accanto all'altro per riuscire a vivere meglio il
nostro essere famiglie in una dimensione sociale. Ci eravamo resi conto che
vivendo da soli era abbastanza difficile riuscire a mettere totalmente a frutto
le nostre potenzialità, e che tanti problemi potevano essere risolti se invece
ci mettevamo insieme e decidevamo di cooperare.
Per
questo abbiamo messo in piedi il caseggiato dove abitiamo, dove facciamo un po'
di accoglienza, soprattutto di minori, e dove nello stesso tempo abbiamo messo
in piedi questo piccolo centro di documentazione. Io insisto sempre nel
sottolineare che è piccolo per due ragioni di fondo: innanzitutto perché è una
dimostrazione vivente di quella che deve essere la democrazia. La democrazia
non consiste nel dare il voto ogni cinque anni, non consiste nel creare una
frattura tra la gente e il luogo dove si prendono le decisioni, le stanze dove
i signori burocrati incravattati, gli scienziati sapienti analizzano cosa succede
nel mondo e poi prendono le decisioni; la democrazia è un'altra cosa, la
democrazia secondo me è uno stile di vita dove la partecipazione è sempre
presente. Per me la democrazia si ha quando si ha ancora il mestolo in mano,
quando si ha la pretesa di analizzare cosa succede, si ha la pretesa di pensare
cosa si può fare per risolvere i problemi e si tenta di organizzare subito le
iniziative che bisogna assumere per tentare di far cambiare strada al sistema.
Ecco, io ho una mentalità, ho un'idea di democrazia dove tutto è
"impastato", è lì lo abbiamo realizzato. Chi viene a trovarci ride:
ride perché si stupisce di vedere che tutto sommato abbiamo messo in
circolazione sei libri ormai, dove si affrontano temi importanti di natura
internazionale e si danno anche suggerimenti importanti su come si può
partecipare, e ride perché si rende conto che tutto questo viene da un luogo
umile, umilissimo, senza mezzi, senza soldi, e questo è un altro motivo per cui
io vado orgoglioso del nostro essere piccoli. Non è vero che per fare le
iniziative ci vogliono i soldi. Non è vero che ci vuole una struttura potente.
Ci vuole prima di tutto una grande volontà. Ci vuole una capacità di fare delle
analisi serie, chiare. Ci vuole perseveranza, ci vuole coerenza. Se tutte queste
cose si riescono a mettere insieme, ecco che allora comincia a formarsi un
nocciolino sul quale riesce un po' alla volta ad attecchire un altro po' di
neve e così viene fuori la valanga che riesce davvero a far cambiare le cose.
Ecco perché insisto nel dire che siamo piccoli, perché è un segno di speranza.
Proprio dalle piccole iniziative poi possono venire fuori le grandi cose che
possono dare un destino diverso al mondo.
Detto
questo, tentiamo di capire come mai ci occupiamo di consumo. Vorrei precisare
che noi guardiamo al consumo con estrema diffidenza, direi addirittura con
rifiuto, perché il consumo è il massimo puntello di questo sistema. Diamogli un
nome e un cognome: è il massimo puntello del capitalismo. E le finalità del
capitalismo sono l'espansione e l'accumulazione, e a loro volta l'espansione e
l'accumulazione sono alla base dello sfruttamento, sono alla base del degrado
ambientale, sono alla base della fine delle risorse. Proprio per questo
guardiamo con estrema diffidenza al consumo, e se vogliamo dare un consiglio,
il consiglio è: consumate, consumiamo meno. Il consumo, proprio perché è un
puntello del sistema, si è trasformato in consumismo, che è quella situazione
in cui non si compra più per bisogno ma si compra perché si è stati indotti a
comprare, perché si è generato un bisogno. E questo a sua volta è alla base di
tanti altri problemi, non ultimo il fatto che oramai nel consumo noi cerchiamo
le nostre sicurezze. Il consumo è diventato una droga. Noi abbiamo perso il
controllo della nostra consapevolezza proprio perché nel consumo affoghiamo
tutti i nostri problemi.
Allora
vorrei raccontarvi piuttosto di che cosa ci occupiamo, come mai siamo arrivati
al consumo. Noi ci occupiamo di disagio, ci occupiamo di impoverimento, e
parlando di impoverimento naturalmente non potevano non pensare
all'impoverimento di carattere internazionale, perché è il più grande scandalo
che sta vivendo la nostra epoca. Pensate: un miliardo e mezzo di persone vive
in una condizione di povertà assoluta. Sono parole vuote se non diamo loro un
significato. Povertà assoluta non significa niente per gente che non ha mai il
problema di mangiare, non ha mai il problema del dormire, non ha mai il
problema di trasportarsi, raramente ha il problema del lavoro. Voi pensate: un
miliardo e mezzo di persone sulla faccia della terra che invece hanno tutti
questi problemi, che non sanno dove dormire, che dormono sui marciapiedi, se
stanno nelle campagne dormono in baracche, persone che non hanno la garanzia di
riuscire ad arrivare a sera avendo mangiato un piatto di minestra, persone che
non hanno nient'altro che gli stracci che hanno addosso, persone che non
dispongono dell'acqua potabile, che non hanno mai la possibilità di andare dal
dottore, che non riescono a mandare i figli a scuola: sono analfabeti loro e lo
rimarranno anche i loro figli. Quindi persone nella più assoluta insicurezza.
Questi sono i poveri assoluti: un miliardo e mezzo, nonostante la terra abbia
risorse sufficienti per far vivere dignitosamente tutti i suoi abitanti. Noi
siamo partiti da lì. Abbiamo cominciato ad interrogarci, a chiederci perché
nonostante sulla terra ci sia la possibilità di far star bene tutti, in realtà
tantissima gente viene condannata a questa situazione. Allora abbiamo
capito che per riuscire a dare una risposta a questi problemi, è necessario
rifuggire anche da una tentazione consumistica che si nasconde nell'ambito del
sapere. Noi ci crogioliamo un pochino nella voglia di sapere di tipo
salottiero, siamo male abituati da questo "consumismo dello
spettacolo" che ci travolge. Siamo assetati di spettacolo, siamo assetati
di notizie che fanno clamore, ed è veramente grave che assegniamo il ruolo di
spettacolo anche alla sofferenza degli altri. Per cui il primo imperativo del
nostro centro è conoscere i disagi che presenti nel mondo ponendoci l'obiettivo
di capire, alla fine del percorso, che cosa possiamo fare per opporci a queste
miserie. Crediamo di aver capito che per riuscire a trovare delle soluzioni è
necessario percorrere un cammino che va in tre direzioni. Innanzitutto è
necessario capire quali sono i meccanismi che generano l'impoverimento. In
secondo luogo bisogna scoprire i veri protagonisti. Alla fine riusciremo anche
a capire che cosa possiamo fare noi di concreto. Allora, parlando in termini
di impoverimento (e badate bene, uso il termine "impoverimento", non
il termine povertà, perché la povertà è un concetto statico, non dà il senso
della cosa che si genera di giorno in giorno) la realtà è che la povertà è
organizzata a livello mondiale, non è una fatalità, si organizza giorno per
giorno grazie ad un sistema che non bada affatto a soddisfare i bisogni della
gente ma piuttosto ad arricchire chi è già ricco. Questa purtroppo è la realtà.
E uno dei meccanismi di fondo di questo sistema è la logica del mercante, siamo
stati abituati a pensare che il sistema economico sia una cosa complicata. Non
c'è niente di più semplice. Il capitalismo è la logica del mercante elevata a
livello di sistema. Allora uno dei meccanismi di fondo del capitalismo è il
mercato, e il mercato purtroppo divide la gente in due gruppi: gli utili e gli
inutili. Gli utili sono quelli che hanno del denaro da spendere e noi li
conosciamo molto perché siamo noi. Noi infatti ci rendiamo conto che siamo
utili anche perché siamo corteggiati dalla mattina alla sera, siamo addirittura
rimbambiti per essere ridotti a comprare ciò che serve al sistema. Il sistema
ha bisogno di chi ha denaro perché appunto ha bisogno del suo consumo, e ha la
tendenza a questo punto ad arricchire sempre più chi ha già denaro in tasca
perché il sistema sta producendo oggetti sempre più sofisticati, ormai si è
messa in corsa una tecnologia che non si ferma più. Per cui tende ad arricchire
i consumatori che già sono ricchi piuttosto che i poveri. E proprio a questo
punto succede un fatto curioso: chi non entra nel mercato viene addirittura
depredato delle risorse naturali che gli consentivano di vivere senza chiedere
niente a nessuno.
Se
noi analizziamo perché nel sud del mondo si diventa poveri, scopriamo che
accade perché ai contadini viene tolta la terra dove coltivavano prodotti utili
alla loro sopravvivenza per coltivare qualcosa che possa essere venduto ai
ricchi consumatori del nord. Si scopre che la gente del sud del mondo diventa
povera perché non ha più la possibilità di vivere nella foresta dove da sempre
viveva, perché c'è l'interesse a disboscare, a portare via il legname, a
portare via i minerali che stanno nel sottosuolo. La gente nel sud del mondo
diventa povera perché magari non ha più la possibilità di pescare i pesci che
un tempo poteva pescare con le piccole reti che non andavano oltre i dieci
metri, perché un bel giorno sono arrivati i grandi pescherecci e hanno portato
via il pesce che serve ancora una volta per i ricchi consumatori del nord.
Quindi
ecco, questa è la prima constatazione: i meccanismi che generano
l'impoverimento sono strettamente legati a questo sistema e il mercato è uno
dei meccanismi di fondo. Allora se questo è vero noi non possiamo più
pensare di affrontare il tema dell'impoverimento nel sud del mondo in maniera
tradizionale attraverso la carità o attraverso una cooperazione basata ancora
sulla carità. Noi riusciremo a risolvere il problema solo se avremo la capacità
di cambiare il sistema economico. Questo è il più grande imperativo della
nostra epoca. O noi siamo capaci di fare questo, o siamo dei grandi ipocriti,
versiamo delle grandi lacrime di coccodrillo. Secondo passaggio:
riuscire a conoscere i protagonisti, che è altrettanto importante che riuscire
a conoscere i meccanismi. Sono tanti i protagonisti che generano impoverimento,
che derubano i poveri nel sud del mondo; per primi i governi locali, non
dimentichiamoli. Se noi guardiamo a chi governa nei paesi del sud ci
rendiamo conto che molto spesso è gente che non si cura affatto del destino
della propria gente, che si cura esclusivamente dei propri interessi, e siccome
questi sono molto vicini agli interessi dei governanti e delle imprese del
nord, ecco che vengono scelte politiche che servono più ad arricchire le
imprese del nord che a risolvere i problemi della gente del sud. Naturalmente
ci sono le élite locali, però attenzione: noi viviamo nel nord del mondo e
contro i governanti del sud possiamo fare abbastanza poco. Noi dobbiamo
concentrare l'attenzione verso i protagonisti del nord. Ecco che compaiono di
nuovo in scena i nostri governi, compaiono in scena le grandi istituzioni
internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
Queste hanno grandi responsabilità soprattutto per come oggi viene affrontato
il tema del debito che è un grande flagello per la gente del sud perché si
stanno mettendo a punto delle politiche che stanno smantellando tutto lo stato
sociale, che stanno creando un sacco di disoccupazione, che stanno bloccando i
salari. Però, quando abbiamo rammentato il governo e le istituzioni
internazionali non abbiamo ancora nominato i veri protagonisti. I veri
protagonisti sono le imprese. Le imprese stanno vivendo in una sorta di
immunità. Non se ne parla mai, eppure le imprese sono il cuore del sistema,
innanzitutto perché determinano la logica del sistema. Si è detto prima che
tutto ruota attorno ad esse, anche perché le imprese sono responsabili delle
strategie che si stanno portando avanti a livello nazionale e internazionale,
che poi generano questa situazione di fondo. E quando si parla di imprese
naturalmente non si può dimenticare che le imprese che oggi contano sono le
multinazionali, quei giganteschi complessi che ormai non hanno più patria, che
sono nati apposta così per riuscire a superare i tentativi che facevano i vari
stati per proteggere la loro industria nazionale. Sono nate appunto le
multinazionali che oggi pretendono di trasformare il mondo intero come se fosse
un mercato unico. Allora ecco, per riuscire a capire che cosa possiamo fare noi
per tentare di far cambiare le cose, bisogna analizzare in che modo le
multinazionali generano impoverimento nel sud del mondo. I sistemi sono quattro
o cinque: il primo ve l'ho già spiegato, è quello di togliere le risorse
naturali alla gente.
Badate
bene che non è qualcosa che appartiene al passato. Vi potrei citare il caso del
Bangladesh, piccolo paese che ormai conta centocinquanta milioni di abitanti,
cosa paurosa dal punto di vista della pressione demografica, che è terrificato
da un debito estero enorme. Su pressione della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale, il Bangladesh come tutti gli altri Paesi del sud è
spinto ad orientare tutta la sua economia esclusivamente per pagare il debito
estero, per pagare le banche multinazionali che hanno generato apposta il
debito nel sud del mondo per superare una situazione di crisi che esse (le
banche) stavano vivendo agli inizi degli anni settanta. Oggi però tutta la
gente è costretta a farsi carico del debito. E siccome le banche devono essere
pagate in dollari, tutta l'economia di questi paesi viene orientata verso
l'esportazione. Ma cosa volete che esporti il Bangladesh? Non ha risorse
minerarie e non ha risorse agricole, perché è costretto a produrre quasi solo
riso per la propria gente. Un bel giorno il governo ha scoperto le ranocchie
perché da un'indagine di mercato che gli aveva fatto il FMI è emerso che in
Europa, specie i francesi, erano grandi consumatori di cosce di ranocchia e si
è dato da fare per cacciare le ranocchie. Dopo sei mesi ha dovuto fare una
grande marcia indietro perché si sono accorti che le ranocchie mangiavano le
zanzare e che, sterminando le ranocchie, stava tornando di nuovo la malaria.
Allora hanno cercato in altre direzioni e hanno scoperto facendo un'altra
indagine di mercato che in Europa siamo dei grandi divoratori di gamberetti. I
gamberetti sono degli animaletti che pur vivendo in acqua marina, per essere
allevati hanno bisogno di bassi fondali, e si sono guardati attorno per tentare
di vedere dove potevano tentare di ottenere questi allevamenti artificiali di
gamberetti spendendo il meno possibile. Sono arrivati un bel giorno in fondo al
delta del Gange, il Brahmaputra dove ormai l'acqua del fiume si confonde con
l'acqua del mare ed hanno scoperto che alcuni contadini senza terra erano
riusciti a costruire degli orti artificiali facendo un pochino quello che
avevano fatto gli olandesi: avevano costruito degli sbarramenti di fango, e
facendo questi sbarramenti di fango avevano bonificato dei pezzettini di terra
su cui coltivavano il riso. Allora i mercanti della città, della capitale
Dakka, sovvenzionati dal governo Bengalese a sua volta sovvenzionato dal FMI,
sono arrivati lì e hanno chiesto a questi contadini di avere la loro terra
perché era l'ideale per riuscire ad allevare i gamberetti, essendo protetta da
tutti i lati. I contadini hanno fatto i loro conti, si sono resi conto che con
quello che veniva offerto loro da questi commercianti in affitto dei loro
terreni sarebbero riusciti a mangiare per poco più di tre mesi l'anno,
avrebbero fatto la fame (la facevano già la fame per la verità, ma la facevano
un pochino meno), e quindi hanno detto che non ci stavano. I mercanti hanno
fatto buon viso a cattiva sorte, sono tornati indietro ma qualche giorno dopo i
contadini si sono svegliati al mattino hanno scoperto che erano state fatte
delle falle sugli sbarramenti naturali che loro avevano costruito. L'acqua del
mare era ritornata nei loro campi, erano ritornati punto e daccapo, e non
avendo più la possibilità di coltivare il riso, hanno dovuto cedere la loro
terra per tre lire.
Ecco
un meccanismo concreto attraverso il quale si sono generati nuovi poveri che
sono destinati ad andare a finire nelle città spaventose che siamo abituati a
vedere in televisione.
Niente
avviene per caso, di questi meccanismi ne succedono quotidianamente. In questi
giorni leggevo che in Indonesia i contadini stanno perdendo la terra per fare
posto ai campi da golf dei signori turisti giapponesi, dei signori turisti
statunitensi, ed oramai anche dei signori turisti europei che stanno scoprendo
il golf come ultimo sport alla moda. C'è bisogno di grandi estensioni, e si
prende la terra senza tanti problemi, si butta fuori la gente, fuori dalla sua
casa, a sonori calci nel sedere senza preoccuparsi di quale sarà il suo
destino. Non pensate che stiamo parlando di fatti che avvenivano anni orsono,
decenni orsono, sono fatti che avvengono ogni giorno e la gente nel sud del
mondo perde la propria terra, e un contadino che perde la propria terra è un
uomo impoverito che non sa che vita condurre. Quindi questo è il primo grande
meccanismo.
Secondo
meccanismo: quello dei prezzi. I contadini che riescono a mantenere la loro
terra, che per una ragione o per l'altra sono inseriti nel commercio
internazionale dei prodotti che noi consumiamo (caffè, tè, cacao) sono sempre
sotto la ghigliottina della presenza delle multinazionali che determinano il
prezzo a loro piacimento attraverso tutta una serie di meccanismi. C'è stato un
periodo verso la fine degli anni ottanta, quando si sono rotti tutti gli
accordi commerciali, in cui c'è stato un vero e proprio crollo del prezzo del
caffè. Nel sud del mondo i contadini producevano in perdita e non riuscivano a
coprire neppure le spese. Per fortuna ci sono sempre i boomerang e così i
contadini in America Latina hanno scoperto che da quaranta ettari di terra
coltivata a caffè guadagnavano meno che da tre ettari coltivati a coca e si
sono messi a produrre coca ovviamente, perché cosa volete che interessi loro se
in America e in Europa la gente prende il vizio della droga; per loro è un
problema che non esiste, hanno altri problemi più urgenti a cui far fronte. Per
cui ci sono anche i boomerang. Sarebbe interessante riuscire a capire com'è
strutturato tutto il commercio e come sono presenti le multinazionali
all'interno di questi prodotti che noi consumiamo con estrema disinvoltura.
Scopriamo dietro alcuni prodotti, come le banane o come il tè, ci sono le
multinazionali che noi conosciamo molto bene poiché sbattiamo ogni giorno il
naso contro le loro marche: Chiquita, Dole, Del Monte. Chi non le
conosce ? Basta andare al supermercato e guardare i bollini, c'è scritto
il loro nome dappertutto. La loro presenza arriva fino al livello produttivo.
Queste imprese che noi conosciamo come imprese commerciali, in Costa Rica, in
Panama, in Honduras, in Kenya, nelle Filippine sono conosciute come padroni.
Loro hanno ancora la proprietà di migliaia e migliaia di ettari. Loro là sono
grandi proprietari terrieri. Quindi ecco un altro meccanismo attraverso il
quale passa poi lo sfruttamento della gente del sud del mondo: quello dei bassi
salari, non soltanto in agricoltura nel settore specifico delle banane e del
tè, ma sempre più anche nel settore industriale, e questo è strettamente
collegato alla cosiddetta globalizzazione, un'altra parola difficile che sta
venendo avanti oggigiorno.
Già
prima vi ho detto che la nostra è l'epoca delle multinazionali; circa seicento,
settecento multinazionali (anche se ne sono state censite quarantamila)
riescono ad avere il controllo quasi totale dell'economia mondiale. Ecco allora
che le multinazionali hanno interesse a trasformare il mondo intero in un unico
grande mercato. Ma attenzione, c'è un problema. Benché il mondo sia grande come
estensione, in realtà il mercato è piccolo, se si contano i consumatori,
proprio perché attraverso cinquecento anni di colonialismo si è generato un
grande squilibrio nella distribuzione della ricchezza. Il mercato, cioè il
numero di persone che è capace di assorbire il 100% dei prodotti dell'industria
e dell'agricoltura, è circa il 30%, 35% della popolazione mondiale. I
consumatori che fanno il mercato nel mondo non sono più di un miliardo e
duecento, trecento milioni. Gli altri sono degli inutili per il sistema. Allora
voi provate ad immaginare di essere tanti mercanti che si contendono un piccolo
mercato come quello mondiale. Si instaura tra di loro una concorrenza estrema
ed oggi stiamo veramente assistendo ad una concorrenza molto aspra che si
combatte essenzialmente mediante l'abbassamento dei prezzi. Questa è la
strategia che si sta perseguendo oggi per tentare di conquistare un piccolo
mercato. Ma siccome le imprese vivono essenzialmente per fare profitto sono
disposte ad abbassare i prezzi solo se contemporaneamente riescono ad abbassare
i costi. Allora ecco che c'è un grande tentativo da parte delle imprese di
eliminare tutti i costi compreso quello del lavoro, perché per le imprese il
lavoro è un costo, non sono persone che hanno le loro necessità. Ecco allora
che c'è un processo in atto che va in due direzioni: da una parte
l'automazione, cioè il tentativo di rimpiazzare sempre di più la manodopera con
le macchine laddove la macchina diventa l'elemento centrale; dall'altra, laddove
si ha bisogno di molta manodopera, c'è la tendenza a trasferire la produzione
in luoghi del mondo dove la manodopera costa poco perché appunto viviamo in un
mondo squilibrato non soltanto da un punto di vista della distribuzione della
ricchezza ma anche dal punto di vista salariale. Ecco allora che le
multinazionali già da una quindicina d'anni, specialmente quelle che sono
inserite in settori dove c'è la necessità di molta manovalanza, di tanta
manodopera, hanno cominciato a trasferire la produzione nei luoghi del mondo
dove i salari sono più bassi che a casa loro e il fenomeno è iniziato nel
settore calzaturiero alla metà degli anni ottanta. Imprese molto famose, come
la Nike e la Reebok hanno cominciato nel 1985 a trasferire la produzione in
Corea del Sud e a Taiwan, due paesi che erano molto coccolati dagli Stati Uniti
anche perché rappresentavano i baluardi anticomunisti nel Pacifico. E' successo
quindi un fenomeno curioso. Intanto vorrei farvi notare che le imprese hanno
trasferito la produzione non facendo degli investimenti diretti, non è che
hanno aperto delle fabbriche cacciando di tasca i soldi, no, hanno iniziato a
usare il sistema del subappalto, che consiste ad esempio nel chiedere a imprese
sud coreane di accettare la commissione della produzione di tot migliaia di
paia di scarpe. La ditta che faceva la commissione diventa un commerciante
qualsiasi, ed è estremamente comodo per le multinazionali il subappalto, perché
lascia tutto il rischio della produzione all'impresa subappaltata e non soltanto
gli lascia il rischio della produzione, ma gli lascia anche tutta la
responsabilità del rapporto con i lavoratori. E questo sta diventando
estremamente comodo specie oggigiorno che stanno venendo alla ribalta delle
situazioni di lavoro paurose, di tipo ottocentesco. Avrete letto dello scandalo
che è venuto fuori riguardo all'utilizzo del lavoro infantile in Indonesia da
parte dei subappaltatori della Nike.
Il
fatto che la produzione avvenga da parte delle subappaltate delle grandi
multinazionali è una grande valvola di sfogo perché queste persone possono
dire: non siamo noi direttamente che impieghiamo i lavoratori, non siamo
responsabili delle condizioni dei lavoratori. Ovviamente sono scuse. Quindi
vorrei raccontare brevemente la storia del subappalto che è iniziata nel 1985
verso la Corea del Sud e Taiwan. Per cinque o sei anni la produzione è rimasta
in queste due zone del Pacifico; poi è successo che in questi due paesi i
lavoratori sono riusciti ad organizzarsi, sono riusciti ad ottenere dei discreti
aumenti salariali. A quel punto le grandi multinazionali statunitensi ed
europee hanno perso la convenienza a continuare a trasferire la produzione in
questi due paesi, la concorrenza incalzava, bisognava trovare delle situazioni
in cui si potesse spendere ancora meno nella produzione. Naturalmente di luoghi
del mondo dove i salari erano ancora bassi, molto più bassi che in Corea del
Sud e Taiwan ce n'erano tantissimi. Il problema era che in questi luoghi non
esistevano delle imprese locali a cui potersi rivolgere per delegare la
produzione. Ed ecco allora che si è innescata una catena piuttosto strana: è
successo che le stesse imprese che producevano per Nike, Reebok, Chicco,
Benetton, o per tante altre nei loro paesi, hanno chiuso le fabbriche a casa loro,
le hanno riaperte in Indonesia, le hanno riaperte in Cina e in Tailandia.
Allora ecco, la catena è questa: la multinazionale statunitense o europea
subappalta la produzione ad una multinazionale sud coreana o taiwanese, la
quale apre una fabbrica in Indonesia o in Tailandia o in Vietnam, perché la
corsa al paese con il salario sempre più basso continua. In queste fabbriche
che producono scarpe che molti di voi hanno ai piedi ci sono condizioni
veramente spaventose. Voi pensate che in Indonesia un lavoratore va a lavorare
per sette ore al giorno per riuscire a guadagnare alla fine della giornata
quello che il governo chiama il salario legale, ma che in realtà non consente
di soddisfare neppure i bisogni minimi di base. Cioè un lavoratore indonesiano
in una fabbrica di scarpe che noi indossiamo, alla fine delle sette ore della
giornata non ha guadagnato a sufficienza per uscire dalla linea della povertà.
Siccome questa è la situazione, succede che, per riuscire a sbarcare il lunario
la gente è costretta a lavorare un sacco di ore in più per cui in questi paesi
del mondo si lavora 270-300 ore al mese come orario normale. E questo consente
poi alle nostre imprese multinazionali di dire che il salario medio è ben
superiore al salario minimo legale: è chiaro, perché questi fanno 300 ore al
mese per cui alla fine in capo al mese viene fuori un salario che è molto più
alto, si guardano bene dal dividerlo per le ore e dal parlare di salario
orario. Si trovano delle situazioni in cui è assolutamente proibito organizzarsi
dal punto di vista sindacale, ogni tentativo di far sciopero è represso nel
sangue, non esiste nessuna situazione di sicurezza. Io sono stato ad Hong Kong
per un convegno, ho avuto la possibilità di visitare una zona economica cinese.
Queste zone sono create apposta garantendo un sacco di agevolazioni alle
imprese straniere affinché ci vadano a fare i loro investimenti. Una cosa
agghiacciante, perché voi entrate in questa specie di parco industriale e non
sapete bene dove siete: per certi versi si ha la sensazione di essere in una
zona industriale, per altri vi rendete conto di essere in un luogo dove si
abita. Infatti è successo che, in queste zone economiche speciali cinesi del
meridione, la gente arriva addirittura da tremila chilometri di distanza. Da
così lontano vengono a cercare il lavoro le ragazzine cinesi di 16, 17, 18
anni. Naturalmente hanno il problema di dove abitare. Allora, siccome le
industrie si mettono in piedi esclusivamente per consentire alle imprese di
poter fare un profitto, non ci si preoccupa assolutamente per l'aspetto umano
della situazione. Molte imprese hanno risolto il problema dell'alloggio alzando
un altro piano sopra la loro fabbrica per cui voi girate gli occhi al cielo e
vedete che ci sono tutte le mutandine stese, le canottiere, e sono stese
naturalmente alle finestre che hanno le inferriate, perché in Cina c'è questa
abitudine, che tutte le finestre, anche se sono al ventesimo piano, hanno le
inferriate e poi si chiude sempre tutto a chiave e questo porta di continuo a
dei disastri enormi perché sono strutture produttive che si fanno senza tener
conto di nessuna norma di sicurezza, scoppiano di continuo incendi e siccome
appunto c'è questa mescolanza di zona produttiva, di magazzino e di dormitorio
e per di più sono chiusi succede che quando scoppia un incendio questi
diventano degli edifici trappola e per esempio, nel 1993, alla Zili, una
fabbrica che produceva giocattoli per la Chicco, morirono 87 ragazzine di
diciassette anni. Quindi proprio perché siamo in un momento di globalizzazione
i bassi salari non si trovano più soltanto all'interno del settore agricolo, ma
anche di quello industriale.
Quindi,
riassumendo, questi sono i tre grandi meccanismi che generano impoverimento nel
sud del mondo: l'espropriazione delle risorse ai contadini, i bassi prezzi, i
bassi salari con tutto quello che poi viene dietro.
Quando
noi facciamo la descrizione di questo scenario che sembra addirittura
apocalittico c'è un grande rischio, il rischio che noi veniamo assaliti da un
grande senso di impotenza. Ci viene da pensare che contro queste strutture così
grandi, così mostruose che sono istituzioni internazionali, che sono le
multinazionali noi non possiamo fare assolutamente niente. Però quando siamo
assaliti da questo senso di impotenza ricordiamoci anche di un'altra realtà.
Tentiamo
di analizzare com'è fatto il potere, perché, se analizziamo com'è fatto il
potere, ci renderemo conto che nessun potere sta in piedi da solo. Il potere
sta in piedi perché i sudditi gli consentono di stare in piedi. Questa è una
realtà che bisogna sempre tenere a mente. E il potere sa così bene che ha
bisogno dei suoi sudditi per stare in piedi che fa di tutto per riuscire ad
avere dei sudditi consenzienti. Non a caso voi vedete che fa un grande sforzo per
tentare di impadronirsi dei mezzi di informazione, e non è un caso. Voi
guardate in Italia, se non vivete su un altro pianeta fatevi delle domande
sull'informazione. Io non so che
giornale sia di moda a Trieste, a Firenze è di moda La Nazione. Non crederete
mica che sia un giornale del popolo: è un giornale che ha un proprietario ben
preciso, che ha un padrone ben preciso il quale non soltanto ha il giornale ma
ha anche tanti altri affari nell'industria e nel commercio. La Repubblica lo
stesso, Il Corriere della Sera lo stesso, La Stampa lo stesso: si sa che
appartengono ad Agnelli, si sa che appartengono a De Benedetti. Hanno un nome e
un cognome. Ma come mai questi imprenditori si sono buttati così a capofitto
nell'informazione quando si sa che l'informazione è un settore in
rimessa? Una ragione ci sarà: e la ragione è che attraverso i mezzi di
informazione si riesce a manipolare il pensiero della gente. Non solo si
manipola il pensiero della gente, quindi si fanno tanti burattini come servono
al potere, ma addirittura si riesce a tenerli lontano dai problemi reali
creandogli tutta una serie di altri interessi artificiosi: lo sport, le mode,
il sesso, questi sono i capisaldi di tutta una serie di riviste e rivistucole
che girano. Io lavoro in ospedale, le vedo, sono una miriade infinita, credo
che saranno migliaia. Ecco, il potere ha questa consapevolezza e quindi si è
organizzato per tentare di avere dei sudditi obbedienti. La realtà è che il
potere non sta in piedi da solo, ma ha bisogno di noi e noi siamo responsabili
insieme al potere. Questo è un messaggio che il mio priore, il priore di
Barbiana, ci ha lasciato nella lettera ai giudici dove diceva che la
responsabilità non si può dividere a frazione per cui dei misfatti che fanno
gli eserciti è responsabile il generale ma è responsabile anche l'ultimo
soldatino e così pure, per analogia, dei misfatti delle imprese non sono
responsabili soltanto gli imprenditori. E poi alla fine chi sono gli
imprenditori? Voi guardate, oggigiorno ci sono i cartelli in giro: Mediaset
cerca azionisti. E' diventato un grande problema perché a volte non è più
possibile neanche individuare il proprietario ben preciso. Perché è vero che se
andate a vedere magari il 15% delle azioni è in mano ad una certa famiglia, ma
poi il resto è frantumato fra migliaia di azionisti. Per cui siamo un pochino
tutti i proprietari, e questo aumenta sempre più la nostra responsabilità. Ma
anche se non abbiamo azioni in tasca noi siamo responsabili insieme alle
imprese per il fatto che appunto noi compriamo ad esempio i prodotti che loro
ci offrono. Questo è il grande aspetto che noi dobbiamo tenere a mente e cioè
che noi siamo responsabili insieme alle imprese dei loro misfatti.
Questo
però è solo un aspetto della medaglia: l'altro aspetto è che siamo molto
potenti. Lo diceva anche padre Zanotelli: questi gesti comuni attraverso i
quali passa il nostro sostegno al sistema - che sono il consumo, il risparmio,
il pagare le tasse, il voto - non sono degli aspetti marginali di cui il
sistema può fare a meno; sono fondamentali, sono portanti. Allora così come
sono fondamentali e portanti per tenerlo in piedi, noi possiamo utilizzare
questi stessi strumenti per tentare di indebolirlo. Ecco che il sistema, il
potere è in una posizione ambigua rispetto a noi: da una parte sa che noi siamo
la sua forza, dall'altro sa che possiamo diventare anche la sua grande
debolezza e proprio per questo padre Zanotelli fa sempre l'esempio della
statua di Nabucodonosor quando parlava dei piedi d'argilla. Questa statua imponente
dell'epoca dei babilonesi che metteva grande paura alla gente aveva questo
difetto, i piedi d'argilla, e voi sapete che l'argilla è un materiale fatto in
modo che se riceve i raggi solari si indurisce e riesce a sostenere un peso
molto grande sopra di sé, ma se riceve qualche goccia d'acqua diventa una
poltiglia e il peso che ci sta sopra crolla. Noi rappresentiamo i piedi del
sistema e sta a noi stabilire se vogliamo che questa argilla si solidifichi,
diventi sempre più dura e consenta al potere che ci sta sopra di stare su
sempre più eretto, o se invece questa argilla deve diventare poltiglia che un
po' alla volta fa crollare il potere che ci sta sopra. Noi abbiamo questa
possibilità, la possibilità che noi abbiamo si chiama non collaborazione, si chiama
vivere la vita in senso critico, non soltanto il consumo deve essere critico,
ma tutta la vita deve essere critica. Ancora una volta io ritorno alle mie
origini e ricordo che a Barbiana ci veniva detto in maniera ossessionante di
non fare mai niente se prima non l'avete passato al vaglio del vostro pensiero.
Ogni volta che ricevete un invito da chiunque e in special modo dal potere
chiedetevi sempre se è giusto o sbagliato e alla fine aderite soltanto se voi a
partire da voi stessi, dai vostri pensieri, dalle vostre convinzioni ritenete
che sia giusto, altrimenti obiettate. L'invito ad obiettare non è qualcosa che
si applica soltanto nell'ambito militare ma deve diventare uno stile di vita
che si attua quotidianamente e che si confà se noi riusciamo ad essere persone
dignitose che hanno un pensiero da far valere prima di tutto.
Questo
è il punto di fondo. Guardando alle possibilità che noi abbiamo per tentare di
indebolire questo sistema, per tentare di fare in modo che questi piedi
d'argilla diventino poltiglia, ecco che il consumo assume un posto di rilievo
proprio perché il consumo è l'anello finale che consente al sistema di portare
avanti tutti i suoi progetti. I mercanti, le multinazionali producono per
ottenere profitto, e per ottenere profitto devono vendere. Noi
rappresentiamo l'architrave del sistema, se i consumatori dicono basta, questo
sistema crolla come una pera cotta, non rimane mattone su mattone. Noi da
questo punto di vista siamo veramente potenti, ultra potenti, aiutatemi a dire
quanto siamo potenti. Noi non abbiamo ancora preso questa consapevolezza e
quindi non la utilizziamo. Il consumo è un'arma potente per far cambiare le
cose.
Tentiamo
di capire brevemente in che modo noi possiamo usare il consumo come mezzo per
condizionare le imprese. Alla fine anche i governi, e Greenpeace in qualche
maniera ce l'hanno fatto vedere quando c'è stato il caso degli esperimenti
nucleari a Mururoa. Lascio un attimo da parte il commercio equo e solidale non
perché non sia importante ma perché mi pare che sia un argomento tutto sommato
abbastanza noto. Affronto invece gli altri due temi che sono il boicottaggio e
il consumo critico. Bisogna essere capaci di fare la distinzione tra i due
strumenti. Il boicottaggio è un'azione forte che si fa nei confronti di
un'impresa cui si fa una contestazione ben precisa.
Il
boicottaggio è qualche cosa che si organizza per vincere: ci si organizza
chiedendo all'impresa quella cosa non accettiamo di lei facendole tutta una
serie di richieste e sostenendo le richieste attraverso il ricatto della
sospensione degli acquisti. Ma non ci limitiamo soltanto a sospendere gli
acquisti, tentiamo anche di creare allo stesso tempo tutta una serie di altre
alleanze che riescano a condizionare l'impresa anche da altri punti di vista.
Tutti i movimenti esteri che hanno esperienza nel settore del boicottaggio ve
lo potrebbero testimoniare: non si limitano soltanto a chiedere ai consumatori
di smettere di comprare un certo prodotto anche se questa è un'azione chiave,
ma allo stesso tempo cercano le alleanze nel settore della chiesa, nel settore
sindacale, da parte delle forze politiche, degli investitori esteri e via
discorrendo. Il boicottaggio è
un'azione forte che tenta di ottenere una cosa ben precisa da un'impresa. Con
questa azione si chiede cosa si vuole venga cambiato e si sostiene la richiesta
attraverso questo gesto. Quando poi finalmente abbiamo ottenuto quello che
volevamo il boicottaggio si sospende. Un boicottaggio storico è quello contro
la Nestlè, un'esperienza che si sta portando avanti da diversi anni in ambito
internazionale, un boicottaggio che si sta facendo soprattutto per contestare
le imprese che producono latte in polvere, che, pur essendo molte, in realtà
hanno come capostipite la Nestlè. Infatti la Nestlè è il più grande produttore
e commerciante di latte in polvere per cui si sa bene che se la Nestlè cambia
atteggiamento anche tutte le altre accetteranno poi di cambiare. Per questo è
stato deciso di prendere di mira essenzialmente questa impresa, perché è la capostipite.
Viene
contestato alla Nestlè di fare una pubblicità aggressiva che contravviene ad un
codice che si è dato una decina di anni orsono l'Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) per tentare di regolamentare il comportamento delle imprese che
vendevano latte in polvere perché si è constatato che nel sud del mondo il
latte in polvere molto spesso invece di far crescere i bambini sani e belli li
fa morire. Li fa morire attraverso due meccanismi. Da una parte li fa morire di
fame, subentra la denutrizione, perché dovete pensare che molto spesso la
proposta di allattare attraverso il biberon con il latte artificiale viene
fatta a famiglie molto povere, che quindi soltanto nelle prime settimane di
vita hanno la forza economica per mettere nell'acqua i giusti dosaggi di latte
in polvere. Via via che il bimbo cresce, continuano a mettere sempre gli stessi
dosaggi perché non hanno la forza economica per comprare due o tre barattoli
alla settimana o al giorno come sarebbe necessario. Si nota ad un certo punto
che il peso dei bimbi allattati con il latte artificiale si ferma, e quello è
l'inizio del calvario, perché dei bimbi denutriti sono dei bimbi più esposti
alle malattie e quindi subentra complicazione su complicazione.
La
seconda causa di morte dei bimbi allattati artificialmente nel sud del mondo è
la dissenteria. I biberon che si utilizzano per allattare artificialmente, se
non si osservano tutta una serie di regole igieniche, diventano delle vere e
proprie armi batteriologiche. Voi provate a pensare di essere una famiglia di
Nairobi che appunto ha dato il latte in polvere al bimbo. Nel biberon ne avanza
un po' e non si può buttarlo via perché è costato molto, quindi si conserva, ma
lo conservate a trenta e più gradi per cui pensate alla quantità di batteri che
si moltiplicano su questo fondo di latte in polvere. Poi aggiungete il fatto
che la tettarella è rimasta sporca di latte e ci si depositano centinaia di
mosche che portano tutta la sporcizia del mondo, queste bottiglie alla fine
diventano un concentrato di batteri e generano nei bimbi delle diarree che sono
fulminanti e li fanno morire. Fino a qualche tempo fa si diceva che l'OMS aveva
calcolato che morivano ogni anno nel sud del mondo un milione e mezzo di
bambini per l'allattamento artificiale. Non so se questa cifra sia stata
rivista ma questa è l'ultima ufficiale che io ho visto scritta per cui non sono
cose che raccontano soltanto quelli che ce l'hanno con le multinazionali ma
sono dati ufficiali delle stesse istituzioni internazionali che sono adibite a
salvaguardare la salute della gente. C'è in corso questo boicottaggio contro la
Nestlè perché nonostante l'OMS abbia prescritto tutto un codice che devono
rispettare le multinazionali riguardo al non fare pubblicità, riguardo a
scrivere sui campioni di latte le istruzioni in lingua locale dicendo sempre
che l'allattamento materno è il migliore, il codice mondiale della sanità
prevede tutto questo ma prevede anche che non debbano essere dati dei campioni
gratuiti negli ospedali perché questi sono un modo indiretto per fare di nuovo
promozione del latte in polvere e invece ci sono numerosissimi casi nel sud del
mondo che dimostrano che Nestlè e altre imprese multinazionali continuano a
fare promozione attraverso i campioni gratuiti, e questo è uno dei motivi per
cui si sta portando avanti ancora il boicottaggio nei confronti della Nestlè.
All'estero il boicottaggio è un'arma molto nota, negli Stati Uniti esistono
addirittura delle riviste dove mensilmente si dice quali sono i boicottaggi in
corso, mentre in Italia siamo agli inizi e questo per il momento è l'unico
boicottaggio in corso. Accanto al boicottaggio poi c'è quest'altra iniziativa
che è il consumo critico.
Il
consumo critico è un'iniziativa meno appariscente, è uno stile di vita in fin
dei conti, è il cominciare ad andare a fare la spesa con la consapevolezza che
ogni volta che noi compriamo qualcosa, non compriamo qualcosa che soddisfa i
nostri bisogni, ma compriamo degli oggetti che hanno una loro storia, che può
essere positiva o negativa. Don
Battistella dice che i prodotti hanno un'anima proprio perché dietro ai
prodotti ci sono delle persone che hanno sofferto magari per produrre quei
beni, perché dietro i prodotti c'è sempre una storia e un avvenire di carattere
ambientale. Andate a fare la spesa con questa consapevolezza, ma anche con
un'altra: i prodotti ci vengono offerti da imprese che molto spesso sono molto
grandi e non si limitano soltanto a produrre quel particolare prodotto che
magari in quanto tale può avere una storia pulita, ma invece spaziano in tanti
altri settori dove si possono trovare comportamenti che non sono accettabili.
Tanto per fare un esempio: prendiamo il formaggio Osella, non so se qui a
Trieste si vende. Il formaggio Osella è un formaggio banale che se uno lo compra
probabilmente ha l'impressione di comprare un formaggio locale e sicuramente
sarà un formaggio che sarà prodotto qui in Nord Italia, nella Padania. Le
fattorie Osella non sono un'impresa che appartiene alla Padania, ma appartiene
alla Kraft, e la Kraft, benché sia una grande multinazionale, non è priva di
genitori: la Kraft appartiene alla Philip Morris, quindi ogni volta che
mangiamo un formaggio banale senza significato come è questo piccolo formaggio
Osella, in realtà noi compriamo Philip Morris, noi diamo un obolo alla Philip
Morris. Ecco, la Philip Morris sta combinando dei grossi guai perché la Philip
Morris, che è un gigante del tabacco, sta tentando disperatamente di trovare
fuori dall'Europa e fuori dagli Stati Uniti i due milioni di fumatori che
muoiono ogni anno nel nord del mondo. Ogni anno muoiono infatti due milioni di
fumatori perché contraggono il cancro. Altri si perdono perché riescono ad
acquistare la consapevolezza che fumare fa male e quindi smettono. Questo è
l'imperativo o, come dicono in gergo aziendale, la "mission" (perché
anche in campo economico si utilizza questo linguaggio semi-ecclesiastico):
trovare due milioni di fumatori nuovi per rimpiazzare quelli che se ne sono
andati. Li cerca naturalmente dove la popolazione è numerosa e quindi li cerca
essenzialmente nel sud del mondo ed è dimostrato che li trova soprattutto tra
gli adolescenti. Quindi va aumentando il numero dei fumatori in Africa e in
Asia nelle grandi città, perché le sigarette si possono frantumare, non è necessario
venderne un pacchetto intero, se ne può vendere anche solo una riuscendo così a
carpire i pochi centesimi che il ragazzino, che l'adulto ha in tasca
inducendolo a comprare la sigaretta. Qualcun altro lo induce a comprare la Coca
Cola per cui ecco, noi notiamo che nel sud del mondo queste grandi imprese
tentano di trovare anche loro la loro quota di mercato frazionando i prodotti.
Questo
per dire che è assolutamente necessario oltre a fare un'analisi della storia
del prodotto fare anche un'analisi dell'impresa prima di comprare qualsiasi
cosa. Il consumo critico è l'atteggiamento di quello che va a comprare un
prodotto non soltanto badando alla qualità e al prezzo, ma soprattutto
guardando alla storia del prodotto, la storia individuale del prodotto e badando
al comportamento generale dell'impresa con la consapevolezza che scartando i
prodotti delle aziende che si comportano male lancia un messaggio all'impresa
che ci sta dietro, un messaggio concreto, fatto sui quattrini, che è l'unica
lingua che capiscono le imprese. Il consumo critico dice che io non sono
d'accordo con ciò che tu, impresa, stai facendo. Al contrario, concentrando gli
acquisti sulle imprese che si comportano meglio si lancia l'invito alle imprese
che hanno assunto un certo comportamento a proseguire lungo una certa strada.
E' per questo che padre Zanotelli dice che nel supermercato si vota
quotidianamente, si danno costantemente dei voti e non se ne dà uno solo, se ne
danno decine, se ne danno tanti quanti sono gli oggetti che si buttano nel
carrello e il voto è proprio questo lanciare il messaggio alle imprese:
condivido o non condivido la tua scelta. E' un modo per tentare di
condizionare le imprese attraverso le loro stesse regole: non ci è sempre stato
detto che il consumatore è sovrano, che è il consumatore che deve decidere
quali sono gli oggetti che devono essere venduti in base alla regola della
domanda e dell'offerta ? Prendiamola sul serio questa regola, ma
prendiamola però per riuscire a costruire un mondo migliore, quindi non inseriamoci
soltanto nella logica di guardare quello che apparentemente è di nostro
interesse e dico apparentemente perché poi ci sono sempre i boomerang che
tornano indietro. Se noi abbiamo la pazienza di aspettare ci renderemo
conto che il nostro cadavere passa dentro al fiume perseguendo una certa
logica. Prendiamola sul serio cercando di condizionare le imprese sulla logica
nostra che è quella dell'etica e che è quella di finalmente riuscire a
costruire un'economia al servizio dell'uomo. Il problema più grosso quando si
decide di essere dei consumatori critici cioè che hanno la pretesa di
acquistare i prodotti tentando di comprare in base al comportamento delle
imprese è quello dell'informazione. Io ho un bell'andare al supermercato con
questa volontà dentro di me se poi non riesco neanche a sapere chi sono i
produttori che stanno dietro al prodotto che sto per comprare, se io non so
neanche chi è il gruppo multinazionale di appartenenza. Il problema
dell'informazione è il problema chiave del consumo critico. Quando andai in
Inghilterra quattro anni fa e mi resi conto che circolavano delle riviste che
avevano per compito quello di dare informazione ai consumatori rispetto al
comportamento delle imprese rimasi strabiliato, rimasi proprio appassionato e
mi dissi che bisognava tentare di realizzare qualcosa di analogo anche in
Italia. Ho pensato che davvero se si riusciva ad informare, la possibilità di
diventare dei consumatori potenti che riescono a condizionare le imprese
diventava una realtà e non più soltanto un sogno.
Un
po' alla volta siamo riusciti a mettere in piedi la “Guida al consumo
critico” come primo tentativo di informazione ai consumatori. Noi abbiamo
fatto una guida che differisce un po' dalle guide che circolano all'estero,
perché all'estero hanno una concezione più morale dell'economia per cui danno
moltissima importanza a problemi come il trattamento degli animali che è
sicuramente importante, danno molta importanza all'ambiente, danno molta
importanza alle pari opportunità per gli uomini e per le donne, per gli
invalidi, tutti aspetti importanti ma che però secondo noi hanno il difetto di
non concentrarsi invece sui problemi sociali che sono altrettanto gravi. Perciò
ci sono delle guide che circolano all'estero dove non si analizza per niente il
comportamento delle imprese nel sud del mondo. Ci sono delle guide che
circolano all'estero in cui non si analizza per niente il rapporto col mondo
del lavoro, cioè non ci si chiede come si comportano le imprese in ambito
sindacale. Noi abbiamo fatto una guida con una forte attenzione per tutti gli
aspetti sociali. Qualche volta non ci siamo riusciti, abbiamo dovuto mettere
dei punti interrogativi per onestà. Però molto spesso invece, cercando qua e
là, appoggiandoci al sindacato, appoggiandoci ad un gruppo di ricerca estero,
appoggiandoci ad un gruppo che operava localmente, siamo riusciti ad avere
tutta una serie di informazioni per cui oltre ai temi che venivano affrontati
all'estero ne abbiamo inseriti altri molto importanti per noi come l'abuso di potere,
per esempio. Questo è un criterio nuovo che abbiamo inserito.
Noi
contestiamo alle imprese che, per il solo fatto che loro hanno tanto denaro da
spendere, possano gestire una fetta di potere che è superiore a quella di
ciascuno di noi. Io non glielo riconosco, questo per me è abuso di potere, non
soltanto la pressione che le imprese fanno di continuo sui governi,
particolarmente appariscente a livello della Comunità Europea. Ci sono tutta
una serie di organizzazioni, di associazioni che hanno messo in piedi le
imprese multinazionali più potenti d'Europa esclusivamente per fare quello che
si chiama "lobby", cioè pressione sulla CEE affinchè vengano fatte
delle regolamentazioni che siano loro favorevoli. Ci sono associazioni apposta
per tentare di fare pressioni su istituzioni come la FAO dove si decidono per
esempio i parametri della quantità dei pesticidi che sono ammessi dentro gli
alimenti o le istituzioni come l'Organizzazione Mondiale del Commercio che sono
costantemente sotto la pressione delle imprese perché lì si discute del
commercio, quindi proprio dell'aspetto principale che fa vivere le imprese. Noi
non riconosciamo questa fetta di potere alle imprese, quindi abbiamo voluto
creare questo capitolo apposta dove si sono messi al bando tutti questi
comportamenti ma anche il possesso dei mezzi di informazione.
Tra le novità che abbiamo inserito c'è il ricorso a paradisi fiscali. Noi siamo qui che tentiamo di raschiare il barile, ticket di qua ticket di là, e questi signori hanno legalmente la possibilità di poter prendere la loro casa madre finanziaria e spostarla a Panama, dove fanno confluire attraverso tutta una serie di giochi di prezzi e di fatturati tutti i loro profitti e non pagano invece quello che pagherebbero in Italia o dove si produce la ricchezza. Questa è evasione fiscale legalizzata, tutti gliela riconoscono, ma noi cittadini non gliela dobbiamo riconoscere. Veramente sarebbe una grande rivoluzione se i consumatori cominciassero a dire: noi non compriamo i tuoi prodotti perché tu sei un evasore fiscale e non te lo riconosciamo perché tu non fai soltanto il tuo interesse ma fai il danno nostro, perché siamo noi dopo che dobbiamo tentare di porre rimedio a tutto ciò che non paghi tu. Questo è un altro aspetto che abbiamo messo in risalto.
Io
non passo in rassegna tutti i 12 punti. Vorrei rammentare il coinvolgimento con
le armi e qui ne vengono fuori delle belle; non abbiamo soltanto la Agnelli con
la sua proprietà della Valsella e di tante altre industrie che producono armi.
E'
veramente interessante fare queste ricerche perché vengono fuori delle cose
inaspettate. Io vi rimando al libro per vedere quali sono tutti i criteri.
Vorrei
dire soltanto altre due cose. Non pensiate che le imprese siano insensibili
all'azione dei consumatori: sono estremamente sensibili, e che siano sensibili
lo dimostra il fatto che se voi vi provate a scrivere a un'impresa, salvo
eccezioni, questa vi risponde. Quelle che hanno una certa dignità, una certa
esperienza alle spalle, specie le imprese americane e del Nord Europa, ogni
volta che ricevono una lettera da un consumatore si prendono sempre la briga di
rispondere, magari di rispondere delle fregnacce. Gli rispondono delle cose
che non stanno né in cielo né in terra, o rispondono così come sta bene a loro,
però si prendono la briga di rispondere proprio perché sanno che il consumatore
può avere un grande potere nei loro confronti. Noi dobbiamo tentare di
utilizzare al meglio questo potere che abbiamo tra le mani e cercare di capire
anche come si può usare questo potere per tentare di risolvere i problemi più
gravi che abbiamo davanti.
Uno
dei problemi più gravi che almeno io sento come persona è la situazione di
sfruttamento che sta crescendo nel sud del mondo. Questa massa di persone è
sempre più ridotta in condizioni di schiavitù per produrre per noi. Oramai il
mondo è stato diviso in due: i ricchi consumatori da una parte e tutti gli
altri, ridotti alla schiavitù, dall'altra.
Questa
è una situazione che io non accetto, il fatto di poterla avvallare con i miei
consumi mi fa star male, ma sto male anche soltanto se non compro più un paio
di scarpe Nike per il solo fatto che so che Nike esiste. Questo già di per sé
mi fa star male e tento di organizzarmi per far cessare questo fenomeno. Noi ad
esempio abbiamo fatto una conferenza a Pisa dove abbiamo tentato di radunare
esponenti dei movimenti sindacali, dei diritti umani del sud del mondo e i
rappresentanti dei movimenti delle O.N.G. del nord proprio con questo intento,
di approfondire meglio la situazione dei lavoratori del sud, per tentare di
capire che cosa possiamo fare assieme per obbligare le multinazionali a
comportamenti diversi. Allora ci siamo resi conto ad esempio che ci sono degli
strumenti particolarmente importanti che possono davvero dare un nuovo
indirizzo, delle nuove prospettive ai lavoratori del sud e questi strumenti si
chiamano codici di condotta.
Ci
sono delle imprese che per loro iniziativa hanno incominciato a dire:
"bene, io mi impegno a non trasferire più la produzione ad imprese che si
comportano così e così". Allora noi pensiamo che questi strumenti siano
molto importanti, ma attenzione: non possono essere degli strumenti che le
imprese gestiscono da sé, è troppo facile; loro si pigliano l'impegno e se ne
certificano poi il rispetto. È troppo semplice. Poi si va a vedere quello che
succede e si vede che i lavoratori continuano a stare ancora nelle stesse
condizioni, quindi lo strumento va bene ma ci vuole un controllo democratico.
Ecco allora che è in atto in tutta Europa e negli Stati Uniti un grande
movimento per tentare di indurre le imprese a dotarsi si di codici di
comportamento per il trasferimento della produzione ma nello stesso tempo che
siano codici contrattati con delle O.N.G. e soprattutto che siano messi in
piedi dei comitati di controllo per verificare che poi davvero questi codici di
condotta siano rispettati. Noi in Italia ci stiamo organizzando per lanciare
una campagna contro la Nike e la Reebok per indurli ad accettare queste due
condizioni: codici di condotta che siano contrattati con le forze sociali e
l'accettazione di commissioni indipendenti. Per partire abbiamo deciso di
cominciare con l'invio di cartoline perché ci sembrava che fosse un mezzo
adatto in questa particolare situazione per cominciare a lanciare il problema e
per cominciare ad avere l'adesione di molte forze.
Quando
pensiamo alle azioni nei confronti delle imprese tentiamo di mettere in piedi
delle azioni che vogliono nello stesso tempo affrontare i nodi più importanti
che noi abbiamo davanti e ogni volta dobbiamo studiare delle strategie che
siano appropriate.
Un
ultimo discorso. Quando parliamo di acquisti non è importante soltanto puntare
sulla qualità, e per quanto riguarda la qualità vi ho spiegato che cosa
intendo, ma è necessario pensare anche alla quantità e questo soprattutto in
chiave di giustizia planetaria. Noi oggi viviamo in una situazione in cui il
23% della popolazione mondiale, che siamo grosso modo noi, si appropria
dell'80% delle risorse della terra e questa è una delle vie che condanna gli
altri 2/3 della popolazione a rimanere nella povertà perenne, a diventare
sempre più poveri per una ragione molto semplice che oramai abbiamo capito, che
da un punto di vista delle risorse e da un punto di vista della biosfera la
terra è una. La Caritas tedesca ha ordinato uno studio ad un istituto
ambientalista tedesco e loro hanno incominciato a tirare fuori questo concetto
dello spazio vitale individuale, cioè ciascuno di noi bene o male per vivere
produce inquinamento e va mantenuto entro una certa soglia per consentire agli
altri di produrre il loro inquinamento per poter vivere dignitosamente. Solo se
tutti insieme manteniamo una soglia piuttosto bassa che sia compatibile con la
tolleranza della biosfera riusciremo a far sopravvivere questo pianeta. E'
certo che se noi facciamo la parte del leone e occupiamo non soltanto il nostro
spazio ma anche il loro, noi impediremo loro di avere la crescita economica di
cui hanno bisogno per riuscire a vivere meglio. E' fondamentale che noi iniziamo
a rivedere in profondità il nostro stile di vita da un punto di vista dei
consumi, proprio da un punto di vista della giustizia planetaria. Quale è il
problema? Il problema è che noi dobbiamo consumare meno, e nello stesso tempo
risolvere tutti i problemi sociali che noi abbiamo davanti ed ecco che ora il
problema si ricollega all'intervento che è stato fatto nella prima parte di
questa serata e cioè che tipo di sistema economico vogliamo mettere in piedi.
Noi dobbiamo appunto pur disponendo di meno, garantire i bisogni fondamentali a
tutti, dobbiamo nello stesso tempo essere capaci di garantire un lavoro a
tutti. Io penso che questa possibilità ci sia nella misura in cui davvero
facciamo un salto di logica, usciamo dalla logica di una economia al servizio del
profitto per entrare nella logica di un'economia finalmente al servizio
dell'uomo.