torna a www.puntopace.net
UN ARTICOLO DA LEGGERE, PER CAPIRE MEGLIO
UN CERTO FENOMENO ITALIANO e NON SOLO…
La Stampa, 6 maggio 2007
Se il nemico dei miei nemici è il mio Dio
Enzo Bianchi
[ricevuto da d.Renato" – Pax Chiesti italiana (drenato@tin.it]
René Remond, il grande pensatore dell'Académie
française recentemente scomparso, cattolico convinto
che negli ultimi tempi aveva denunciato il sorgere di
un nuovo anticristianesimo, aveva anche profetizzato
l'avvento di un uso politico della religione da parte
di forze politiche ad essa estranee; anzi, aveva
individuato la difesa della religione e dei suoi
valori come opportunità feconda per guadagnare
consensi in una stagione segnata da frammentarietà
culturale ed etica e da tentazioni identitarie. Non
possiamo che prendere atto che così è realmente
avvenuto: ormai, e di questo soprattutto i cristiani
dovrebbe esserne convinti, ogni fatto e ogni parola
che appartengono alla religione e alla vita ecclesiale
sono soggetti a un uso politico, fino a poco tempo fa
da parte di chi in realtà non è segnato dalla fede, ma
ultimamente anche da parte dei cristiani stessi. Per
un efficace uso politico della fede occorre
difenderla, indicarla come un labaro innalzato a
emblema identitario e di raccolta delle forze in vista
dello scontro con un nemico che viene agevolmente
indicato nello schieramento politico opposto.
Da tempo ripeto che questi sono giorni cattivi,
soprattutto per i cristiani credenti in Gesù Cristo e
nella forza del vangelo che hanno alle spalle una vita
segnata dalla ricerca di dialogo, di confronto, di
apertura: una via tracciata e indicata dalla chiesa
stessa e originata anche dall'evento del Vaticano II
che, in quanto concilio ecumenico presieduto dal papa,
rimane l'istanza più autorevole della chiesa
cattolica. La mia generazione di cattolici ha
imparato, con fatica e con uno sforzo di obbedienza
leale, che il dialogo con i non cristiani era urgente
e apparteneva allo stile evangelico dello stare nel
mondo e nella compagnia degli uomini; ha imparato che
occorreva vivere con intelligenza e responsabilità il
"dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è
di Dio", accogliendo una giusta laicità che garantisse
a tutti la libertà religiosa e permettesse alle
religioni di esprimersi pubblicamente; ha imparato che
ai cristiani era chiesto di assumere la misericordia,
l'accoglienza, la compassione come abiti evangelici.
Ma adesso anche queste acquisizioni, assunte a caro
prezzo, appaiono non solo incerte ma minacciate da
opzioni che le contraddicono. Molte parole sane del
vangelo sono ritenute parole "infami" (abbiamo sentito
questo giudizio sulla bocca di chi ha ricevuto il
compito di voce ecclesiale!); chi dialoga con
avversari (non "nemici!") è ritenuto un traditore o un
buonista arresosi agli altri; chi denuncia il rischio
di una chiesa che viva di politica e di strategia
appare come un nemico della chiesa stessa.
Tutto questo lascia ormai intravedere la fine del
dialogo tra cattolici e laici: si assiste a una
polemica continua, sempre più chiassosa e barbara che
fa sentire la chiesa assediata e che, di converso, dà
ai non credenti l'impressione di vedere minacciata la
libertà e la laicità. Che tristezza essere giunti a
vedere un vescovo costretto nella sua chiesa a
celebrare la liturgia eucaristica circondato da
guardie del corpo, che tristezza dover subire
l'irrisione della fede cristiana da parte di scritti
che riscuotono successo grazie a titoli che proclamano
"non possiamo essere cristiani e soprattutto
cattolici", che tristezza sentire usare parole come
persecuzione - tragica realtà per fratelli e sorelle
nella fede di troppi luoghi nel nostro pianeta - per
definire atteggiamenti insulsi che manifestano di per
sé la pochezza di chi li assume. Sì, stiamo
raccogliendo l'esito di anni di reciproco non ascolto,
di demonizzazione dell'avversario, di polemiche e
incomprensioni, e tutto questo in una agorà in cui non
si fronteggiano solo credenti e non credenti, ma in
cui altri attori cercano di fare uso politico della
fede cristiana. Il "religioso" abita ormai lo spazio
pubblico con derive settarie, con posizioni
fondamentaliste e intolleranti, con logiche
lobbistiche: così, nelle grandi sfide etiche che
premono sulla società civile, i credenti faticano a
raccontarsi, ad affermare le proprie ragioni, a
motivare i loro principi senza destare diffidenza o
addirittura avversione. E allora, nella stagione del
disincanto della politica - analogo al disincanto
della religione sperimentato una ventina d'anni fa -
la religione "risorge", soprattutto come risorsa
identitaria ed etica che la rende più facile preda di
forze politiche che vogliono sfruttarla a proprio
vantaggio.
Così si smarrisce la comprensione della "differenza
cristiana", della "anormalità cristiana in politica",
come la chiama l'intellettuale gesuita Paul Valadier.
Sì, normalmente nella storia religione e politica
vanno di pari passo, si appoggiano l'una all'altra, ma
il messaggio del vangelo non accetta questo assetto di
complicità o di scontro frontale. Il dare a Cesare ciò
che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio significa
anche annuncio di un regno di Dio che non è un regno
mondano, un regno in cui il potere non si conquista e
non si esercita al modo dei dominatori di questo
mondo. Gesù ha voluto accanto alla polis e inserita in
essa una comunità in cui sono principi irrinunciabili
il perdono, l'amore dei nemici, il servizio agli
altri. C'è una differenza cristiana che fa sì che la
relazione tra religione e politica non sia mai risolta
una volta per tutte, né si assesti in una staticità
immutabile, anche perché la frontiera tra spirituale e
temporale non è mai netta: esisterà sempre una
tensione tra il vissuto concreto di una spiritualità e
l'ideale che anima ogni opzione temporale.
Da qui deriva il dovere della chiesa di farsi
ascoltare, trovando modi e tempi per un intervento
autorevole ma non autoritario, non calato dall'alto ma
comprensibile per il suo linguaggio antropologico più
che dogmatico e teologico: un linguaggio non banale né
apodittico, ma passibile di essere accolto anche da
chi non condivide la fede che lo genera. Il portavoce
della Santa Sede, padre Lombardi, nelle polemiche che
in questi giorni hanno assunto toni di scontro e di
conflitto, ha pronunciato parole di grande sapienza
cristiana, animate da un'unica intenzione, quella di
garantire le condizioni per un dialogo rispettoso
anche tra fazioni avversarie. Ci auguriamo che queste
parole pacate sappiano anche fermare quell'uso
politico della religione che pare diventato lo sport
nazionale.