Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

L’enciclica Redemptor hominis. Linee teo-antropologiche per una decodificazione del mistero dell’uomo [Pubblicato in Vivarium 5 (1984/1-2)]

Il peccato è la caduta dell'uomo. La caduta non indica un incidente fortuito, ma una iattura radicale che fa deviare l'uomo dalla strada sulla quale egli diviene uomo. Deviando, non smarrisce la strada maestra e si incammina su una strada sbagliata; perde la possibilità di percorrere qualsiasi strada. La strada rappresenta non solo il senso di marcia, ma anche il senso antropo-logico, cioè un sistema o un universo in cui l'uomo ha un senso. E l'insieme delle connessioni razionali che conferiscono all'uomo un posto preciso, una sua logica nella sinfonia delle "cose" esistenti. La caduta come peccato è una caduta di senso. L'uomo precipita non solo "dall'alto", ma recide i suoi legami più profondi con ciò che è nel "di dentro" della sua realtà. Taglia non solo il raccordo con la sua origine, ma brucia ogni prospettiva futura e la stessa capacità di guardare prospettivamente. La nudità, l'angoscia, la paura dell'altro, che si ritrovano in Adamo peccatore, sono le espressioni di una tragica regressione alla quale porta il peccato. E una situazione, da un lato, precreaturale: si è risucchiati dal caos indistinto; dall'altro postocreaturale: si abdica dal compito di essere creatura. L'uomo diviene enigma, nel momento in cui rifiuta di vivere all'ombra del Mistero di Dio. Eppure la misteriosità del suo essere rimane. Si tratta di una misteriosità enigmatica, lontana dall'abisso di luce del mistero abbagliante di Dio. Il senso si prende una rivincita apparendo non-senso. La domanda che sale da esso è simile all'inquietante terrore che sorprende chi lancia uno sguardo dentro un pozzo, di cui non si riesce a scorgere il fondo.

Si tratta di un uomo che ha davanti a sé più fantasmi che risposte, o che ha, come la sfinge, domande senza risposte e la innata e insuperabile capacità di porre sempre nuove e più difficili domande.

La redenzione restituisce all'uomo la sua collocazione in un universo sensato. Lo ricostituisce nella sua intrinseca riferibilità alle sue origini e al suo fine. In un nuovo quadro di riferimento, in cui l'uomo riscopre le coordinate che sorreggono la sua esistenza, l'enigma perde la sua caratterizzazione negativa ed inquietante. Riaffiora in lui il mistero, non già come ambito arcano e imperscrutabile, ma come pienezza non posseduta e ancora impossedibile di senso. Una pienezza luminosa, che seppure rimane abbagliante in se stessa, rischiara ora i tratti più oscuri del suo vivere e del suo morire, offrendo una risposta alla domanda più formidabile: quella del suo esistere.

«In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato-aveva scritto il Concilio - trova vera luce il mistero dell'uomo»[1]. La prima Enciclica di Giovanni Paolo II sembra contenere quest'assunto di fondo, che viene ad essere esplorato e sviluppato in tutto lo spettro dei suoi significati antropologici, in continuità con il testo conciliare. Nel mio contributo ho scelto di trattare quella componente soteriologica, secondo la quale il "mistero dell'uomo" si innesta "nel mistero del Verbo incarnato", ricevendo il suo senso perduto e sempre minacciato dal peccato.

Per brevità e sistematicità esaminerò la decodificazione del mistero dell'uomo, operata dalla Redenzione, su tre piani: a) la vicenda personale dell'uomo, B) la sua vicenda storico-sociale, c) la sua vicenda ecclesiale.

a) Il senso della vicenda personale dell'uomo

Ciò che dà senso al mistero dell'uomo è l'amore. «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rilevato l'amore, se non s’incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente»[2]. L'inscindibilità tra amore e senso dell'esistenza è una delle idee portanti dell'enciclica. I passaggi salienti che ne trattano espressamente portano il titolo «Dimensione divina del Mistero della Redenzione» (Nr. 9) e «Dimensione umana del Mistero della Redenzione» (Nr. 10). Sono due aspetti non disgiunti, ma profondamente uniti. La rivelazione di Dio come "amore", il suo agire nella storia degli uomini secondo la logica della misericordia, la vocazione sublime alla quale egli chiama il singolo e la comunità sono espressioni di una realtà divina, che, mentre svela se stessa, svela anche la profonda realtà del cuore dell'uomo. Attraverso Cristo Redentore l'uomo è pienamente rivelato all'uomo stesso. «Questa è - se così è lecito esprimersi - la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l'uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l'uomo diviene nuovamente "espresso" e, in qualche modo, è nuovamente creato» (Nr. 10).

L'inscindibile unità tra la dimensione umana e la dimensione divina della Redenzione si fonda su Cristo stesso. Il fatto che con l'incarnazione Egli «si è unito in certo modo ad ogni uomo»[3] potrebbe autorizzarci a parlare anche di una dimensione divina del mistero dell'uomo, dal momento che, come prosegue il Concilio nello stesso numero, Cristo «ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo». L'espressione non ricorre materialmente nella lettera, che segue prevalentemente l'ordine storico salvifico discendente, anche se, sul fondamento della genuina tradizione cristologica[4], si può parlare di un processo ascensionale dell'uomo verso Dio, come verso il suo mistero. Il Papa lo descrive fenomenologicamente in questi termini «Egli (l'uomo) deve, per cosi dire, entrare in Lui (Cristo) con tutto se stesso, deve "appropriarsi" ed assimilare tutta la realtà dell'incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso» (Nr. 10).

A contatto con Cristo riappare il senso dell'esistenza dell'uomo. Lo stupore dal quale rimane sorpreso è la meraviglia di fronte alla dimensione divina del suo mistero. Creato ad immagine e somiglianza di Dio, l'uomo scopre il valore illimitato della sua dignità, della sua libertà, della sua coscienza. Questi stessi elementi, che senza la Redenzione sarebbero rimasti enigmatici, perché vuoti di contenuti e privi di una riferibilità donatrice di senso, riacquistano in Cristo consistenza e spessore. Diventano elementi discriminanti per una comprensione dell'uomo che è simultaneamente teologica ed antropologica. Rifacendosi alla Dichiarazione sulla libertà religiosa del Concilio, Giovanni Paolo II ribadisce che l'evangelizzazione deve andare di pari passo con «una profonda stima per l'uomo, per il suo intelletto, la sua volontà, la sua coscienza e la sua libertà» Nr. 12). Non si tratta solo del metodo dell'annuncio, ma anche dei suoi contenuti. Tra questi «la stessa dignità della persona umana diventa contenuto di quell'annuncio, anche se privo di parole, mediante il comportamento nei suoi riguardi» (Nr. 12). Si tratta di una libertà che restituisce all'uomo le radici della sua umanità.

In termini giovannei gli restituisce la sua verità: «Anche oggi dopo duemila anni, il Cristo appare a noi Colui che porta all'uomo la libertà basata sulla verità, come Colui che libera l'uomo da ciò che limita, menoma e quasi spezza alle radici stesse, nell'anima dell'uomo, nel suo cuore, nella sua coscienza, questa libertà» (Nr. 12).

Le caratteristiche dell'uomo sono alla luce della Redenzione riscoperte, valorizzate, potenziate. Sono queste che conferiscono non all'uomo in astratto, ma ad ogni uomo il senso dell'essere-uomo. La sua .dignità non potrà non essere rispettata. Nessuna forza al mondo potrà sopprimere un solo tratto dell'immagine di Dio che in lui vive, dell'impronta di Cristo che inabita in lui. Non c'è potere sulla terra che possa attentare alla libertà, al valore, alla vita dell'uomo senza non attentare alla sua morfologia cristiforme, e, in definitiva, a Cristo stesso. Poste queste premesse, risultano anche comprensibili la passione e il vigore, con cui il Papa difende i diritti dell'uomo. Essi devono essere rispettati efficacemente e concretamente. Non basta elencarli o menzionarli, bisogna anche "praticarli", con una prassi che va oltre la "lettera" e attinge continuamente allo, "spirito"[5].

Cristo redime l'uomo in quanto redime ogni singolo uomo restituendogli il suo incommensurabile destino. Si tratta dell'uomo «nella sua unica e irrepetibile realtà umana, in cui permane intatta l'immagine e la somiglianza con Dio stesso» (Nr. 13). «L'uomo così com'è "voluto" da Dio, come è stato da Lui eternamente "scelto", chiamato, destinato alla grazia e alla gloria: questo è proprio "ogni uomo", l'uomo "il più concreto", "il più reale"; questo è l'uomo in tutta la pienezza del mistero di cui è diventato partecipe in Gesù Cristo» (Nr. 13).

b) La vicenda storico-sociale dell'uomo

Il secondo livello, sul quale Cristo si manifesta come Redentore dell'uomo, è quello dei rapporti interpersonali. La Redemptor hominis li riassume in un lungo inciso con queste parole: «L'uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale - nell'ambito della propria famiglia, nell'ambito di società e di contesti tanto diversi, nell'ambito della propria nazione, o popolo (e, forse, ancora solo del clan, o tribù), nell'ambito di tutta l'umanità - quest'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione» (Nr. 14).

Si tratta del senso dell'uomo nel mondo e più in generale nella storia. Anche in quest'ambito il peccato non aveva solo incrinato i rapporti del singolo con la comunità, aveva fatto cadere il presupposto della stessa riferibilità dell'individuo all'insieme, dell'Io al Tu. La Redenzione ristabilisce tale rapportabilità. Mette in evidenza l'unico e imprescindibile valore dell'amore nella vicenda umana, come vicenda di una società che cammina nella storia e costruisce la storia.

Se nel mistero del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell'uomo, si potrebbe anche affermare che nel mistero della Chiesa trova luce il mistero dell'uomo nella sua dimensione sociale. La Chiesa, che sa di essere unita intimamente al Cristo e ad ogni uomo, rischiara analogicamente il mistero della società e della storia. L'autocoscienza della Chiesa non può essere solo "ad intra", è anche autocoscienza "ad extra". In forza dell'Incarnazione di Cristo e della missione da Lui affidatale, la sua autocoscienza è anche autocoscienza del mondo.

Di conseguenza la Chiesa scopre la presenza del peccato e le tracce della Redenzione operanti tuttora nel mondo. Addita nel peccato la causa prima dell'intima divisione dell'uomo nella stessa struttura della persona e nei rapporti interpersonali[6]. Lo vede ancora all'opera nelle minacce incombenti sulla società e sull'intera umanità. È una situazione che genera angoscia. «L'uomo, pertanto, vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso; teme che possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione, di fronte alla quale tutti i cataclismi e le catastrofi della storia, che noi conosciamo, sembrano impallidire» (Nr. 15). La lettura degli elementi negativi nella società contemporanea è grave ma sincera. Più che impietosa, è pervasa da un fremito di passione. Sono passati in rassegna: la mancanza di una "razionale ed onesta pianificazione" dello sfruttamento della terra, l'incontrollato e sconsiderato impiego delle risorse a scopi militari, l'assenza di altri significati dello stesso ambiente naturale, all'infuori di «quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo» e, in generale il decadimento di una contestualità etica in cui valutare lo stesso progresso (Nr. 15).

Non suscitano sorpresa allora le denunce che seguono.

«È, infatti, ben noto il quadro della civiltà consumistica, che consiste in un certo eccesso dei beni necessari all'uomo, alle società intere  e qui si tratta proprio delle società ricche e molto sviluppate - mentre le rimanenti società, almeno larghi strati di esse, soffrono la fame, e molte persone muoiono ogni giorno di denutrizione e di inedia» (Nr. 16). Ma in tal modo si consuma anche un peccato: quello dell'indifferenza dinanzi al Cristo affamato e assetato. Le parole di Cristo nella scena del giudizio (Matteo 25) sono parole che smascherano il peccato dell'egoismo. «Queste parole acquistano una maggiore carica ammonitrice, se pensiamo che, invece del pane e dell'aiuto culturale ai nuovi stati a nazioni che si stanno destando alla vita indipendente, vengono offerte, talvolta in abbondanza, armi moderne e mezzi di distruzione, posti a servizio di conflitti armati e di guerre, che non sono tanto un'esigenza della difesa dei loro giusti diritti e della loro sovranità, quanto piuttosto di una forma di sciovinismo, di imperialismo, di neocolonialismo di vario genere» (Nr. 16).

La succitata pagina del Vangelo di Matteo è da considerarsi positivamente nel filone della docodificazione del mistero dell'uomo, in quanto ci offre i criteri per valutare l'agire dell'uomo, di ogni uomo, nei confronti dell'altro. In questa medesima ottica bisogna subordinare il progresso al mistero dell'uomo e della sua Redenzione. Se tutto è stato redento, anche il frutto delle sue decisioni e del suo agire deve contribuire alla redenzione degli altri e, in primo luogo, dei più infelici e dei meno fortunati.

L'Enciclica traccia perciò una mappa critica sul progresso e le sue tappe. «È per questo che bisogna seguire attentamente tutte le fasi del progresso odierno: bisogna, per cosi dire, fare la radiografia delle sue singole tappe proprio da questo punto di vista. Si tratta dello sviluppo delle persone e non soltanto della moltiplicazione delle cose. Si tratta - come ha detto un filosofo contemporaneo e come ha affermato il Concilio - non tanto di "avere di più", quanto di "essere di più» (Nr. 16).

"Essere di più" diventa il compito del singolo e deve diventare il programma di qualunque forma di convivenza sociale. Crescere in umanità, corrispondentemente alla statura e alla maturità, verso le quali ci spinge l'umanità divinizzata del Cristo, significa anche attivare tutti i processi che Portano la società a «risoluzioni audaci e creative conformi all'autentica dignità dell'uomo» (Nr. 16).

Si afferma espressamente nell'enciclica che un tale compito è possibile da realizzare e si indica come principio di un nuovo modo di impostare gli scambi, a tutti i livelli, con un piano di «più ampia e immediata ridistribuzione della ricchezze e dei controlli su di esse», il principio della solidarietà. Contemporaneamente si ribadisce, sulla scia della Populorum progressio, l'insufficienza della sola categoria del progresso economico. «Lo sviluppo economico, con tutto ciò che fa Parte del suo adeguato modo di funzionare, deve essere costantemente programmato e realizzato all'interno di una prospettiva di sviluppo universale e solidale dei singoli uomini e dei popoli» (Nr. 16). Anche in questo caso il dato antropologico sembra precedere e condizionare il dato sociale.

La sintesi di entrambi si può raccogliere in due termini, che non sono da sovrapporre, ma nenmeno da separare: la trasformazione e la conversione. Il primo indica il lavoro da condurre sulle strutture, in vista di un loro miglioramento o di un loro cambiamento per un'umanizzazione del mondo. Il secondo indica il lavorio interiore da condurre in se stessi e negli altri, dato che «sulla strada dell'indispensabile trasformazione delle strutture della vita economica non sarà facile avanzare se non interverrà una vera conversione della mente, della volontà e del cuore» (Nr. 16).

c) La redenzione e la Vicenda ecclesiale dell'uomo

La dimensione personale e quella sociale dell'uomo trovano una sintesi nell'ecclesialità. La Chiesa è saldamente ancorata al mistero di Cristo e al mistero dell'uomo. Da Cristo ha ricevuto le chiavi del Regno di Dio per accostarsi al mistero, scrutandolo sulla terra e nei cieli. Possiede la chiave ermeneutica per decifrare ciò che è sulla terra, alla luce di quanto è nei cieli e ciò che è nei cieli, alla luce di quanto è sulla terra. Il mistero della Chiesa è infatti "prolungamento" del Mistero di Cristo verbo Incarnato che unisce il cielo e la terra. Attraverso di Lui è «sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»[7]. La "sorte dell'uomo" è legata inscindibilmente con la realtà della Chiesa, dal momento che non esiste realmente nulla che sia sotto l'influsso dello Spirito Santo, che non rientri contemporaneamente in questa sacramentalità primigenia unificante il mondo in se stesso e questo con Dio. Ciò accade in forza di quel Mistero Redentivo operante attraverso lo Spirito anche «oltre i confini visibili del Corpo Mistico»[8]. La missione della Chiesa è di conseguenza quella di indicare, come il Battista, Cristo presente nel mondo. Deve far convergere su di Lui tutti gli sguardi e indicare in Lui la sorgente e il luogo di appagamento della ricerca della verità. Se "Cristo si è unito ad ogni uomo", la Chiesa, scoprendo il bene dell'uomo, riscopre le tracce di Cristo. Leggendo autoritativamente ed umilmente il senso compiuto nei brandelli di verità e nelle ricerche di autenticità presenti oltre i suoi confini, essa interpreta, precisa e completa l'opera redentrice, che in maniera multiforme, ricuce come filigrana invisibile il tessuto della storia.

Decifrando il mistero dell'uomo, la Chiesa s'imbatte nelle due coordinate fondamentali, già viste, che compongono, strettamente intrecciate tra loro, l'enigma dell'uomo, come le parole verticali e quelle orizzontali costituiscono il reticolo di un gioco di parole crociate. In una bipolarità organica, in cui la soppressione di un polo non è possibile, perché andrebbe a detrimento dell'altro, la componente esistenziale-personale e quella storico-sociale possono essere e sono effettivamente decodificate grazie all'unico linguaggio che la Chiesa ha ricevuto, il Vangelo, e alla sola cifra che ci è data in cielo e in terra, Gesù Cristo[9].

In Cristo ricevono una risposta gli enigmi fondamentali dell'esistenza umana e che già il Concilio sintetizzava in questi «interrogativi capitali: che cos'è l'uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che malgrado ogni progresso continuano a sussistere?»[10]

Cristo redime l'uomo in quanto redime le realtà esistenziali che lo angosciano. Sulla scia, che è la via di uno che conosce la sofferenza, il dramma della morte e anche l'interrogativo del senso stesso della vita, l'uomo, portando la croce del suo essere-uomo, può vedere la sua sorte in quella del suo Maestro. La sua non è più una sorte assurda, dannata. Diventato figlio di Dio. l'uomo riceve una forza, che lo trasforma interiormente, «quale principio di una vita nuova che non svanisce e non passa, ma dura per la vita eterna» (Nr. 18). In Cristo egli riceve una nuova sorte, nuova perché non più insensata. «Questa "sorte divina" si fa via, al di sopra di tutti gli enigmi, le tortuosità, le curve della "sorte umana" nel mondo temporale» (ivi).

Se la dimensione personale-esistenziale costituisce, per così dire, la coordinata verticale dell'uomo, quella storico-sociale ne costituisce la orizzontale. La seconda parte degli interrogativi del Consiglio tocca la seconda dimensione:

«Cosa valgano queste conquiste a così caro prezzo raggiunto? Che reca l'uomo alla società, e che cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?»[11]. L'ultima domanda sembrerebbe piuttosto una sintesi tra la prima serie di interrogativi e la seconda. Ne va infatti non solo del senso della vita del singolo dopo la morte, ma di quella dell'intera società.

Gli interrogativi riguardanti il senso della socialità e della società nel suo insieme sono stati parzialmente trattati nel seconda parte dell'articolo. Qui ci interessa vederne i risvolti più marcatamente ecclesiologici, partendo da quella premessa che era parso legittimo formulare precedentemente. Essa suona: se nel mistero del Verbo Incarnato trova piena luce il Mistero dell'uomo, nel mistero della Chiesa trova piena luce il mistero della società, così come nel mistero della storia della salvezza trova piena luce il mistero della storia umana.

La sacramentalità della Chiesa ci permette, tramite il Cristo risorto e in essa vivente, di andare oltre le soglie della temporalità e della spazialità. Il mistero dell'uomo si apre a una coralità che sintetizza antropologia e ecclesiologia, poiché unifica l'umanità al suo interno e questa con il Creatore. In questo dinamismo la decodificazione del mistero dell'uomo è decodificazione del mistero della storia secondo le linee cristologiche, che caratterizzano la unione di Cristo con ogni uomo. L'enciclica, rifacendosi al Concilio, considera tale compito come missione della Chiesa, nella partecipazione di questa al triplice ufficio di Cristo.

La Chiesa adempie il suo compito profetico annunciando la verità, che essa comprende e si sforza di penetrare sempre più, nell'accostare l'uomo con i criteri e le categorie cristologiche e nell'accostarsi sempre maggiormente al mistero di Cristo, portando nel cuore gli interrogativi dell'uomo. Ne derivano un impegno di fedeltà alla Parola di Dio e un costante servizio della verità nei confronti dell'uomo. La partecipazione all'ufficio sacerdotale si realizza nel vasto dinamismo della "ricapitolazione" paolina dell'universo. Con il sacerdozio regale «partecipiamo a quell'unica e irreversibile restituzione dell'uomo e del mondo ai Padre, che Egli, Figlio eterno e insieme vero uomo, fece una volta per sempre» (Nr.20).

L'Eucaristia e il sacramento della penitenza sono luoghi privilegiati e paradigmatici dove si ricostruisce l'unità della famiglia umana, mentre si ricostruisce la Chiesa. L'Ufficio regale scaturisce dalla sequela di Cristo. Come il suo Maestro, anche la Chiesa è nel mondo per servire. La vocazione alla sequela si manifesta in un servizio regale. Servire e regnare sono infatti due aspetti tipici della vocazione cristiana (Nr. 21). Regnare non significa dominare, ma «realizzare una matura umanità di ciascuno di noi» (Nr. 21).

Portando l'uomo alla sua maturità, generando l'uomo nuovo, la Chiesa scopre e vive il senso della sua maternità. Sull'esempio di Maria, che per questo è Madre della Chiesa, anch'essa ci fa nascere a Cristo nella fede, nella sequela, nella croce e nell'attesa. Si svela così anche il mistero della maternità.

L'enciclica ne parla nei termini di un'affettuosa vicinanza tra Dio e l'umanità, tra la Madre di Dio e la Chiesa stessa e tra la Chiesa e gli uomini di ogni tempo. L'enigma iniziale dell'uomo viene infine ad essere completamente rovesciato. L'abisso tra il mistero inaccessibile di Dio e quello inquietante e senza risposte dell'uomo, attraverso l'umanità di Cristo e la sua Incarnazione, attraverso la sua Redenzione si è ridotto fino a diventare distante quanto lo spazio di un abbraccio, quello di una madre e del suo bambino.



[1] Gaudium et spes (abb. GS), n. 22.

[2] Redemptor hominis (d'ora in poi abbreviata RH) Nr. 10. Per la traduzione mi sono servito di quella dell'Osservatore Romano del l6-3-1979. L'enciclica porta la data della prima Domenica di Quaresima, 4.3.1979.

[3] GS 22. Tutto il numero 13 della RH porta il titolo: “Cristo si è unito ad ogni uomo”.

[4] Cf. i testi citati anche dalla GS 22: Conc. di Calc. (D 302); Cost. Il (D 428); Cost. III (D 556).

[5] Cf. l'intero Nr. 17, intitolato «Diritti dell'uomo: "lettera" o "spirito"», ove si applicano le categorie paoline per mostrare l'inconsistenza di una "lettera" insufficiente, se non menzognera, che uccide, e il valore dd riferimento allo "spirito", che invece dà la vita.

[6] Cf. Nr. 14, che riprende in questo testualmente GS 10.

[7] L'espressione, che contiene una grande ricchezza, tutta ancora da esplorare nella teologia, è nella LG 1. È ripresa dalla RH e costituisce quasi lo sfondo tematico della sezione IV: "La missione della Chiesa e la sorte dell'uomo".

[8] L'espressione è della RH, che recita testualmente: «Non avviene forse talvolta che la ferma credenza dei seguaci delle religioni non cristiane - effetto anch'esso dello Spirito di verità, operante oltre i confini del Corpo Mistico - quasi possa confondere i cristiani, spesso cosi disposti a dubitare, invece, nelle verità rivelate da Dio e annunziate dalla Chiesa, cosi propensi al rilassamento dei principi della morale e ad aprire la strada al permissivismo etico?»

[9] Cf. RH Nr. 10: «In realtà quel profondo stupore riguardo al valore e alla dignità dell'uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo».

[10] GS 10.

[11] GS 10.