Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

G.Mazzillo 3  Incontri sulla Lumen gentium. Parrocchia San Paolo, Praia a Mare, gennaio 2004

3° Incontro:  Chiesa della Trinità, popolo delle beatitudini

3.1.    La Chiesa icona della rivelazione di Dio come amore

Dinanzi al mistero di Dio ogni lingua ammutolisce perché ogni pensiero resta abbacinato e l’uomo mai come allora si ritrova confuso. Quando la nostra mente si avventura fino alle soglie dell’Abisso che tutto avvolge e oltre il tutto si sprofonda, il cuore comincia a tremare e un senso di vertigini ci invade. Chi può mai asserire qualcosa della realtà intima di Dio senza temere che nello stesso istante in cui formula i suoi pensieri, proprio essi lo tradiscano per una loro fondamentale inadeguatezza ad esprimere l’Inesprimibile e a pensare l’ineffabile? Certamente di Dio l’uomo avrebbe potuto dire ben poco e il teologo sarebbe rimasto senza formule e tutti, al più, saremmo rimasti solo ad origliare il suo silenzio, se Egli non ci avesse guardato con quella tenerezza con la quale il padre guarda i suoi figli anche quando questi ignorano la sua paternità. Cercando un’immagine che esprima la sua “accondiscendenza”, forse ci può aiutare l’episodio di Giuseppe nel momento in cui vede i suoi fratelli che non sanno di essere alla sua presenza e si commuove e si turba profondamente per loro. Piange prima di nascosto le sue lacrime e poi, quando l’amore diventa incontenibile, si dà finalmente a conoscere. Quanto tempo ha atteso quel Padre che ci ama, per quanto tempo si è contenuto, con quale infinita tenerezza ci ha osservato? Era lì accanto a noi e noi non lo sapevamo. Era ed è accanto ad ogni suo figlio senza che egli se ne accorga. Ci vede soffrire, ci vede sorridere, ci vede vivere, perché da lui è venuta la vita e noi da lui abbiamo ricevuto e grazia su grazia[1]. Ha atteso il tempo più opportuno per non atterrirci e finalmente con la discrezione che non ferisce e con la gradualità che solo un amore più grande può sopportare, ci ha parlato di sé e, svelando la nostra identità, ci ha fatto cogliere qualcosa del suo pur sempre abissale mistero.

Sicché l’amore di Dio si è manifestato e non altro[2]. Di Lui abbiamo saputo tutto ciò che potevamo conoscere. Egli ci è venuto incontro come “amore” ed è da questo assunto che dobbiamo sempre ripartire. Quando dal silenzio finalmente abbiamo percepito un flebile sì, flebile perché non restassimo atterriti dal frastuono di un amore traboccante, allora abbiamo cominciato a capire che Dio era tutto quello che di Lui avevamo pensato ed era anche il suo contrario. Presso la culla di Betlemme chiunque abbia il coraggio di chinarsi potrà sentire ciò che Maria di Nazareth aveva avvertito nella sua esperienza singolare di donna e di madre: il sì delicato ed esigente di Dio, la dichiarazione del suo amore sussurrato e sconvolgente. Nazareth prima e Betlemme poi, da lì ad appena nove mesi (quanti bastano all’amore compiutamente accettato per venire alla luce), segnano la nuova toponomastica dell’Incatturabile e dell’Indicibile Dio. Ne contrassegnano l’esaltazione più grandiosa e lo scacco più impensato.

La Lumen gentium    contiene chiari riferimenti di questo modo più personalistico e meno astratto di guardare alla rivelazione, così come contiene nel capitolo 8° una sezione riguardante la beata Vergine Maria:  “La beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa”.  Si applicano a Maria alcune impostazioni adottate in generale dal Concilio:

1)    l'impostazione biblica: sono evidenziati non solo i passi biblici relativi alla Figura di Maria, ma anche la particolarità sensibilità di lei, nell’ascolto della Parola di Dio, nella sua fedele e tenace obbedienza; in tutto ciò Maria è esemplare per la Chiesa;

2)    l'impostazione ecumenica: il testo recepisce alcune difficoltà di natura ecumenica, come ad esempio la mediazione di Maria, che 300 Padri volevano fosse esplicitamente definita dal Concilio e che non ebbe luogo, mentre nel testo definitivo resta della dicitura: ”omnium gratiarum mediatrix”, mediatrice di tutte le grazie,  solo come un titolo tra i titoli .

3)    l'mpostazione sintetica tra il modello cristotipico ed ecclesiotipico: si evidenzia infatti “l’unione della Madre con il Figlio nell’opera della redenzione ... dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla di lui morte” (n.57) e si afferma che “finito il corso della sua vita terrena, (Maria) fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo, e dal Signore esaltata quale Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata con il Figlio suo, Signore dei dominanti e vincitore del peccato e della morte”(n. 59). Si afferma anche la maternità spirituale di Maria che “nell’economia della grazia perdura senza soste dal momento del consenso fedelmente prestato nell’Annunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti” (n. 62). Pertanto “La beata Vergine, per il dono e ufficio della divina maternità che la unisce con il Figlio redentore, e per le sue singolari grazie e funzioni, è pure intimamente congiunta con la Chiesa”(n. 63).

Congiunta con Cristo e con la Chiesa, Maria è immagine della Chiesa, che va peregrinando nella sequela di Gesù e «brilla...quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (n. 68).

3.2.   Dal Dio comunione alla Chiesa comunità d'amore

Ciò che non bisogna mai stancarsi di dire è che il mistero di Dio al quale attinge la fede è quello che biblicamente si è manifestato a noi come progetto di salvezza attraverso la chiamata degli uomini alla comunione con Lui.  Contemporaneamente si è svelato come mistero di unione di tre distinte Persone. Si tratta del grandioso progetto della riconciliazione tra gli uomini e della loro rappacificazione con Dio. Per la nostra ecclesiologia è il progetto della comune-unione, un progetto che vede impegnati i tre “soggetti” divini, le tre Persone che pur essendo distinte, sono però talmente unite tra loro da realizzare compiutamente l’Unione. La chiamata alla communio, chiamata che avviene nella storia per gli uomini, segue nella cronologia della storia del mondo l’eterna e sempre realizzantesi perfetta e reciproca vocazione alla unio che avviene in Dio da sempre, oltre le sponde del tempo. L’appello storico alla pace dell’uomo con se stesso e degli uomini tra loro è susseguente e coerente al possesso della pace infinita che esiste nella stessa Unitrinità di Dio. Colui che non conosce né dissidi, né fratture chiama gli uomini ad una unità che risana ogni frattura e ricompone ogni contrasto.

L’Unitrinità dunque progetta e promulga la chiamata alla pace. Per questo motivo non esitiamo ad indicare il progetto salvifico come complessivo e storicamente onnicomprensivo progetto di pace. In S. Paolo questo mistero si identifica pertanto con il Vangelo della riconciliazione e della pace, di cui l’apostolo è ambasciatore, sebbene in catene (Ef 6,19-20), con la certezza, ai suoi tempi inaudita, della presenza di Cristo anche nei pagani convertiti (Col 1,27). È un progetto che si sprigiona dalla culla stessa della vita e della pace, dal Padre, presso il quale la comunione sempre zampilla e dimora, prima di ogni pensabile inizio. È un disegno di salvezza da realizzarsi in tutta la storia, che comincia con la convocazione di Israele ed è continuamente ri-annunciato dai profeti. Ma è realizzato in pienezza nella storia singolare di suo Figlio, venuto a radunare definitivamente il suo popolo.

Nell’Unitrinità il Figlio, che risponde all’amore primordiale del Padre, esprime l’amore corrisposto ed è il riflesso dell’unione, è il Tu dell’amore, che ricambia, nel più completo abbandono, l’amore sempre fluente dall’Io dell’amore, cioè dal Padre. Nella nostra storia umana è il Tu di Dio, sempre cercato: è il suo volto e la sua voce, è il palmo accogliente della sua mano su cui il nostro nome è scritto. Gesù ci guarda con i Suoi occhi e ci parla con le Sue parole, ci convoca continuamente a realizzare l’amore, a ritornare alla dimora della pace. Il Tu increaturale della risposta all’amore, chiama tutti noi a realizzare nella nostra storia umana la nostra risposta di creature. Il Tu dell’unione si dona interamente e diventa il Tu della nostra comunione. Egli, il Figlio unigenito che dimora nell’amore, diventa forestiero che cammina sulle strade umane. Diviene per noi mendicante dell’amore, e si presenta come mano continuamente protesa alla pace. Propone e cerca l’amore, che non trova, ma che lo porta al patibolo, che dell’amore rappresenta il naufragio e l’approdo, la sconfitta e la vittoria. Ma il Noi che lo congiunge con il Padre, il Tramite stesso dell’amore, lo Spirito Santo, lo risveglia dalla morte, perché l’amore non può mai morire interamente e quel Noi, l’originario e rinnovato Tramite fra lui e il Padre diventa anche il Noi della sua chiesa, la sua comunità, che egli ha acquistato nel suo sangue.

In una ripresa tematica che nello stupore della poesia si lasci afferrare dalla luce dell’Unitrinità, coprendosi continuamente gli occhi per non restarne accecati, forse si potrà balbettare ancora che in quel fiotto di luce che a noi appare e che continuamente ondeggia tra l’inaccessibile sponda di Dio e la sponda del tempo, il Padre è l’amore sussistente, il Figlio è l’amore donato e lo Spirito è l’amore partecipato; si potrà ancora pensare che il Padre è l’amore che sorregge, ed il Figlio è l’amore che emerge, mentre lo Spirito è l’amore che tutti noi immerge in quella luce; e ancora che se il Padre è amore che inizia la storia ed ogni storia, il Figlio è amore fatto storia e lo Spirito è amore nella storia. E se in Dio ritroviamo non solo il «Padre nostro»[12], ma anche la «Madre delle canzoni»[13], allora il Padre è il canto d’amore risuonante oltre le dune del deserto, mentre il Figlio è il canto danzato sulla piazza della città e lo Spirito è il canto che alla sera ricongiunge ciascuno con i suoi. E ricorrendo a qualche evocazione biblica, potremmo forse ancora scorgere nel Padre l’amore che chiama Abramo, nel Figlio l’amore che si offre in Isacco, nello Spirito l’amore sempre bruciante nel roveto di Mosè. O, più in generale, potremmo ancora asserire che oltre il nostro silenzio il Padre è l’amore che chiama, il Figlio è l’amore che risponde e lo Spirito è l’amore che si diffonde. Nel freddo della notte del mondo il Padre è l’amore che riscalda, il Figlio è l’amore che brucia, mentre lo Spirito è l’amore che fonde. E allorché sorge il primo giorno della storia il Padre è l’amore come il mattino, il Figlio è l’amore che si innalza a mezzogiorno e lo Spirito è l’amore che è meriggio; luce fissa il Primo, luce da luce che brilla tra le tenebre il Secondo, e luce in cui cammina il pellegrino il Terzo.

Da quando quella luce in sé sempre bruciante accese le stelle e infuse l’anima in esseri che per questo si chiamarono uomini e donne, l’Amore divenne in loro struggente nostalgia e inconfessata ricerca della luce. Divenne partenza grazie al Padre, esilio dalla Patria grazie al Figlio e cammino verso casa nello Spirito Santo. E poiché non un solo uomo partì, ma in Abramo partiva un intero popolo (moltitudine intravista finanche tra le stelle innumerevoli del cielo), il popolo di Dio è popolo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, un popolo radunato a vivere del ritmo e del respiro unitrinitario, per essere nel mondo immagine e figura dell’amore che sempre inizia e si dona, dell’amore che eternamente risponde e si spende e dell’amore che continuamente riconvoca e raduna.

3.3.     Le beatitudini come paradigma del progetto salvifico della pace

Il popolo di Dio è così chiamato a vivere in Dio, a vivere con Lui e a vivere di Lui. Ma in che modo? La risposta non può essere che una: se l’Unitrinità viveva, vive e vivrà del suo triplice respiro dell’amore, la convocazione dei figli di Dio, non potrà non vivere che nello stesso dinamismo dell’amore. Il popolo di Dio è convocato dall’eternamente accesa carità di Dio, non può che donare lo stesso amore e non può che spendersi per gli altri. Non può che radunarsi nella libertà sovrana dell’amore.

Abbiamo già espresso la nostra difficoltà ad affrontare l’impervio cammino tutto in salita, e con il sole in controluce, di questa riflessione e crediamo che sia di ogni teologo, di ogni “parlatore di Dio” l’esperienza che dopo aver parlato di Lui, vorrebbe non averlo mai fatto. La paura di averlo tradito e di aver fuorviato la propria mente e quella degli altri è sempre in agguato. Anche quando si parla di Dio come amore? In generale, ogni qualvolta si parla di Lui e di ciò che a noi non è dato altro che indicare con il nome della sua “natura”. C’è una sola attenuante ed è nel fatto, come dicevamo, che, parlando di se stesso, Dio si è manifestato come Amore. In quanto amore che perdona, che riconcilia e che conduce la storia, è apparso come Pace. Si potrebbe aggiungere che se nel primo patto, da dietro il roveto accesso di Mosè si è dato il nome di Colui che è era e sarà, nel definitivo patto, portando le sue ferite brucianti il Risorto è come se avesse completato il suo nome aggiunto di essere colui che è, era e sarà la Pace.

Noi seguiamo infatti la pista dell’amore che diventa agire e pertanto diventa pace. «O Trinità beata, oceano di pace», canta commossa la liturgia mentre declina il sole di un altro giorno, accostando sapientemente l’ineffabile beatitudine della Vita in se stessa, fonte di ogni altra vita, con l’eterno fluire del mare della pace. Ma ciò ci offre l’aggancio tematico per un punto per noi fondamentale, espresso nella formula che Dio non è solo la Trinità beata, ma anche l’Unitrinità delle Beatitudini. Sul piano della riflessione ciò comporta che si affrontino due questioni direttamente collegate con questa affermazioni: 1) il valore non solo biblico, ma anche teologico delle beatitudini enunciate da Gesù e alle quali il Vaticano II fa continuo riferimento per il cammino del popolo di Dio; 2) il “coinvolgimento” unitrinitario delle scelte di Gesù e in particolar modo dell’annuncio e della prassi delle beatitudini. Sono due passaggi obbligati e occorre esaminarli con cura, perché ci consentano di giungere all’affermazione che il popolo di Dio ha nell’Unitrinità la sua patria e il suo paradigma. Nell’Unitrinità avviene la prima e fontale declinazione delle beatitudini e ci viene svelato il perché della centralità “sistemica”, oltre che letteraria, che recita: «beati gli eirenopoioi perché saranno chiamati figli di Dio».

3.4.  Le beatitudini come progetto di Chiesa

Leggendo le beatitudini in maniera orizzontale, lo schema si può ricostruire secondo una struttura che per le prime tre beatitudini annuncia, di fronte alla mancanza di beni terreni, l’arricchimento da parte di Dio. Per il primo gruppo alla mancanza di ricchezza terrena corrisponde il dono più grande che Dio possa concedere: il suo regno. Alla mancanza di felicità terrena corrisponde una consolazione definitiva, quella della carezza stessa di Dio. Alla mancanza di potere come rinuncia alla violenza corrisponde il dono della terra escatologica. Per il secondo gruppo, al superamento dell’egoismo di quanti hanno fame e sete di giustizia Dio risponde con il suo banchetto dei beni messianici. Alla prassi dell’amore e della misericordia Dio risponde con una sua sovrabbondante misericordia. Al superamento di ogni doppiezza dei trasparenti di cuore Dio risponde mostrando il suo volto, che è la cosa più ambita che ci possa essere. Per il terzo gruppo, a quanti si dedicano alla costruzione della pace Dio conferisce la prerogativa di suoi figli. A quelli che sono perseguitati per la giustizia è garantito il regno dei cieli. E, infine, agli emarginati per amore di Gesù è assicurata una grande ricompensa nei cieli.

 

I GRUPPO

Situazione negativa da superare

Soggetti evangelici

Gratificazione di Dio

cose

ricchezza terrena

poveri

regno dei cieli

 

felicità mondana

afflitti

consolazione di Dio

 

potere oppressivo

miti

terra promessa

 

II GRUPPO

Situazione negativa da superare

Soggetti evangelici

Gratificazione di Dio

persone

egoismo

affamati di giustizia

banchetto messianico

 

vendetta

misericordiosi

perdono di Dio

 

doppiezza

puri di cuore

visione di Dio

 

III GRUPPO

Situazione negativa da superare

Soggetti evangelici

Gratificazione di Dio

prassi

indifferenza

facitori di pace

figliolanza di Dio

 

successo

perseguitati per la giustizia

regno dei cieli

 

carriera

perseguitati a causa di Gesù

grande ricompensa nei cieli