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Istituto pastorale “Pastor bonus” – Lamezia,  anno 2003-2004


G. Mazzillo  Teologia del laicato
             

 

(Con un grazie a don Sergio Iacopetta per i suoi appunti sulla prima lezione)

1^ Lezione (venerdì 28/11/2003).  CHIESA E CAMBIAMENTO

Riferimento: Giovanni Mazzillo, “La riflessione sulla Chiesa nell’attuale contesto storico” in Vivarium  11 ns (2003) 65-77 [www.puntopace.net/Mazzillo/riflessionesullachiesa.htm]

 

 

La chiesa è in un mondo che cambia. La nostra situazione è sempre in cambiamento da tutti i punti di vista, religioso, tecnico, sociale, culturale, ecc.

 

Di fronte a questo fenomeno la chiesa  si sente smarrita: rapidità e imprevedibilità. La chiesa deve interrogarsi continuamente, nonostante ciò che Gesù ha detto a Pietro (la sua permanenza fino alla consumazione del secolo). Nuova evangelizzazione per le modalità con le quali il vangelo si presenta. Una sfida che nella chiesa suscita apprensioni: siamo capaci di resistere davanti ai diversi fenomeni? Il Dio in cui crediamo è un Dio pensato oltre che creduto. Il pensiero non può essere estromesso dalla fede, l’intelligenza ci accompagna fino al mistero. La ragione ci assicura che quanto andiamo a credere non è staccato dalla realtà. Unico modo per discernere è la ragione che ci preserva dai vari fondamentalismi presenti nell’epoca attuale. La ragione ci libera dalle mistificazioni, dalle credulonerie. La fede può essere preservata solo se la pensiamo, non per metterci al di sopra di essa.

I documenti ufficiali del magistero:

“Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”. I temi sono tutti della massima importanza. Comunicare partendo da Cristo e convergendo verso di lui. Continua chiamata alla conversione. Discernere il tempo di Dio. La chiesa italiana parla di una vera e propria conversione pastorale: autentica, cioè attraverso la carità, perché si costruisce l’amore con l’amore. La chiesa deve confrontarsi con la postmodernità. Il confronto con la modernità si trova in diverse pubblicazioni. Per esempio in Gerhard Lofink: “Dio ha bisogno della chiesa?” e  “Chiesa all’estero” (vedi pagina nel sito per le citazioni esatte). Qui le attuali sfide della chiesa sono paragonabili a quelle che il popolo di Dio ha affrontato nel deserto.

L’ecclesiologia che l’autore sviluppava è impostata sull’essere insieme, sulla comunione e sulla comunità. La categoria del “popolo di Dio”, che sarebbe la strada più percorribile, è stata eclissata. Sull’intera problematica cfr G. MAZZILLO, "L'eclissi della categoria "popolo di Dio"", in Rassegna di Teologia 36 (1995) pp. 553-587 (www.puntopace.net/Mazzillo/eclissi-popolodidio.htm). I teologi hanno ripreso in considerazione il fenomeno del cambiamento della chiesa cercando di trovare una via d’uscita.

Lohfink “Dio ha bisogno della Chiesa?”, d. Gianni non è d’accordo neanche sul titolo.  Sarebbe preferibile porsi una altra domanda, quella di un celebre volume dello stesso autore: “Gesù come ha voluto la sua Chiesa”. Sul legame tra Gesù e la chiesa: Verweyen “La parola definitiva di Dio” ,compendio di Teologia Fondamentale ha visto il legame spostato da quello giuridico a quello teologico, arrivando all’autocoscienza di Gesù. Gesù ha pensato o meno alla chiesa? La posizione più corretta è quella che fa vedere la continuità tra Gesù e la chiesa. Ratzinger dice che l’autocoscienza di Gesù… 31.05.86 n° 710 “una struttura che rimarrà sino al pieno compimento del Regno”; Cfr Lg 5.

Con ciò non si vuol dire che non è necessario il cambiamento e che  non ci debba essere la conversione della Chiesa.

Il “cambiare mente” (metanoia= è tutta orientata alla sequela Cristi pur rimanendo fermo il meta nous) non è offuscato, ma postulato dal principio che, nonostante tutti i cambiamenti della chiesa, la salvezza di Dio avviene ugualmente.

G. Lofink dice che oggi l’uomo cerca di cambiare radicalmente le cose, ma il cambiamento è fallito perché gli uomini quando vogliono cambiare vogliono farlo subito e quindi devono forzare la storia, assumendo anche forme di violenze e di oppressione. Il vero cambiamento non si può pertanto realizzare con le sole forze umane. Nella chiesa il cambiamento invece si può realizzare, perché non c’è il singolo ma la comunità che si lascia condurre dello Spirito. Ma qui sembra che ci sia un delegare troppo allo Spirito Santo! Tutto viene da Dio ma non dimentichiamo che lui “dona” all’uomo, coinvolge l’uomo.  E’ facile delegare a Dio tutto. La salvezza è garantita dalla Parola di Dio per la chiesa! Un reale bisogno di salvezza per tutto il mondo. Dio opera con gradualità e pazienza: “Può accadere solo in questo modo: che Dio inizi in maniera minimale, che egli cominci da un singolo luogo del mondo. Ci deve essere un luogo visibile manifesto verificabile in cui ha inizio la redenzione”. L’autore rischia di rimane ancorato alla sua sola esperienza.  Si potrebbe cadere nello spiritualismo. Per cambiare il mondo e la chiesa bisogna diventare più santi ma perché in 2000 anni non ci sono stati tali santi? Oppure:nonostante i tanti santi, perché la Chiesa non è ancora cambiata per come avrebbe dovuto?  Dal Concilio in poi i documenti ci hanno insegnato che devono cambiare non solo i cuori, ma anche le strutture che non vanno.

La chiesa ha bisogno di Dio:

1.        la chiesa ha indispensabilmente bisogno di Dio. La chiesa dipende dalla Parola di Dio sempre (Lg 16). Il popolo di Dio: realtà teologale e poi strutturale.

2.        La chiesa come popolo progetta non se stessa ma asseconda il progetto di Dio per salvare il mondo. Il popolo di Dio non è una metafora  ma categoria teologica.

Lg 13-16: Il regno è più grande della chiesa. Purificare, consolidare, elevare: rapporto con le altre religioni. Il popolo di Dio è una realtà che io descrivo in cerchi concentrici: cattolici, cristiani, altre religioni a partire degli ebrei, islamici, induismo e buddismo (Cfr Nostrae Aetate)

3.        Il progetto non elude ma intercetta le sfide della storia attuale.

“Sono incorporati pienamente anche i catecumeni che hanno chiesto il Battesimo..” C’è il votum implicitum”. Non basta essere battezzati perché alcuni ci sono fisicamemente, ma non con il cuore.

E’ necessario individuare l’azione pastorale basata sulla sequela di Gesù non per “nostalgia del passato”, ma  per conformarci agli intendimenti del maestro. Noi crediamo nelle cose che Gesù ha creduto?  Gesù ha creduto innanzitutto in noi, ha creduto che il mondo possa essere migliorato, ha creduto nella pace e nella nonviolenza. Sintonizzarsi su ciò che Gesù ha creduto.

La strutturazione ecumenica viene prima della dottrina. Gesù è capo e riferimento: il potere non è autorità ma potestà. Il riferimento alla piena potestas è in riferimento al Signore che però è stato crocifisso e risorto. La chiesa non vive per se stessa ma per la salvezza degli uomini, del mondo. La sua missione non è proselitismo ma azione gratuita  sull’esempio di Cristo che determina il suo primo agire di chiesa.

Papa Giovanni XXIII leggeva la storia con gli occhi di chi legge il meglio delle cose. (Scioperi, donne, decolonizzazione, diritti civili: Cfr Pacem in terris). I “segni dei tempi” sono i momenti privilegiati attraverso cui passa la salvezza di Dio, diventano così i “chairòi” di Dio. Possiamo individuare i segni dei tempi per uscire dall’individualismo. Siamo chiesa per il mondo, non siamo chiesa per noi stessi ma per gli altri. Dalla chiesa nel mondo alla chiesa per il mondo.

Come vincere la paura del nuovo e del continuo cambiamento?

Quando non siamo ben radicati nella missione come servizio pensiamo di perdere i nostri privilegi. Pensiamo di rapportarci con il mondo facendo il “gioco a scacchi”! Cosa posso fare io per il mondo. Noi non siamo fuori del mondo.

Esiste un rapido e continuo cambiamento, la chiesa si trova spiazzata e cerca di diventare persuasiva ma purtroppo così facendo annuncia senza anima. Si riuscirà a “cambiare” quando c’è sintonia tra comunione e comunicazione. I cambiamenti non sono solo da realizzare nella società ma anche all’interno del popolo stesso di Dio, nella chiesa. Problemi di ordine spirituale e pastorale. Chiesa-mondo; storia umana – storia della salvezza:  c’è sempre “opposizione” allora dobbiamo affermare che è necessario che la storia della salvezza diventi anche salvezza della storia. Se tale cambiamento non avviene non è realizzata l’ecclesiologia del vaticano II.

 

2^ Lezione (sabato 29/11/2003). CHIESA CHE COSA DICI  DI TE STESSA?

 

Riferimento: Giovanni Mazzillo, Corso di aggiornamento ecclesiologico per gli insegnanti di religione della diocesi di Siracusa TRACCE didattiche (riviste dall’autore). Zafferana, 8-13/7/1999

[cfr www.puntopace.net/Mazzillo/corso-ecclesiologia-zafferana.htm]

 

L’attualità del dialogo interreligioso e i suoi nodi storici e dottrinali

Esperienza di Chiesa e nozioni generali di ecclesiologia

 

SITUAZIONE

La fede è vissuta più in modo intimistico. Bisogna riscoprire il proprio compito nel popolo di Dio.

Cause

1.        Strutturali

2.        Culturali: (“Progettiamo uomini felici” - spot della Fiat)

-> La culturale dell’effimero

3.        Teologiche: scarsa conoscenza di ciò che la Chiesa è e di ciò cui è chiamata

4.        Esperienziali: delusione e disinganno  

I contesti in cui queste cause si riassumono sono complessi

1.        Generali: sul valore della fede e della religione
(Cfr www.puntopace.net/Mazzillo/cefalu22-11-03.htm: “Gesù Cristo un credente senza religione?)
 Per molti fede e religione coincidono, invece ci sono diversità pur non potendo arrivare a una totale separazione

2.        Regionalità

3.        Ecclesiali: Ogni esperienza di Chiesa condiziona l’idea che noi ci facciamo di essa.

 

Il tema della Chiesa è più di un semplice tema.

Il grande rischio oggi sempre più diffuso è fabbricarsi una religione “fai da te”, dove non c’è né Gesù Cristo, né Dio. E’ necessario recuperare la Chiesa come popolo di Dio.

Punti da approfondire

Quanti rifiutano la Chiesa come scelta e quanti la rifiutano nei fatti?

Cosa dice la gente della Chiesa:

    1. dispensatrice di sacramenti;
    2. compagna di strada
    3. trascinatrice di masse in tutte le sue forme

 

Cosa è la Chiesa per noi?

 

Cosa è la Chiesa per Gesù:

  1. Dispensatrice di vita e di speranza (Mc 6,3-44). Prima attività della Chiesa: ascolto della Parola di Dio. Gesù parla a lungo, perché vuole stare di più con il suo popolo. II atto: il pane! Perché non dà il pane singolarmente? Perché è importante la comunicazione oltre che la comunione. Lo è anche per noi?
  2. Luogo e occasione di decisioni importanti (Lc 12,49-53). Gesù non è causa di divisione ma occasione di divisione. Erode decide di uccidere l’innocente, Gesù non è causa della scelta di Erode ma è occasione perché Erode scateni questa furia omicida.
  3. Realtà viva che rende testimonianza (Lc 12,1-7)
  4. Sacramento fondamentale

 

 

 

Impostazione tradizionale

Impostazione conciliare

Aspetti

Corpo mistico

Corpo mistico e Corpo storico

Carne e sangue

(pane) e (vino)

Dimensione sacramentale: Corpo e sangue di Cristo

Dimensione sociale:

il corpo e la storia degli uomini

Unione

Realtà liturgica:

unione a Cristo

Realtà esistenziale:

unione ai crocifissi della storia

Comunione

Gratificazione all’interno del proprio gruppo

Impegno nella realtà circostante

Liberazione

Liberazione solo dal peccato individuale

Liberazione anche dalle forme di peccato strutturale

Donazione

Sacrificio della volontà e della propria intelligenza

Impegnare la propria vita per la giustizia e la pace

 

Si diceva:”salvami l’anima, tutto il resto non conta”. Oggi, invece abbiamo capito che non ti salverai l’anima se tutto il resto non conta.

Per poter essere attirati dal vangelo bisogna sforzarsi di viverlo.

 

B. Concezioni tradizionali e acquisizioni moderne sulla Chiesa

 

Nel mondo la religione c’è! Ma che identità di Chiesa è oggi presente? Chi definisce la sua identità? La legittimazione della Chiesa proviene sempre e solo dalla Parola di Dio che legittima la Chiesa e le dà una sua fisionomia e una identità  di fondo.

Bisogna passare dalla gerarcologia alla vera ecclesiologia, cioè dalla Chiesa come semplice gerarchia (“la Chiesa dice” = “la gerarchia dice”) alla Chiesa come comunità di credenti.

La Chiesa deve lasciarsi evangelizzare da Gesù Cristo, dalla Parola di Dio.

Bisogna passare da una ecclesiologia piramidale all’ecclesiologia di comunione.

Lg 6 parla della Chiesa attraverso le varie metafore: nave, ovile, campo, casa ecc. Diverse forme, non si parla della Chiesa come popolo di Dio perché ne parla al II capitolo.

Cristo sta alla Chiesa come un pastore sta al suo gregge. Campo o podere di Dio. L’espressione del popolo di Dio non è più una metafora ma è una realtà!

 

Lg 9 è il più denso del Concilio:

 

«Questo popolo messianico ha per capo Cristo “consegnato per i nostri peccati, risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4,25), che regna glorioso in cielo dopo aver ottenuto il nome che è al di sopra di ogni altro nome. Lo statuto di questo popolo è la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali, come in un tempio, inabita lo Spirito di Dio. La sua legge è il nuovo comandamento di amare come ci ha amati Cristo (cf. Gv 13,34). Il suo fine è il regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso, ma destinato a dilatarsi sempre più, per essere portato a compimento alla fine dei secoli, quando apparirà il Cristo vita nostra (cf. Col 3,4); allora “anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio” (Rm 8,21)» (ivi, EV/1, 309).

 

Tagore: “Tu Dio mi tieni legato a te con la libertà”.

 

Il popolo di Dio è vero soggetto storico, categoria teologica pienamente adeguata.      

 

C) Un popolo che cammina nella storia costruendo la storia (Cf. lumen gentium, cap. 7).

 

In ogni caso 3 sembrano essere le opzioni più importanti della Chiesa del Vaticano II:

 

  1. Opzione teologica: Dio  e la sua Parola
  2. Opzione Cristologia: Gesù Cristo e di coloro che lui sceglie
  3. Opzione ecclesiologia: Scegliere in virtù delle opzioni precedenti.

 

E’ necessario praticare la verità prima ancora di conoscerla. Molti pensano alla verità come una sorte di illuminazione dottrinale. La verità va fatta come la pace. Il verbo è poiein= fare la pace, fare la verità.

 


 

3^ Lezione (venerdì 13/04/2003).  LA CHIESA E I SUOI COMPITI

 

Riferimento: Giovanni Mazzillo “Chiesa popolo di Dio in cammino”

[in www.puntopace.net/Mazzillo/lumen_gentium2.htm]

 

Popolo messianico alla sequela di Cristo

 

La Chiesa è popolo di pellegrini, perché vive tra due fatti storici: la risurrezione di Gesù ed il suo ritorno, la vittoria sulla morte e la sua parusia, in uno stato di itinerazione continua che si protende verso tutto ciò che è umano e verso tutti i popoli.

Per questa ragione escatologica,

«la Chiesa pellegrinante continua a portare iscritta nei sacramenti e nelle istituzioni del tempo presente la figura fugace di questo mondo; e vive tra le creature che gemono nei dolori del parto e aspettano la manifestazione dei figli di Dio (cf. Rm 8,19-22)» (Lg 48: EV/1, 417).

 

È dunque il capitolo VII che parla della Chiesa dei discepoli pellegrini (Lg 49: EV/1, 419) e della Chiesa dei viatori (Lg 490: EV/1, 419), una Chiesa che è in comunione e che è comunione con i santi, cioè con «coloro che hanno seguito fedelmente Cristo», dai quali ci sentiamo «spronati a ricercare la città futura» (Lg 50: EV/1, 421). L’essere sulla via significa - come si dice nel cap. V - che i cristiani

«Obbedendo alla voce del Padre adorato in spirito e verità, [...] seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria» (Lg 41: EV/1, 390).

 

Seguire Cristo umile e povero, carico della croce, e ugualmente colmo delle speranze dell’umanità e dell’intera creazione, significa essere in cammino come popolo delle beatitudini. Proprio le beatitudini vengono ricordate come carattere distintivo e determinante tanto per i «religiosi» che per i laici, per i consacrati ad un ministero ordinato come per i consacrati con il battesimo. La costituzione sulla Chiesa lo afferma per i primi:

«I religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido e singolare come il mondo non possa essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini» (Lg 31: EV/1, 363).

 

Ma lo afferma anche per i laici, dicendo che essi

«devono nutrire il mondo con i frutti dello Spirito (cf. Gal 5,22) e diffondervi lo spirito dei poveri, dei miti e dei pacifici, che il Signore nel suo Vangelo ha proclamato beati (cf. Mt 5,3-9)» (Lg 38: EV/1, 389).

 

Su questo compito, di mitezza e di pace, scaturente dall’impegno delle beatitudini ritorna più diffusamente il Decreto sull’apostolato dei laici, in un testo che appare essere decisivo per una spiritualità del popolo di Dio come popolo delle beatitudini:

«La carità di Dio, “riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5), rende i laici capaci di esprimere realmente nella loro vita lo spirito delle beatitudini. Seguendo Gesù povero, non si abbattono per la mancanza dei beni temporali né si inorgogliscono per l’abbondanza di essi; imitando Gesù umile, non diventano vanagloriosi (cf. Gal 5,26), ma cercano di piacere a Dio più che agli uomini, sempre pronti a lasciare tutto per Cristo (cf. Lc 14,26) e a patire persecuzione per la giustizia (cf. Mt 5,10), memori della parola del Signore: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24)» (Aa 4: EV/1, 927).

La stessa unione a Cristo nello spirito delle Beatitudini viene riconosciuta, in un modo speciale ai destinatari preferenziali dell’annuncio di Gesù:

«Coloro che sono oppressi da povertà, infermità, malattia e altre tribolazioni, o soffrono persecuzioni a causa della giustizia, sappiano di essere uniti in modo speciale a Cristo che soffre per la salvezza del mondo. Il Signore nel Vangelo li ha proclamati beati» (Lg 41: EV/1, 395).

 

La somiglianza con Cristo, la sua sequela, la persecuzione per la giustizia significano per tutti la stessa chiamata alla santità nella ricerca di una vita più umana sulla terra, ma come, vedremo significano anche una sorta di “nucleo cristiforme” nel popolo di Dio, che è costituito da quelli che sono uniti a Gesù «in modo speciale», intorno ai quali si ricongiungono anche gli altri:

«tutti i fedeli cristiani, di qualsiasi stato o ordine, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: santità che promuove un tenore di vita più umano anche nella stessa società terrena» (Lg 40: EV/1, 389).

 

È una vocazione personale che diventa convocazione del popolo messianico, chiamato a seguire Cristo, per contribuire a realizzare la pienezza della redenzione liberatrice.

Il popolo di Dio raccoglie tali pellegrini, che sulle tracce di Cristo rafforzano la coesione tra loro nello stesso Spirito e sono testimoni di una grazia e di una ricchezza che non viene da loro. Pertanto non le possono gelosamente custodire per sé, ma le devono continuamente offrire ai loro fratelli.  Il dono diventa così compito: Gabe -------> Aufgabe

Attraverso questa fermentazione d’amore della realtà, secondo l’esempio di Gesù, il popolo di Dio vive la sua dimensione teologale.

Popolo che costruisce la pace

Nell’eucaristia questo popolo si ritrova convocato in Cristo, sicché

 

«prega e insieme lavora perché la pienezza del mondo intero sia trasformata in popolo di Dio, in corpo del Signore e in tempio dello Spirito Santo, e perché in Cristo capo siano resi onore e gloria al Creatore e Padre di tutti» (Lg 17: EV/1, 327).

 

Il popolo di Dio vive così il dinamismo salvifico della riconciliazione umana e cosmica, alla quale sono chiamati sia i singoli cristiani che la stessa Chiesa.

Il Concilio non nasconde i termini storici di questa riconciliazione. Essa passa anche attraverso un’effettiva pace, che, come si ripete più volte, è in pericolo e con essa lo stesso futuro del mondo (GS 15: EV/1, 1367).

Per la sua salvezza dovranno contribuire tutti, anche i popoli poveri materialmente, ma ricchi spiritualmente, perché

«Inoltre va notato come molte nazioni, economicamente più povere rispetto ad altre, ma più ricche di saggezza, possono a quelle offrire un aiuto rilevante (ivi).  

 

Anche per queste ragioni, il compito della costruzione della pace è un compito tipico del popolo delle beatitudini, perché figli di Dio saranno quelli che la costruiscono. È un compito che per il Vaticano II il popolo di Dio non può disattendere.

 

La pace è uno dei problemi umani più impellenti e richiede la sollecitudine di tutti (GS 49: EV/1, 1467) e pertanto esige un’adeguata educazione (GE 1 EV/1, 822).

Esige  una particolare formazione al senso dell’altro e, si direbbe oggi, un’educazione alla mondialità. È un compito ed un servizio verso i più poveri e non va disgiunto da una lotta (il testo originale ha «debellando») contro la fame, l’ignoranza e le malattie. Si tratta di un compito di tutti i «fedeli», ai quali il Concilio prescrive :

«Si applichino con particolare cura all’educazione dei fanciulli e degli adolescenti nei vari ordini di scuole, che vanno considerate non solo come un mezzo meraviglioso per la formazione e lo sviluppo della gioventù cristiana, ma insieme come un servizio di somma importanza per gli uomini, specialmente per le nazioni in via di sviluppo, in ordine all’elevazione della dignità umana e alla preparazione di condizioni più umane. Inoltre assumano la loro parte nei tentativi di quei popoli che, lottando contro la fame, l’ignoranza e le malattie si sforzano di creare migliori condizioni di vita e di stabilire la pace nel mondo» (AG 12: EV/1, 1114).

 

Il compito della costruzione della pace esige ancora il contributo dei cristiani e delle stesse associazioni internazionali cattoliche, perché è in rapporto con la fratellanza, la solidarietà e la stessa responsabilità nei confronti del mondo di cui il popolo di Dio deve avere coscienza:

«Inoltre, le varie associazioni cattoliche internazionali possono servire in tanti modi all'edificazione della comunità dei popoli nella pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando il numero di cooperatori ben formati, con i necessari sussidi e mediante un adeguato coordinamento delle forze. Ai nostri giorni, efficacia d'azione e necessità di dialogo impongono che le imprese siano comuni. Per di più, simili associazioni giovano non poco a istillare quel senso universale che tanto conviene ai cattolici, e a formare la coscienza di una veramente universale solidarietà e responsabilità» (GS 90: EV/1, 1633) .

 

Assumendo la consapevolezza della propria realtà di popolo salvato, sembra suggerire il Concilio, la Chiesa avverte la responsabilità di una salvezza da rendere storica anche nei compiti da adempiere nel mondo, tra i quali la costruzione della pace. Se la verità va compiuta  nella carità, lo stesso è da dirsi della pace, ugualmente da «attuare», oltre che da invocare costantemente nella preghiera. Vi sono chiamati tutti i cristiani, cioè l’intero popolo di Dio:

«Pertanto tutti i cristiani sono pressantemente chiamati a «praticare la verità nell’amore» (Ef 4,15), e a unirsi agli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla e per attuarla» (GS 78: EV/1, 1590).

 

E che non si tratti di un’esortazione generica lo dimostra il fatto che il Concilio parla della realizzazione della pace anche condannando l’inumanità della guerra e ristabilendo condizioni di giustizia per una pace reale e non fittizia, preparando così effettivi «strumenti di pace»:

«Illustrando pertanto la vera e superiore concezione della pace, il concilio, condannata la mostruosità della guerra, intende rivolgere un ardente appello ai cristiani, affinché, con l’aiuto di Cristo autore della pace, collaborino con tutti gli uomini per stabilire tra loro una pace fondata sulla giustizia e sull’amore e per preparare strumenti di pace» (GS 76: EV /1, 1586).

 

Ma quali sono questi strumenti di pace? Dopo aver menzionato la formazione alla pace, la realizzazioni di condizioni di giustizia sociale, la lotta contro la fame, l’ignoranza e la malattia, il Concilio ne indica altri che dipendono più direttamente dalla mutata coscienza della propria realtà ecclesiale.

L’ecumenismo è uno degli effetti di quel dinamismo innescato dalla nuova sensibilità del popolo di Dio verso i suoi compiti, tra i quali riveste una particolare importanza la promozione e la diffusione della pace. Alla base c’è la consapevolezza che i frutti della fede sono insieme frutti spirituali, di maturazione del senso della preghiera, ma anche - anzi inseparabilmente legati a questi - frutti di crescita della responsabilità sociale. È ciò che si chiama «fede operosa», vicina come concetto alla «pace da attuare»:

«E questa fede operosa ha pure creato non poche istituzioni per sollevare la miseria spirituale e corporale, per coltivare l’educazione della gioventù, per rendere più umane le condizioni sociali della vita, per ristabilire la pace universale» (UR 23: EV/1, 569).

 

È della massima importanza, ed è per molti la vera rivoluzione del Vaticano II, questo collegamento diretto tra la fede in Dio e la carità operante, tra la vocazione alla vita unitrinitaria e la convocazione per rendere più umano il mondo, tra la contemplazione del Dio invisibile e la lotta nonviolenta per cambiare la società visibile, e ciò affiora anche nel documento sull’unità dei cristiani. In un testo che indica la cooperazione di fratelli di diverse confessioni compaiono espressamente le due dimensioni. La prima è collegata alla testimonianza della fede alla condivisione della speranza:

«Tutti quanti i cristiani professino davanti a tutti i popoli la fede nel Dio uno e trino, nell’incarnato Figlio di Dio, redentore e Signore nostro, e con comune sforzo nella mutua stima rendano testimonianza della speranza nostra, che non delude» (UR, 12: EV/1, 537)

 

La seconda si aggancia alla confessione di fede in Cristo, Signore del mondo, fattosi servo degli uomini, e richiama tutti al comune servizio della giustizia, della solidarietà, insomma della pace:

«La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente quella unione che già vige tra di loro, e fa risplendere in una luce più piena il volto di Cristo servo. Questa cooperazione, già attuata in non poche nazioni, deve essere ogni giorno più perfezionata - specialmente nelle nazioni dove sta compiendosi l’evoluzione sociale o tecnica - sia nell’apprezzare rettamente la dignità della persona umana, sia nel promuovere il bene della pace, sia nell’attuare l’applicazione sociale del Vangelo, sia nel far progredire con spirito cristiano le scienze e le arti, come pure nell’usare i rimedi d’ogni genere per venire incontro alle miserie del nostro tempo, quali sono la fame e le calamità, l’analfabetismo e l’indigenza, la mancanza di abitazioni e la non equa distribuzione dei beni» (ivi, cf. anche GS 92: EV/1, 1640).

 

L’ecumenismo non può prescindere da questa attenzione verso il mondo e i suoi bisogni e ciò costituisce un ecumenismo di tipo nuovo, per cui tutte le chiese, sono chiamate a guardare oltre se stesse, a collaborare e stimarsi reciprocamente, a ritrovare la via dell’unità tramite la loro comune e fattiva testimonianza nel mondo. Insomma attraverso non un ecumenismo ecclesiocentrico, né introverso, ma, potremmo dire, attraverso un ecumenismo estroverso:

«Da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e come si appiana la via verso l’unità dei cristiani» (ivi).

 

È una cooperazione, infine, che il popolo di Dio offre a tutti, anche alle religioni non cristiane, facendo ammenda, per la sua parte, delle proprie colpe storiche. Infatti,

«sebbene, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto sinodo esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà (NA, 3: EV/1, 860).

 

In definitiva il Concilio enuclea una vera e propria teologia del retto agire del singolo cristiano e di tutto il popolo di Dio, una prassi che sappia sempre congiungere la confessione della fede con la attuazione della giustizia, o più sinteticamente sappia «fare la verità nella carità», realizzando così la pace. Di questa pace viene anche delineata la sua natura teologica e sociologica, cioè la pace viene indicata come una delle caratteristiche collegate all’irruzione del Regno:

«Il Signore infatti desidera estendere il suo regno anche per mezzo dei fedeli laici: «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» (Lg 36: EV/1, 378).

Ma ciò non giustifica alcuna passività né può essere invocato come alibi al disimpegno, al contrario, la certezza acquisita nella fede che «la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio (cf. Rm 8,21)» (ivi),

fa concludere che siamo in presenza non solo di una promessa, ma anche di un vero e proprio comando:

«Una ben grande promessa e un ben grande comando vengono rivolti ai discepoli dalle parole dell’apostolo: “Tutto è vostro, voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio” (1Cor 3,23). I fedeli devono dunque riconoscere la natura intima di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio; e aiutarsi a vicenda nel condurre una vita più santa anche mediante le loro attività secolari, perché il mondo sia impregnato dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace» (Lg 36: EV/1, 378-379).

 

Anche per questo motivo i cristiani sono scongiurati a vivere in pace con tutti, superando qualsiasi discriminazione, congiungendo ancora una volta la realizzazione della pace con la figliolanza di Dio, lo «stare in pace con tutti gli uomini, per essere realmente figli del Padre che è nei cieli» (NA 5: EV/1, 871).

 

La pratica dell’ecumenismo e del dialogo con le altre religioni e con gli uomini in genere è dunque uno degli strumenti per la costruzione della pace. Il Vaticano II ne affianca altri, individuando anche gli attuali ostacoli e che il popolo di Dio è invitato a rimuovere. Sono le disuguaglianze economiche:

 

«Infatti le troppe disuguaglianze economiche e sociali, tra membri e tra popoli dell'unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all'equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale e internazionale». (GS 29: V/1, 1411).

 

 Sono anche contrasti tra le nazioni e gli squilibri tra loro

 «Grandi divergenze sorgono anche tra le razze e persino tra i vari gruppi della società; tra nazioni ricche e meno dotate e povere; infine, tra le istituzioni internazionali, nate dall'aspirazione dei popoli alla pace, e l'ambizione di imporre la propria ideologia nonché gli egoismi collettivi esistenti negli stati o in altri organismi» (GS 8: EV/1, 1344) ; «Simili squilibri economici e sociali si avvertono tra l'agricoltura, l'industria e il settore dei servizi, come pure tra le diverse regioni di una stessa nazione. Una opposizione che può mettere in pericolo la pace del mondo intero si fa ogni giorno più grave tra le nazioni economicamente più progredite e le altre» (GS 63: EV/1, 1536 ).

Inoltre manca un’autorità internazionale in grado di risolvere con efficacia le difficoltà internazionali: per cui si ammette ancora che, extrema ratio, sebbene solo per legittima difesa, si ricorra alle armi. Comunque si aggiunge:

«Ma altra cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli e altra cosa è voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. Né la potenza bellica rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto» (GS 79, EV/1, 1596).

Ma anche questo rende insicura la pace, minacciata dalla corsa al riarmo A questo riguardo il testo è accorato, ma mostra anche una grande sapienza e lungimiranza, indicando almeno la ricerca di strade alternative:

«Qualunque cosa si debba pensare di questo metodo dissuasivo, si convincano gli uomini che la corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è la via sicura per conservare saldamente la pace né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere considerato pace vera e stabile. Le cause di guerra, anziché venire eliminate da tale corsa, minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente. E mentre si spendono enormi ricchezze per procurarsi sempre nuove armi, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente. Anziché guarire veramente, nel profondo, i dissensi tra i popoli finiscono per contagiare anche altre parti del mondo. Nuove strade converrà cercare, partendo dalla riforma degli spiriti, perché possa essere rimosso questo scandalo e al mondo, liberato dall'ansietà che l'opprime, possa essere restituita la vera pace» (GS 81: EV/1, 1604).

 

Pertanto il popolo di Dio è chiamato a impegnarsi concretamente per contribuire al disarmo, Si tratta di un impegno che inizia con la preghiera per le sorti del mondo e prosegue collaborando a tutto ciò che promuove il senso dell'unità dell'unica famiglia umana:

«Bisogna rivolgere incessanti preghiere a Dio, affinché dia loro la forza di intraprendere con perseveranza e condurre a termine con coraggio quest'opera di sommo amore per gli uomini, per mezzo della quale si costruisce virilmente la pace. Quest'opera esige oggi certamente che essi estendano la loro mente e il loro cuore al di là dei confini della loro nazione, deponendo ogni egoismo nazionale e ogni ambizione di supremazia su altre nazioni, nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l'umanità, avviata ormai così laboriosamente verso una sua maggiore unità» (GS 82 EV/1, 1608);

«Le consultazioni sui problemi della pace e del disarmo, già coraggiosamente e instancabilmente condotte, i consessi internazionali che trattarono questi argomenti, devono essere considerati come i primi passi verso la soluzione di problemi così gravi e con maggiore insistenza ed energia dovranno quindi essere promossi in avvenire, al fine di ottenere risultati concreti. Stiano tuttavia bene attenti gli uomini a non affidarsi esclusivamente agli sforzi di alcuni, senza preoccuparsi minimamente dei loro propri sentimenti» (ivi, EV/1, 1609);

«Di qui l'estrema urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell'opinione pubblica. Coloro che si dedicano all'attività educatrice, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino come loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, mirando al mondo intero e a tutti quei doveri che gli uomini possono compiere insieme per condurre l'umanità verso un migliore destino» (ivi).

 

 Deporre quindi ogni spirito di rivalità. Ma a ciò si aggiunge l’aspetto più positivo della costruzione dell’unità tra gli uomini, perché,

«Mentre a poco a poco va unificandosi e in ogni luogo diventa ormai meglio consapevole della propria unità, l’umanità non potrà tuttavia portare a compimento l’opera che l’attende, di costruire cioè un mondo veramente più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla vera pace» (GS 77: EV/1, 1585).

 

Il Vaticano II può così alla fine indicare la sorgente dello zelo pastorale da cui è mosso e che deve sempre animare e motivare l’intero popolo di Dio: è la sequela di Gesù ed è la fedeltà a una delle sue beatitudini, si potrebbe dire alla beatitudine cardine di tutte le altre:

«Per questo motivo il messaggio evangelico, in armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questi nostri tempi di rinnovato fulgore quando proclama beati i promotori della pace, “perché saranno chiamati figli di Dio”» (Mt 5,9) (ivi).

 

Il cerchio così si chiude e la nostra riflessione ritorna al punto dal quale era partita. Non si tratta di un nuovo dovere etico che incombe sul credente in quanto tale e su tutti i credenti come popolo di Dio, ma di una vera e propria storicizzazione della salvezza, al fine di dare corpo storico al corpo mistico della Chiesa, come diceva P. Ignacio Ellacuría. La missione del popolo di Dio, in forza della realizzazione storica della salvezza sacramentale che egli porta, è missione di pace, mentre il Vangelo da recare a tutti gli uomini è un Vangelo di pace. Si comprende così il denso significato teologico di un testo della Lumen gentium che vede la cattolicità a cui è chiamato il popolo di Dio come prefigurazione e promozione di una pace universale, quella che ci avvicina il più possibile ai tempi messianici:

 

«A questa cattolica unità del popolo di Dio che prefigura e promuove la pace universale, sono dunque chiamati tutti gli uomini; ad essa in vari modi appartengono, oppure ad essa sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, e sia infine tutti gli uomini che la grazia di Dio chiama alla salvezza» (Lg 13: EV/1, 321).



 

4^ Lezione (sabato 14/04/2003).   CHIESA  E  LAICI  O LAICI COME CHIESA? 

 

Laicità come ecclesialità

Rif. www.puntopace.net/Mazzillo/Il Popolo di Dio (Carmelo).htm    

 

Il dibattito sul significato teologico del laico ha messo in luce la refrattarietà di questo concetto a una definizione univoca. La difficoltà non nasce solo dalla plurivalenza dei sensi che il termine assume in generale, ma dalla fluidità teologica nella quale esso è venuto a trovarsi, essendo parola-chiave del rinnovamento conciliare e postconciliare, il quale è tutt'altro che de-finito e, grazie a Dio, non ancora finito. [Cfr Rivista di Pastorale liturgica 140 (1987/1), dedicata a “I Laici nella Chiesa e nelle celebrazioni”; G. LAZZATI, “Secolarità e laicità”, in Il Regno-attualità 12 (1985) 333-339; S. DIANICIH - B. FORTE, “Laicità: tesi a confronto”, in Il Regno- attualità 16 (1985) 459-461; G. LAZZATI, Il laico, Roma 1986; R. GOLDIE, Laici, laicato, laicità, Bilancio di trent'anni di Bibliografia, Roma 1986].

Giuseppe Lazzati, parlando del «laico» come di un termine «divenuto equivoco» sentiva il bisogno di coniugarlo con l'aggettivo «cristiano», quando si riferiva alla realtà ecclesiale ed avvertiva che pur essendo nato nella Chiesa, il termine «laico» è ormai adoperato in altri contesti che escludono la confessionalità e quindi l'appartenenza a una qualsiasi Chiesa. (G. LAZZATI, Il laico, op. cit., 9-10).

Ad aggrovigliare la matassa è intervenuto l'uso del termine «secolarità», adoperato spesso come sinonimo di «laicità», al punto che S. Dianich può agevolmente far notare le contraddizioni di alcuni binomi che assommano due concetti, che sembrerebbero divaricanti tra loro. Sono, ad esempio il «clero secolare» (distinto dal «clero regolare»), i «religiosi laici» (distinti dai «religiosi chierici»), gli «istituti secolari», ai quali appartengono anche i sacerdoti (S. DIANICH - B. FORTE, Laicità... art. cit., 459)

In questo contesto G. Lazzati ha pensato di riportare un po’ di ordine in un campo in cui entrava in ballo un tema che per lui era molto di più di un concetto teologico, perché investiva la sua diretta esperienza umana e, si può oggi dire con tranquillità, la sua splendida testimonianza cristiana. In contrapposizione a B. Forte, che, a suo avviso, dilatava il termine di laicità e secolarità oltre il dettato conciliare, Lazzati sosteneva con passione la sua lettura conciliare, che si può riassumere secondo questo schema:

1) C'è un'unica vocazione di Dio alla santità, valida per tutti;

2) Questa vocazione generale si realizza attraverso la Chiesa e i suoi mezzi salvifici;

3) L'unica vocazione alla santità passa attraverso funzioni diverse, che pur essendo distinte, non sono separate;

4) Le funzioni sono tuttavia specifiche e riguardano sia l'edificazione della Chiesa (evangelizzazione) che la costruzione della città dell’uomo (ordinare le realtà temporali secondo Dio);

5) La secolarità è da ascriversi ai laici e non può essere applicata a tutta la Chiesa, perché indica lo specifico della presenza e dell'agire dei laici nel mondo.

La conclusione è una riconferma della distinzione, già di Maritain, tra l'attività sacerdotale che attinge i suoi criteri e modalità d'intervento alla Parola di Dio, e l'attività secolare, che ha criteri e competenza derivati non da una consacrazione specifica, ma dalla scienza e dall'esperienza.

Tutta l'impalcatura del discorso fin qui condotto ha una sua logica interna ed una notevole chiarezza. Sembra corrispondere ad alcuni testi conciliari in modo ineccepibilmente corretto ed ha merito di garantire contro le tentazioni sempre ricorrenti dell'integralismo e del clericalismo. Ha tuttavia il difetto di non recepire in tutta la sua ricchezza e consequenzialità l'intuizione conciliare, che, al di là delle distinzioni e delle formulazioni di alcuni testi, affermano non tanto la plurifunzionalità dei membri della Chiesa, ma la fondamentale unità del popolo di Dio. Alla totalità della Chiesa come popolo di Dio il Concilio riconosce una caratteristica di fondo, che per essere ontologicamente e strutturalmente informata dalla sua conformazione cristica, è antecedente ad ogni distinzione profetico-regale-sacerdotale del laòs tou theoù, cioè del popolo di Dio e quindi di ogni laico (il cui significato etimologico è appunto: appartenente al popolo). Il laico in quanto membro del popolo di Dio è sacerdote, re e profeta e ciò viene prima ancora di ogni differenziazione successiva, anche se legittima e necessaria. È questo l'argomento che fa da sfondo alla posizione di chi sostiene la laicità e la secolarità dell'intera Chiesa. [Cfr. S. DIANICH, Aggiornamento teologico 13, 14, 15 (1982) e B. FORTE, La Chiesa icona della Trinità, Brescia 1984].

Su questa linea si può comprendere e condividere l'espressione «laicità sacerdotale e sacerdozio laicale», secondo un'espressione di Dianich Cf. art. cit. de: Il Regno-attualità 16 (1985) 459, mentre diventa anche comprensibile lo sviluppo, più che la svolta, di Y. Congar, che se precedentemente accentuava il binomio sacerdozio-laicato [Cfr Y. CONGAR, Per una teologia del laicato, Brescia 1967, come pure del suo articolo Laicato, in Dizionario teologico 11, Queriniana, Brescia 1967, 122-1446], successivamente adotta quello di comunità-ministeri Y. CONGAR, Ministeri e comunione ecclesiale, Bologna 1973].

Questa nuova terminologia, mentre lascia intatta quella realtà fondamentale cristica menzionata, recupera, su un altro versante, la distinzione, che è certamente di essenza e non solo di grado [8], tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale (Lg 106).

Inoltre, considerando la conformazione cristiforme come storicamente incarnata nel «secolo», diventa anche chiaro come la secolarità è una dimensione insita intrinsecamente nell'agire del popolo di Dio e quindi in ogni cristiano, sia esso laico che sacerdote.

Impostato così, il discorso teologico viene ricondotto all'alveo della comunione e dei carismi, ma anche a quello del significato cristologico dell'appartenenza al popolo di Dio. Ci richiama pertanto agli elementi teologici fondamentali che sorreggono l'essere e l'agire, le strutture e la prassi del popolo di Dio. Ripercorreremo le tappe di questa fondazione dogmatica, secondo questi punti: 1) Dio sorgente della comunione e della diversità; 2) Il legame con Cristo, fondamento della storicità e della secolarità del popolo di Dio.

 

Dio sorgente della comunione e della diversità

Il mistero di Dio, al quale attinge la Chiesa come mistero è quello che biblicamente si manifesta a noi come progetto, storia e universale vocazione alla comunione con Dio. Nel suo risvolto storico, la Chiesa è popolo che, rispondendo alla convocazione di Dio, è un'ekklesìa che ripropone nelle sue strutture visibili ciò che Dio è nel suo mistero: comunione di persone. La vita della Chiesa ha pertanto un respiro trinitario. La sua conformazione a Cristo fà sì che essa risulti di un duplice elemento, quello umano e quello divino, che compongono «una sola complessa realtà». Così afferma la Lumen gentium (8°) citando la Mystici corporis.

La Chiesa è corpo di Cristo, ma come in Cristo dimorano il Padre e lo Spirito Santo, così, analogicamente, la Chiesa è inabitata in Cristo dal Padre e dallo Spirito Santo. Il Dio della Chiesa è lo stesso Dio della rivelazione. Non si presenta come un demiurgo solitario, ma come comunione di persone che si relazionano tra loro con tale profondità ed insondabile intensità, da essere una sola natura, un solo Dio in tre persone. La Trinità non è per la fede cristiana un caso di conciliazione di termini matematici inconciliabili. È un dato da accettare e da amare, da ascoltare e da accogliere: è comunione che chiama alla comunione.

Tra la relazionalità intratrinitaria e la relazionalità intraecclesiale c'è un nesso evidente ed innegabile. L'affermazione centrale di un'unica relazionalità, quella di Dio-amore che si estende a quella della Chiesa, chiamata all'amore, è chiarissima nel Nuovo Testamento: «Amiamoci gli uni gli altri perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché avessimo la vita per lui» (1 Gv. 4, 7-9). Il brano molto denso della prima lettera di Giovanni contiene ad un tempo la chiamata alla comunione e l'appello alla missione, e ne fonda teologicamente la loro consistenza nella stessa realtà di Dio che si è rivelato come amore.

La comunione è in Dio un processo continuo che fonda l'«io» e il «tu» in una reciproca e continua riferibilità. Dio è sorgente dell'io e del tu, e perciò è relazione ed è sorgente del «noi». Il Padre è Padre e non può essere il Figlio, perché è tale e resta tale nei confronti di chi è generato come Figlio e che resta il Figlio. Ma l'uno e l'altro si rapportano tra loro come un «io» e un «tu» con una tale intensità e al di là di ogni limite, tanto che il «noi » che ne scaturisce costituisce lo Spirito, Terza Persona divina, distinta dalle prime due ed espressione perfetta della comunione tra loro esistente.

A questa comunione siamo chiamati anche noi. A questa comunione è chiamata la Chiesa, la cui missione è la costituzione del «noi» dell'intera famiglia umana. Le conseguenze ecclesiologiche che ne derivano sono notevoli. Se Dio è amore, «noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi» (1 Gv 4, 16). Vivere è per la Chiesa praticare l'amore. Tradurre in gesti esistenziali ed etici la realtà di un Dio che è un «Noi» significa per il popolo di Dio ricondurre tutti i diversi aspetti del suo passaggio sulla terra a quel «noi» al quale Dio stesso ci chiama. È per queste ragioni che lo sviluppo della dimensione misterica della Chiesa è la comunione, che deve informare ogni struttura, ogni pensare ed ogni attività del popolo di Dio. K. Hemmerle scrive: «la novità della nuova ontologia (trinitaria) è il suo prendere l'abbrivo da una profondità che non può essere dischiusa dal basso: dal Mistero trinitario di Dio che ci si manifesta nella fede. Il segreto di questo Mistero si chiama amore, darsi. Ma da qui si dischiude ogni essere, ogni pensare, ogni accadere nella propria struttura» (K. HEMMERLE, Tesi di ontologia trinitaria, Città Nuova Ed., Roma 1986, 52).

Se tutto ciò si può dire a livello ontologico generale, lo si deve affermare a fortiori per quella Chiesa che è creatura della Trinità. Il suo agire, mentre si realizza ad extra, perché la Chiesa è «in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lg 1), non può non realizzarsi ad intra. Infatti «nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente nel corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi... Così tutti noi diventiamo membri di quel corpo... ed individualmente siamo membri gli uni degli altri» (Lg 7a).

La strutturazione intraecclesiale, apostolica, e riguardante l'essenza e non la mera funzionalità estrinseca, come stava a cuore a G. Lazzati, muove da questa fondamentale referenzialità reciproca. Trova, pertanto, una formulazione non solo teologicamente più felice, ma anche ecclesiologicamente più esatta nella ministerialità all'interno della comunione e in vista della comunione. Se il Concilio ha precisato più volte che lo stesso ufficio (munus) «che il Signore affidò ai pastori del suo popolo è un vero servizio, che nella sacra Scrittura è chiamato significativamente “diaconia” cioè ministero» (Lg  4), sembra consequenziale applicare la ministerialità anche al laico, pur nella distinzione dei ruoli e dei compiti che egli ha. La pluriministerialità della Chiesa appare allora come pluriforme funzionalità che non nasce dall'esterno, ma dallo stesso cuore della Chiesa, che è il suo mistero. Resta da chiarire come tale pluriministerialità non può non essere sacerdotale. Come vedremo il suo fondamento è costituito dalla dimensione cristologica del Popolo di Dio.

 

Il legame con Cristo, fondamento della storicità e della secolarità del Popolo di Dio

La Lumen Gentium, come già visto, riconosce il popolo di Dio come popolo messianico, che superando il criterio dell'appartenenza etnologica, è dinamicamente proteso a raccogliere tutta l'umanità, mentre è pellegrino sulla terra. In quanto tale, il popolo di Dio è in relazione strettissima con il Cristo-messia e, ancorato a Lui ed in forza di Lui, costituisce per tutti gli uomini un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza (Lg  9).

Il suo rapporto con Cristo non è di natura estrinseca o giuridica. Da Lui riceve il suo carattere sacerdotale, perché tutti i battezzati sono «consacrati a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo» (Ivi). È un popolo sacerdotale perché ha Cristo-Sacerdote come origine, come via e come traguardo.

Il sacerdozio di Gesù si manifesta principalmente nella nuova alleanza che egli costituisce nel suo sangue. La sintesi eucaristica è momento centrale di una comunità sgorgata dal costato di Cristo sulla croce, nei suoi due sacramenti fondamentali: il Battesimo e l'Eucaristia, attraverso il dono dello Spirito dato nel momento della sua morte (Gv 19, 30). Lo Spirito è ridonato in abbondanza la sera della Pasqua a coloro che costituiscono il nucleo del popolo di Dio della nuova alleanza (Gv 20, 19-23). Prima di ascendere al cielo, Gesù invita i suoi a restare uniti (Lc 24, 49), in vista della piena manifestazione dello Spirito sulla Chiesa nascente, perché essa rompa ogni indugio e vinca ogni paura e sia nel mondo ciò che deve essere: popolo che annuncia e realizza la salvezza messianica. Il popolo di Dio ha queste origini.

Esso ha anche Cristo come via. È chiamato a seguire Cristo, mentre cammina nella storia, vivendo nel mondo. Il Concilio supera definitivamente la dicotomia spiritualità dei consacrati-spiritualità dei laici, indicando sia ai sacerdoti e ai religiosi che ai laici la via maestra delle beatitudini. Lo abbiamo già visto  per i religiosi, «che con il loro stato testimoniano in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio, senza lo spirito delle beatitudini» (Lg 31) e, in forza dell'unione a Cristo come radice sacerdotale comune, ma anche per i laici, che devono vivere la loro testimonianza e il loro impegno nel «saeculum», nello stesso spirito (Aa, 4).

Infine il popolo messianico ha gli stessi obiettivi (sacerdotali) di Cristo: riunire tutti gli uomini, presentare al Padre tutta la realtà come nuova creazione e liberare ogni creatura oppressa, perché tutto ritorni conforme alla creaturalità voluta da Dio (Rm 8, 18-25). In quanto popolo messianico, è anche il popolo della pace, perché ha origine dal Principe della pace, ha ricevuto con lo Spirito il dono della pace (Gv 20, 19-23) ed è costituito da quanti, per essere figli di Dio, sono artigiani di pace (Mt 5, 9).

L'attività «secolare» è dunque informata da questo spirito e si fonda sul carattere messianico-sacerdotale di Cristo.

È grazie a questa teologia cristocentrica oltre che trinitaria, che può trovare giustificazione l'espressione già citata, che non è più paradossale ma sostanzialmente corretta, che accosta sacerdozio e laicità: «sacerdozio laicale» e «laicità sacerdotale». Se, come afferma la lettera agli Ebrei, Cristo è l'unico sacerdote ed ha trasmesso al suo popolo il suo sacerdozio e se il suo popolo vive nel secolo, si comprende anche come tutti i battezzati sono interessati sia dalla secolarità che dal sacerdozio.

Le specificazioni successive e le attribuzioni di compiti particolari non vengono così eliminate. Possono essere però meglio espresse nella terminologia dei ministeri (la cui differenziazione è anche di essenza e non solo di grado, per ciò che riguarda le strutture volute da Cristo) e della comunione. Questa infatti mette meglio in risalto il fondamento teologico di ogni successiva ecclesiologia.

 

PROSSIME LEZIONI

 

5.      Lezione Venerdì 23/04/04 –

6.      Lezione Sabato  24/04/04

 ESSERE FEDELE LAICO: PROSPETTIVE ECCLESIOLOGICHE

In www.puntopace.net/Mazzillo/vivarium2002fedelelaico.htm