Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

Dalla “guerra giusta”  alla “guerra preventiva”. Relazione al convegno della diocesi di San Marco-Scalea di Cetraro, 01.02.03 (La Chiesa ripudia la guerra”)

Premessa

Il mio contributo intende negareribadire, dimostrandone le ragioni, la totale qualsiasi illegittimità morale e giuridica e morale alla della cosiddetta guerra preventiva. Cercando di guardare, oltre le coperture ideologiche, ai motivi reali delle guerre, cercherò di ricostruire nella storia della teologia l’idea della legittima difesa personale e per estensione quella della guerra difensiva, per indicare la sua inapplicabilità alla situazione strategico-militare contemporanea. In alternativa, mostrerò la via della resistenza nonviolenta come via nuova prevista anche dallo stesso in insegnamento morale del Magistero cattolico. Terminerò con un riferimento a un’opzione fondamentale: quella per un mondo più giusto senza guerre in alternativa all’opzione a scelta pratica consumata dai tanti, per un mondo sempre più ingiusto con le guerre.  Tre punti: 1) Difendersi e difendere non implica necessariamente l’uso della violenza; 2) Il punto d’arrivo: la guerra preventiva nasce dal mito del neoliberismo;  3) Scegliere un mondo di pace e non un mondo di guerra.

 

1) Difendersi e difendere non implica necessariamente l’uso della violenza

Il contributo a me richiesto mi costringe obbliga di ad andare indietro nel tempo, per affrontare una approccio alla guerra di stampo tradizionale, la cosiddetta “guerra giusta” (più esattamente “guerra di difesa”) o  guerra come estrema soluzione, cui fanno riferimento la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale e, sebbene in maniera  oggi profondamente problematica,  anche alcuni documenti del Magistero cattolico.  Dico subito che è una posizione di fatto non più rispondente alle attuali situazioni e condizioni in cui avviene una “guerra moderna”. Nel passato la sua concezione rispondeva ad alcuni criteri e nasceva in un contesto complessivo certamente diverso dal liberismo quasi totale in cui viviamoe della globalizzazione oggi. Tuttavia era anch’essa il frutto di una concezione della vita e del mondo. Questa giustificava quella e non viceversa. In ogni caso, implicava anche sia un particolare concetto difesa sia e dei mezzi per conseguirliconseguirla.

Partendo daIn  tempi a noi più vicini, la ferocia, la devastazione e l’inutilità della guerra sono state denunciate in interventi papali e magisteriali, a partire da Papa Benedetto XV e sono molto espliciti. Definita da questo papa «un´inutile strage», la guerra non trova di fatto oggi nel magistero cattolico sostenitori che la difendono. Richiamando Giovanni Paolo II, che l’ha definita «il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti», il Catechismo degli adulti della CEI scrive sulla guerra:

«Il mondo civile dovrebbe bandirla totalmente e sostituirla con il ricorso ad altri mezzi, come la trattativa e l'arbitrato internazionale. Si dovrebbe togliere ai singoli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è stato tolto ai privati cittadini e alle comunità intermedie» (n. 1037).

Come si noterà si usa il condizionale, non perché non sia sufficientemente convinti sul piano ideale, ma per l’oggettiva difficoltà di recepire tali indicazioni da parte dei soggetti politici, che sono poi, in definitiva, quelli che dichiarano le guerre.

Ma proprio la considerazione di ciò comporta provoca nel magistero una doppia linea. Questo, da un lato,Da un lato, si dichiara  l’adesione a una teologia della pace, fondata sul Vangelo. Anche Iil testo considerato afferma infatti:

«Agli occhi del cristiano la guerra contraddice il disegno di Dio sulla storia, la sua iniziativa di riconciliazione in Cristo, “nostra pace” (Ef 2,14). Non c’è conquista che possa giustificarla. La pace è preferibile alla vittoria» (ivi).;

DDall’altro lato,a, lo stesso magistero si assiste ancora al non riesce a superare totalmente superamento idel principio della guerra dedotto dalla legittima difesa, che «non si può negare» ai popoli come ai «singoli uomini». Tuttavia almeno per ciò che riguarda i più recenti pronunciamenti e lo stesso catechismo Catechismo degli adulti ciò della CEI costituisce anche un progresso rispetto al Catechismo della Chiesa Cattolica, da cui  è riprende l’idea della guerra difensiva come un diritto che non si può negare ai popoli[1].  Ciononostante si afferma:

«Oggi la potenza delle armi è così terribilmente distruttiva che ogni conflitto armato diventa facilmente guerra totale. Appare pertanto urgente promuovere nell’opinione pubblica  il ricorso a forme di difesa non violenta. Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo a un corpo di polizia internazionale» (n. 1038). 

Mentre annotiamo positivamente l’appello a favorire il ricorso alla legittima difesa attraverso forme nonviolente, dobbiamo chiederci da dove derivi venga la legittimazione della guerra, sebbene anche solo ammessa come diritto dei popoli a difendersi. Come già accennato, deriva dalla legittima difesa del singolo. Pensando ai regni e ai principati, prima ancora che esistessero le nazioni, la difesa riguardava le aggressioni esterne di altri popoli in cerca di spazi vitali, di bottini, di espansione politica. Si argomentava:  come il singolo ha il diritto di difendersi anche colpendo l’altro, quando non sia possibile fermarlo diversamente, così un popolo a nazione ha diritto di difendersi anche colpendo il popolo aggressore l’altra, quando non sia possibile un’altra soluzione.

In ambito civile, lLa legittima difesa è tuttora invocata, soprattutto per il singolo, ma per estensione, anche per le entità collettive. Bisogna però dire che spesso però che essa si confonde spesso il piano giuridico con quello etico, ritenendo morale ciò che è sanzionato dalla legge, ma non viceversa. Ora, proprio questa grossolana e ancora insuperata confusione è all’origine di molti malintesi. Infatti alla luce di una valutazione etica non superficiale, né emotiva, proprio la difesa non può però essere una sorta di dottrina morale utilizzabile per legittimare una scelta politica o peggio militare, un’etichetta che copra o puntelli atti di governo diversamente ingiustificabili. Sebbene sia stata spesso intesa così, la legittima difesa è invece il ricorso a valutazioni morali per giudicare la legittimità dell’uso della forza (ma comunque non necessariamente violenta verso l’altro) perché individui o popoli possano difendersi da attacchi esterni che mirano a colpirli direttamente e violentemente.  Tali attacchi riguardano diritti e valori fondamentali: in primo luogo quello della vita e della libertà.

La questione, anche quando fosse posta in questi termini, non esclude tuttavia una prima qualificazione differenziata dell’elemento qui maggiormente in gioco: l’utilizzo della forza. Ma Ddicevamo che  proprio la forza non è detto che debba essere necessariamente una forza violenta.  Non si può infatti escludere, né in linea teorica, né partendo da esempi pratici, che proprio tale “forza” di difesa possa essere di vario genere, ivi incluso quello nonviolento, come la resistenza passiva, il boicottaggio, la disubbidienza civile e tutto ciò che – da caso a caso – può essere un autentico ostacolo nonviolento, sufficiente  a neutralizzare gli attacchi o le minacce di attacco.

Con questa qualificazione della “forza” reattiva come attività nonviolenta o insieme di atti nonviolenti, la questione della legittima difesa, tanto del singolo che della collettività assume una nuova luce e supera certamente le strettoie militaristiche in cui essa era ed è tuttora rinchiusa, anche a motivo degli apparati militari, che vi hanno costruito abnormi strutture e un esorbitante potere, e a causa delle industrie belliche, che vi hanno eretto i loro incontrastati e sempre crescenti imperi finanziari.

Tradizionalmente, infatti, la stessa terminologia della questione era ed è tuttora viziata da  un’equiparazione semplice, ma che è stata ed è ancora fonte di immani tragedie e cioè la difesa è uguale a violenza, e in linea derivata, l’istituzione della difesa è necessariamente guerra, da cui consegue che  l’istituzione di ciò che ad essa attiene e prepara è necessariamente di carattere militare e dunque è l’esercito.  La prova più lampante di queste tre equiparazioni interdipendenti è l’espressione ricorrente anche nei trattati di teologia morale: lo ius ad bellum, il diritto alla guerra.  In questo contesto, S. Tommaso, a partire dalla Quaestio XL della sua Summa Teologiae, riconosceva tale diritto solo all’autorità legittima, sempre in risposta a un’effettiva colpa altrui, e in presenza di un’intenzione retta, vale a dire: quella di voler porre fine al male per instaurare il bene. Su questa linea era stato elaborato anche il criterio di una corrispondenza tra difesa e offesa, e, ciò che per noi è della massima importanza, sulla differenziazione tra combattenti e civili innocenti. Si erano poste così le premesse alla teorizzazione della guerra da parte del padre del Diritto Internazionale, Ugo Grozio. Questi, nel suo testo De iure belli et pacis, cioè del diritto della guerra e della pace,  parlava di una guerra solennemente da dichiarare dall’autorità preposta, di una necessaria limitazione degli effetti della guerra stessa e di un insieme di limitazioni dettati dalla “retta natura”. La dottrina conseguente ne seguiva appariva con una sua coerenza teorica e costituisce ancora la base delle dichiarazioni universali riguardanti i diritti delle nazioni. Tuttavia non è da dimenticare che anche nella teorizzazione della guerra come difesa, essa restava pur sempre un’extrema ratio, l’ultima possibilità dopo aver tentato tutte le altre vie atte ad evitarla.

Da queste premesse è scaturita l’idea della cosiddetta “guerra giusta”, che limitatamente alle restrizioni addotte, altro non sarebbe che guerra legittima e non propriamente giusta. Ciò supera evidentemente anche qualsiasi soglia di legittimità di ogni altro tipo di guerra non difensiva., n Non nascondo che sotto tale soglia non ne sono mancate guerre neanche nella storia della Chiesa, a partire dalle guerre indette per le crociate a quelle motivate dalla conquista di popoli inermi e stranieri, a quelle dell’espansione o per idel mantenimento del potere temporale dei papi. Su queste non ci soffermiamo perché lo stesso Magistero del Vaticano II e dell’attuale pontefice sono stati sufficientemente chiari, fino al punto di chiedere espressamente perdono a Dio e agli uomini[2]. 

Tornando alla guerra difensiva, gli studiosi più attenti annotano che oggi, sia generalmente nelle costituzioni nazionali (vedi in famoso articolo 11 di quella italiana) sia anche nello Statuto dell’ONU, l’unica concezione della guerra ammessa è quella della legittima difesa. Non nascondono tuttavia la difficoltà dell’identificazione della legittimità non tanto nei princìpi, quanto dei fatti che hanno portato e portano alla guerra.  È sotto gli occhi di tutti, e non solo degli storici di professione, che non una sola delle parti coinvolte nelle innumerevoli guerre che hanno insanguinato e insanguinano l’umanità,  ma tutte le parti si sono appellate e si appellano a motivi legittimi, in concorrenza tra loro. Ciò rende nei fatti impraticabile la stessa applicazione dei principi precedentemente riportati. Ma non è tutto. A ciò si aggiunge che dal medioevo ad oggi, le guerre se mai lo siano state per il passato, non sono più tra militari e per un’eventuale e limitata difesa della patria, ma coinvolgono un numero altissimo di civili. Tendono per loro stessa natura, con un’accentuazione crescente dopo la l’utilizzo delle armi a scoppio, alla distruzione e alla devastazione di intere regioni. E ciò rende del tutto impraticabile anche l’utilizzo delle limitazioni teoriche, a partire da quelle di Grozio.

L’evidenza più lampante di tale salto di qualità (sarebbe da dire esattamente di efferatezza) della guerra si ha nella prima guerra mondiale, con un numero elevatissimo di civili uccisi, di feriti e di mutilati. Del resto la stessa dizione di “guerra mondiale” costituisce la prova più evidente che non ha ragion d’essere ogni precedente teoria sulla legittimità della guerra.  Si arriva a vere e proprie distruzioni di massa e ciò  ancora prima del famigerato, quanto anche militarmente ingiustificato, utilizzo dell’atomica nella seconda guerra mondiale (Hiroshima e Nagasaki).

Con la prima guerra mondiale, si è ingigantito il numero delle vittime civili, dei feriti, mutilati, delle distruzioni di massa.  Da allora iIl numero dei civili coin­volti è in cresciuto in maniera esponenziale. Si calcola che è passato al 48 % della nella seconda guerra mondiale, all'84 % del­la nel­la guerra di Corea, all'87 % della nella guerra in Vietnam. Quanto a quella precedente contro l’Iraq, il numero esatto non si conosce, nonostante i mezzi di comunicazione e di informazione (meglio sarebbe dire disinformazione) di massa. Siamo arrivati inoltre all’atomica, e con essa all’anticreazione: l’obiettivo è infatti distruggere tutti e tutto. Non per un incidente, ma per la stessa sua natura e per la progettualità distruttiva (che diventa anche autodistruttiva) che l’ha giustificata. Ad essa è assimilata, nel giudizio morale del magistero cattolicola Chiesa, come pure della stessa morale razionale, la distruzione di città, di regioni e dei loro abitanti. La sua condanna, come guerra totale è chiarissima nel Vaticano II. È l’unica condanna esplicita, formale e solenne:

«Avendo ben considerato tutte queste cose, questo sacrosanto sinodo, facendo proprie le condanne della guerra totale già pronunciate dai recenti sommi pontefici, dichiara: Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato»[3].

Questa dichiarazione netta sull’incondizionata immoralità della guerra totale è preceduta nel Vaticano II da altre espressioni, che sembrano essere una mediazione tra la tradizionale legittimità della guerra di difesa[4], con il riconoscimento del valore dell’esercito limitatamente alla salvaguardia della sicurezza[5],  e il valore della disobbedienza verso gli atti criminali che mirano allo sterminio.  A questo proposito si legge:

«Le azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a questi principi e gli ordini che tali azioni prescrivono sono crimini, né l'obbedienza cieca può scusare coloro che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzitutto enumerati i metodi sistematici di sterminio di un intero popolo, di una nazione o di una minoranza etnica; orrendo delitto che va condannato con estremo rigore. Deve invece essere sostenuto il coraggio di coloro che non temono di opporsi apertamente a quelli che ordinano tali azioni»[6].

Il Concilio afferma inoltre espressamente il valore dei mezzi di difesa nonviolenti, alternativi a quelli tradizionali:

«Mossi dal medesimo Spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità»[7].

Sebbene le due posizioni siano apparse una soluzione di compromesso, in effetti l’invito del Vaticano II  è a guardare alla complessità della materia con una mentalità completamente nuova:

«Tutte queste cose ci obbligano a considerare l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova.  Sappiano gli uomini di questa età che dovranno rendere severo conto delle loro azioni di guerra, perché il corso dei tempi futuri dipenderà in gran parte dalle loro presenti deliberazioni»[8].

Sicché, nonostante le ammissioni di stampo tradizionale, la linea indicata tracciata quasi quarant’anni fa è l’invito addi  adoperarsi per superare del tutto ogni ricorso alla guerra[9]. L’alternativa è allora nella ricerca, oltre che delle sempre menzionate soluzioni di ordine politico e diplomatico, anche di quegli strumenti nonviolenti che sebbene non abbiano ancora nel magistero uno sviluppo adeguato, sono tuttavia già indicati come linea di marcia del presente e del futuro. Una conferma in tal senso viene anche da un documento della Congregazione della dottrina della fede, del 1986, che a proposito della stessa lotta armata di liberazione affermava:

"«Tuttavia l'applicazione concreta di questo mezzo può essere prevista solo dopo una valutazione molto rigorosa della situazione. Infatti, a causa del continuo sviluppo delle tecniche impiegate e della crescente gravità dei pericoli implicati nel ricorso alla violenza, quella che oggi viene chiamata "resistenza passiva" apre una strada più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo»" [10].

2) Il punto d’arrivo: la guerra preventiva nasce dal mito del neoliberismo

Dal discorso fin qui condotto si deduce che sul piano morale la stessa guerra difensiva è oggi problematica. Ciò prescinde da ogni altra considerazione relativa alla logica evangelica del rifiuto totale della violenza, su cui però noi cristiani non dovremo smettere di interrogarci. In ogni caso e a maggior ragione è da sottolineare l’immoralità della guerra preventiva, oggi unanimemente riconosciuta da tutti gli interventi autorevoli del Papa e dei vescovi che si sono pronunciati in materia[11]. Proprio essa è giuridicamente destituita di qualsiasi legittimazione anche dagli organismi internazionali oltre che da quelli attinenti al diritto a qualsiasi livello[12].

Come tutte le idee, anche le più disastrose per l’umanità (si pensi  al razzismo e al nazionalsocialismo), questa della guerra preventiva si è affacciata alla chetichella e  sotto la copertura dell’indispensabile sicurezza e della necessaria difesa di una nazione e di una civiltà. In riferimento alla minacciata guerra all’Iraq, la cosiddetta difesa riguarderebbe la nostra civiltà occidentale di fronte a diverse minacce di possibili attacchi, in primo luogo quella del da parte dei terroristimo.. Per difendersi, si è detto, è legittima anche la guerra preventiva, atta a colpire, per neutralizzarli, quanti costituiscono un’effettiva minaccia nel senso indicato. La dottrina della guerra preventiva è stata proposta prima in alcune esternazioni del presidente G. Bush e poi sancita in un documento strategico degli Usa. È quello del 17 Settembre 2002 (The National Security Strategy of the United States of America - September 2002), che tradisce ben presto la culla in cui nasce e la fede in cui crede. È il credo nel neoliberismo portatore di felicità e di benessere per tutti ed è la fede in se stessi, cioè  negli Stati Uniti d’America, come popolo prescelto per diffondere e difendere tali beni:

     «Gli Stati Uniti staranno al fianco di qualunque nazione che voglia costruirsi un futuro migliore perseguendo i benefici della libertà per il proprio popolo. Il libero commercio e il libero mercato hanno dato prova della loro capacità di far superare l'indigenza ad intere società, e gli Stati Uniti lavoreranno quindi al fianco di singole nazioni, intere regioni e tutta la comunità commerciale globale per costruire un mondo che commerci liberamente e cresca quindi nella prosperità …. Oggi, l'umanità ha tra le mani la responsabilità di far trionfare la libertà a dispetto di tutti i suoi nemici.  Gli Stati Uniti accolgono con gioia la responsabilità di guidare questa grandiosa missione» (George W. Bush I. nell’Introduzione).

Nello stesso documento la doppia fede ideologica (nel libero commercio e libero mercato e nel proprio infallibile ruolo guida del mondo)  è intrepidamente propagandata contro altre ideologie, non lasciandosi nemmeno sfiorare dal dubbio che possa cadere essa stessa nell’ideologia. In evidente riferimento alle visioni ideologiche precedenti si afferma: 

«La grande lotta è finita. Le visioni militanti di classe, nazione e razza che promettevano l'utopia, ma davano miseria, sono state sconfitte e screditate» (I).

Il doppio credo nell’infallibile neoliberismo e nell’indiscutibile  leadership statunitense, al pari di ogni altra fede fondamentalista, siè ammantata di assoluto e diventa ben presto assolutismo. Diventa progetto di vera conquista degli altri spazi possibili.  Il campo è allora libero per progettare l’intervento sistematico e preventivo, prendendo a pretesto il terrorismo internazionale. Ecco le testuali parole del documento:

«Così sgomineremo e distruggeremo le organizzazioni terroristiche: con azioni dirette e continuative attraverso tutti gli elementi del potere nazionale ed internazionale. La nostra attenzione sarà rivolta nell'immediato a quelle organizzazioni terroristiche globali e a quei terroristi o Stati sostenitori del terrorismo che tenteranno di procurarsi o di usare armi per la distruzione di massa o loro precursori; difendendo gli Stati Uniti, il popolo americano, i nostri interessi interni ed esteri tramite l'individuazione e la distruzione della minaccia prima che raggiunga i nostri confini. Gli Stati Uniti cercheranno costantemente di attirarsi il sostegno della comunità internazionale, ma al tempo stesso non esiteranno ad agire da soli, se necessario, per esercitare il loro diritto all'autodifesa agendo anche in via preventiva contro i terroristi, per impedire loro di fare del male al popolo americano e all'intero paese» (III).

Giunti  a questo punto, non ho bisogno di aggiungere molto. Per ciò che maggiormente ci interessa, schematicamente indicherò solo tre corollari inerenti alla dottrina ideologica summenzionata:

Primo: Alla luce della dottrina della guerra preventiva, la guerra è stata già o  può essere sempre decisa unilateralmente da parte degli Stati Uniti, senza consenso di chicchessia e tanto meno dell’ONU;

Secondo: Gli Stati Uniti (ma in linea logica anche chiunque altro) si arrogassero il diritto della guerra preventiva, la ritengono moralmente e giuridicamente giustificabile;

Terzo: Il libero commercio e il libero mercato sono i veri e gli unici valori assoluti che generano il mostro della guerra preventiva: sono essi ed essi solo che conferiscono un valore che addirittura si suppone “etico” alla cosiddetta pace (imposta evidentemente agli altri con i bombardamenti) e alla guerra preventiva (imposta di fatto agli alleati con il ruolo di leadership mondiale). 

Sono tre corollari insostenibili moralmente inaccettabili sia sul piano teorico che sia su quello pratico. Insostenibili dal punto di vista etico e anche semplicemente logico, i corollari suddetti sono solo espressioni di una scelta ideologica e di un arbitrio smisuratamente autoreferenziale.

Dal punto di vista pratico, bisogna dire che se in ogni caso ogni guerra ha motivi reali e motivi fasulli, quella contro l’Iraq è particolarmente emblematica, perché li evidenzia abbondantemente tutti. I motivi fittizi addotti  sono apparsi sempre cangianti, in corrispondenza con gli umori di un certo elettorato e con i pretesti di volta in volta esperiti. La lotta al terrorismo ne è la copertura dominante e l’elemento scatenante, cui si agganciano la difesa da armi di distruzione di massa, la difesa di “valori” ritenuti tipici dell’Occidente, la violazione dei diritti umani, l’esportazione della libertà e della democrazia.  Appellandosi a un’azione tipica degli Stati Uniti in tal senso, Bush più volte ha affermato che il terrorismo e l’odio contro gli Usa sono dovuti alla lotta da questi ingaggiata contro il male e s’intende, anche se non lo si dice, alla strenua difesa e all’irrefrenabile esportazione nel mondo del libero commercio e del libero mercato.

Sul carattere pretestuoso e strumentale di simili argomenti si è espresso energicamente anche un Vescovo americano, Mons. Bowman, vescovo in Florida, la cui denuncia è riassumibile con le sue stesse parole, profeticamente rivolte, in una lettera aperta al presidente Bush: "Signor presidente, siamo bersaglio del terrorismo perché sosteniamo tutte le dittature".  

Ed inoltre:

«Racconti la verità al popolo, signor Presidente, sul terrorismo (…) Noi siamo odiati perché il nostro governo nega queste cose ai popoli dei Paesi del terzo mondo, le cui risorse fanno gola alle nostre corporazioni multinazionali. Quest'odio che abbiamo seminato si ritorce contro di noi per spaventarci sotto forma di terrorismo e, in futuro, terrorismo nucleare. Una volta detta la verità sul perché dell'esistenza della minaccia e della sua comprensione, la soluzione diventa ovvia. Noi dobbiamo cambiare le nostre pratiche. Liberarci delle nostre armi (unilateralmente, se necessario) migliorerà la nostra sicurezza…» (Fonte ADISTA n°85 del 30 novembre 2002).

Non ho bisogno di aggiungere alcun commento. Dirò solo, per restare in tema, che la dottrina della guerra preventiva si manifesta insostenibile e aberrante sia sul piano pratico che teorico e nel caso deall’Iraq non è che un maldestro tentativo di copertura che non convince nemmeno molti statunitensi.

3) Scegliere un mondo di pace e non un mondo di guerra

Giunti a questo punto è del tutto e dimostrata la totale immoralità dell’eventuale guerra all’Iraq. , aggravata dallLa minaccia dell’uso dell’atomica, che la rende ancora più immorale. E ancora: c, ciò che è in gioco non è  tanto solo l’opzione per questa guerra o contro di essa, ma un’opzione seria, costante, coerente, di più grande portata. Si tratta di optare per un  mondo di guerra, basatoa sul dominio del più forte e sull’imperio del cosiddetto libero commercio e & mercato, oppure per un mondo senza guerre, più giusto, più rispettoso dell’altro e in costante dialogo con esso. 

Proprio questa  guerra  evidenzia la correttezza metodologica e scientifica di chi individua le cause delle guerre moderne e recenti che sono abbastanza numerose sul pianeta[13]. I veri motivi s

i chiamano petrolio, oro, diamanti, pietre preziose, acqua ed altre risorse naturali, coltan (componente essenziale per telefonini, aerei e PlayStation2)[14].

Ciò smentisce gli accoliti delle guerre, che invece ne teorizzano l’ineluttabilità col pretesto della sicurezza. Di fatto, cCiò che si intende garantire è solo un modello di vita occidentale, che diventa ogni giorno più insostenibile. Le statistiche parlano di un americano che consuma l’equivalente di 20 cinesi; di un americano che produce 20 tonnellate di anidride carbonica all’anno, in un contesto complessivo ogni annno più drammatico, perché il 20 % della popolazione della terra detiene l’86 % della ricchezza mondiale. Contro il dogma neoliberista dell’inarrestabile e infallibile progresso che verrà dal libero commercio, si fa notare che dal 1970 la ricchezza dei pochi è aumentata del 17 %, la povertà non è diminuita della stessa percentuale, ma è aumentata. Ancora: 3 miliardi di esseri umani non hanno una casa degna di tale nome, perché carente dei più elementari servizi (acqua, senza luce elettrica ecc.). Ciò a fronte della scandalosa constatazione che l’equivalente dell’acqua per tutti è ciò che in Europa si spende per gelati in un anno; l’equivalente per la lotta all’analfabetismo basterebbe è la spesa annua l’equivalente alla spesa per i cosmetici negli Stati Uniti, e via di questo passo[15].

Tutto ciò non solo non rientra nelle considerazioni strategiche mondiali, ma è aggravato anche dal fatto che ogni lotta reale  all’inquinamento è impedita dalla difesa di interessi economici fortissimi. Sono questi che determinano la politica e con essa i grandi mezzi di comunicazione di massa. S, sono questi che finanziano le propagande elettorali dei presidenti USA e oggi anche di altri paesi.  Parliamo del petrolio e delle grandi compagnie, delle multinazionali e delle lobbies finanziarie. Questi determinano le scelte politiche e non le scelte politiche determinano una loro regolamentazione ai fini del miglioramento del pianeta e delle stesso condizioni ambientali delle proprie popolazioni..

La conclusione è che mai come oggi è diventato evidente che non c’è mai guerra giusta. Oggi meno che mai. E con ciò concludo che la vera scelta è tra un modello di vita senza guerra, corrispondente ma con a un nuovo ordine economico mondiale, oppure un mondo con la guerra e con altre innumerevoli , guerre, ma che conservatono e aggravatoale da un sistema economico, sempre più neoliberista, senza freni e senza controlli etici. Il mondo di chi vuole la guerra è quello  di  Bush (e in realtà dei suoi finanziatori) e che tuttavia afferma di voler salvare l’umanità. Ma èÈ anche il mondo quello dei suoi accoliti nuovi e recenti, militari e, laici e religiosi. Sono Tra questi ci sono i persuasori militari (Lutwack) e i paladini della odiosa e pur sempre quelloi che   e di chi l’ammanta sotto il pretesto della sua indispensabileità  guerra (tra Giuliano Ferrara), i primi della classe o gli aspiranti tali, sempre più innamorati del liberismo e delle proprie fortune presunte o reali che sianodella necessaria cooperazione con Busch (tra i quali brillano Blair e Berlusconi). Tra i difensori di costoro non manca qualche “religioso” davvero inattendibile come Gianni Baget Bozzo.

Come ripetutamente dimostrato, da più parti, e persino nelle giustificazione della difesa degli interessi economici da parte statunitense,Se in definitiva  la guerra contro l’Iraq ha tali motivazioni e tali paladini, prevalentemente economiche, mentre rischia di fatto di aver come conseguenza effettuare lo sterminio di intere popolazioni, la devastazione di uninteraa regione, l’acutizzazione di un conflitto dalle conseguenze mondiali imprevedibili e dagli effetti pericolosamente incalcolabili sul piano dei rapporti  tra popoli islamici e occidentali. Sono motivi più che sufficienti per dire no alla guerra contro L’Iraq e contro le altre guerre. Per a mobilitarsi per a smascherarne le cause, per  crescere insieme, intraprendendo nuovi stili e altri comportamenti di vita (consumo critico, boicottaggio dei prodotti inquinanti e oppressivi, boicottaggio delle banche armate ecc.) e per condividere il progetto di un altro mondo possibile, un mondo finalmente senza guerre. di questa come delle altre guerre nascoste, ma realmente presenti sul pianeta.

 

 

 

                                                                          



[1] Ecco i testi del Catechismo della Chiesa Cattolica: n. 2308 «Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa»; n. 2309 «Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente: - Che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo. - Che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci. - Che ci siano fondate condizioni di successo».

[2] Si è parlato infatti di una «riconciliazione della memoria», con la conseguente richiesta di perdono, nell’anno giubilare del 2000, dopo confessione dei peccati in «Terra Santa» da parte di Ppaolo VI già nel 1964 [cf. Il Regno-Documenti 45 (2000/7) 223-230]. Il numero precedente, il 6, riporta integralmente il testo Della Commissione Teologica Internazionale, Memoria e riconciliazione reso pubblico in Italia il 7/03/2000, (ivi, 137-152) mentre il successivo, il 7, riferisce sulla liturgia penitenziale del 12 marzo con la confessione delle colpe e la richiesta di perdono. Per sette volte questi due momenti sono stati intrecciati tra loro attraverso un invitatorio (proposto a turno da un capo dicastero di curia) e  un'orazione del papa, con una successiva pausa di silenzio e il conseguente canto del Kyrie. Nel frattempo venivano accese una per volta sette lampade del candelabro innanzi al crocifisso, abbracciato dal papa.dopo l’ultima orazione. Le richieste di perdono, erano riassunte, in maniera esemplare attraverso queste sette riguardanti: 1) la confessione dei peccati in generale come deviazione dal Vangelo; 2) le colpe commesse nel servizio della stessa Chiesa, tra le quali le crociate e l'Inquisizione, altrove citate esplicitamente e «qui omesse all'ultimo momento, per non irritare ulteriormente più di un esponente di curia, contrario in particolare ad annoverare le crociate nella richiesta di perdono» (Il regno (2000/6), cit., 146; 3) i peccati contro l'unità del corpo di Cristo; 4) le colpe riguardanti Israele; 5) le colpe commesse contro valori fondamentali quali l'amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni, comprese le conversioni forzate e il maltrattamento di degli immigrati e degli zingari; 6) i peccati in rapporto alla dignità della donna e all'unità del genere umano, con riferimento a discriminazioni, offese contro la dignità e conseguente violazione dei diritti altrui; 7) i peccati relativi ai diritti fondamentali della persona, con la menzione dei poveri, nei quali tante volte i cristiani non hanno riconosciuto Cristo. Ha concluso la liturgia una dichiarazione di impegno di fedeltà al Vangelo: «Mai più contraddizioni alla carità nel servizio alla verità, mai più gesti contro la comunione della Chiesa, mai più offese verso qualsiasi popolo, mai più ricorsi alla logica della violenza, mai più discriminazioni, esclusioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi».

[3] Gaudium et spes, n. 80 (EV 1/1598).

[4] «I capi di stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza» (Ivi, n. 79: EV 1/1596).

[5] «Coloro poi che, dediti al servizio della patria, esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come ministri della sicurezza e della libertà dei loro popoli e, se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace» (Ivi, n. 79: EV 1/1597).

[6] Ivi, n. 79: EV 1/1594.

[7] Ivi, n. 78: EV 1/1591.

[8] Ivi, n. 80: EV 1/1599.

[9] «È chiaro pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo, nel quale, mediante l'accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra» (Ivi, n. 82: EV 1/1607).

[10] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Libertatis con­scientia, del 22.3.86, n. 79.

[11] Basti pensare al discorso di Giovanni Paolo II al corpo diplomatico accreditato presso la santa sede lunedì, 13 gennaio 2003.  Vi sono frasi come questa: «”NO ALLA GUERRA”! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi… Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, né vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari».   

 Cf. inoltre il recente intervento di Mons. Betori, Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, a conclusione dell’ultimo Consiglio Permanente e all’ammissione sulle divergenze di opinioni ammesse dall’Ambasciatore statunitense accreditato in Vaticano,  Jim, Nicholson (cf.  M. TOSATTI,  «Il Vaticano convoca l’ambasciatore USA. Un documento dei vescovi: una guerra preventiva non può essere giusta», in La Stampa 137 (29/01/03) 7.

[12] In questo senso sono da intendersi le recenti dichiarazione dell’Unione Europea e di altri organismi che si sono espressi in tal senso.

[13] Cf. Facciamo pace, Videocassetta a cura del Messaggero, Padova, coproduzione Aifo, Assobotteghe, Banca Etica, CMD Verona, CNMS Vecchiano, Fondazione Chonos, mani Tese, Missionari Comboniani,  Missionarie Comboniane, Overseas, Rete Lilliput, Transfair

[14] Cf. www.kontrokultura.org/archivio2001/138/coltan.html.

[15] Fonte: Tempo di scelte. Dalla globalizzazione dei profitti alla globalizzazione dei diritti. Videocassetta a cura del Messaggero, Padova, coproduzione Aifo, Assobotteghe, Banca Etica, CMD Verona, CNMS Vecchiano, Fondazione Chonos, mani Tese, Missionari Comboniani,  Missionarie Comboniane, Overseas, Rete Lilliput, Transfair.