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La pace e la riscoperta dell'altro [Pubblicato in Bozze 15 (1993/1) 43-52, con qualche ritocco.

 Il testo risale alla riflessione più ampia sull’argomento sviluppato nelle I^ parte del  corso Dio sulle tracce dell’uomo]

E' ancora credibile la pace? In realtà "credibile è soltanto l'amore"[1].

La pace è stata ed è spesso invocata non solo dalla gente comune e dai popoli, ma in genere anche dai potenti di questo mondo, gli stessi che continuano a fare la guerra. La pace è una parola per molti ambigua. Se dico che solamente la pace è credibile, risponderanno: "quale pace?". E tuttavia la frase è giusta così, benché sia da aggiungere che solamente un genere di pace è credibile: quella strettamente collegata con l'amore. Se ora soltanto questa è da credere, il problema è solo spostato. Resta infatti da chiarire cosa sia l'amore di cui si parla.

Non volendo e non potendo nemmeno tentare un bilancio di ciò che anche la semplice letteratura teologica scrive sull'argomento amore, posso qui solo offrire alla riflessione di chi legge alcune annotazioni su quelli che possiamo chiamare i "frutti dell'amore". C'è infatti oggi soprattutto tra i giovani, ma anche tra i meno giovani, un generalizzato bisogno di precisare quali frutti siano da attendersi da un amore che non può essere un'emozione superficiale, ma piuttosto un agire e un fare. Frutti dunque che nascono dal terreno dell'esperienza: l'esperienza dell'incontro. Partendo da questi frutti potremo discernere la bontà dell'albero della pace. I frutti della pace sono simili ai frutti dell'amore. Li possiamo richiamare, orientativamente, dal libro "Ich und Du" (cioè Io e Tu) di Martin Buber. Sono: "aiutare; educare; guarire; elevare; redimere". Con una premessa indispensabile: "Amore è responsabilità di un io per un Tu"[2].

La responsabilità per l'altro, il prendersi cura di lui, l' "I care" di D. Lorenzo Milani, è l'ambiente dove la pace cresce e vive: l'albero buono che porterà i frutti descritti. Se oggi sono così vistosi i segni di disorientamento sui grandi temi e sulle motivazioni di fondo che spingono ancora all'avventura della pace, diventa di vitale importanza prendere visione di ciò che affermano non solo la Bibbia, e di conseguenza la teologia, ma anche la stessa riflessione più attenta e meno incline alle mode, sul tema dell'amore come vocazione alla corresponsabilità di tutti per l' altro e per il mondo . E' ugualmente importante fare una valutazione comune su quanto ogni movimento di pace sta facendo, su quanto omette di fare, su quanto gli resta ancora da fare. E' in gioco la credibilità dell'agire tanto del cristiano che del credente nella pace: insomma, la nostra stessa credibilità. Ma in questo modo le domande si vanno focalizzando sul principio della responsabilità per l'altro come cura effettiva che noi abbiamo per i "diversi", gli altri popoli, quelli che, con fretta e ridicole precomprensioni, chiamiamo gli "extra-comunitari". Se l'altro in quanto tale mi interpella e rappresenta persino uno dei kairòs[3] di questa nostra epoca, non meno urgente è raccogliere l'appello che sale dall' altro in quanto mondo ecologico che accusa le nostre responsabilità passate e presenti e sfida la nostra coscienza etica per ciò che riguarda il futuro. Lo stesso principio diventa principio "responsabilità" nei confronti del cosmo. Se siamo stati chiamati da Dio a collaborare con Lui nel completamento della creazione e nell'abbellimento del mondo creato (mondo infra-umano e mondo umano: ma sono veramente separabili?) o se, più in generale, siamo responsabili del patrimonio naturale-umano che la sorte ci ha affidato, quali sono le nostre responsabilità verso un mancato miglioramento, anzi un peggioramento delle condizioni ambientali? Che cosa dire dei cambiamenti del mondo inter-umano? Cosa cambiare per essere fedeli alla nostra vocazione creaturale? A queste domande è ovviamente collegato un ulteriore principio, che la teologia contemporanea comincia finalmente a esplicitare: il principio solidarietà . Se infatti nessuno vive per se stesso , né muore per se stesso, la solidarietà non può essere solo il legame organico con il tutto dal quale, anche se volessimo, non riusciremmo mai a separarci, ma ciascuno vive per l'altro . In un doppio significato: veniamo dall'altro; tendiamo all'altro. La solidarietà è la nuova espressione etica di un modo di vivere che passa dalle lacrime del capriccio a quelle del vedersi morire le persone intorno. La speranza è un fiore che non fiorisce mai soltanto per una singola persona.

La prima sfida alla pace :l'indifferenza per l'altro.

L'indifferenza è l'atteggiamento contrapposto e simmetrico alla compartecipazione per la sorte altrui. Ci sono vari tipi di indifferenza. Tutte le forme di indifferenza nascono da una difesa ad oltranza della propria centreità allorquando questa vuol garantirsi un'incolumità che è insieme paura del dolore ed autosufficienza esistenziale. Un io che si avvita su se stesso diventa sempre più resistente alle sollecitazioni esterne. Difende i suoi privilegi ignorando i problemi altrui, o meglio ignorando semplicemente "i problemi". L'indifferenza, se non è semplice paura di ripetere esperienze di sofferenza che si vogliono risparmiare nel presente, è codardia che si ammanta di sapienza.

L'ideologia ad essa sottesa è un malinteso concetto di libertà: "Ognuno può fare ciò che crede, e chi è nei guai se li è meritati". A questa innata o acquisita insensibilità, calcolata o no, per la sorte dell'altro può e deve rispondere un'esperienza e una proposta di pace come sguardo d'amore . Il credente nel Dio biblico non dovrebbe aver dubbi su questa prospettiva ortopratica che concretizza un'esperienza religiosa fondamentale, che si può sintetizzare come esperienza della tenerezza di Dio come interesse gratuito dell'altro. Egli, infatti mostra amore per tutto l'esistente, dalla terra al cielo. Lo proclamano a chiare lettere i Salmi, che estendono tale sguardo di Dio da un capo all'altro dell'universo, dagli spazi più inaccessibili del cielo, al suolo che calpestiamo ogni giorno, alla nostra terra[4]. Viene ribadito quasi ossessivamente che Dio ama il suo popolo. Con amore eterno[5].Ama come padre[6] e come madre[7]. Per questo s'impegna a riscattarlo[8]. Anche se può apparire strano - ed è di fatto teologicamente poco approfondito - si afferma nondimeno che Dio ama anche gli altri popoli. Ha pietà anche degli Egiziani, come degli Assiri: anche essi sono opera sua e suo popolo[9].

Il Nuovo testamento contiene affermazioni che sembrano essere dichiarazioni di amore da parte di Dio nei confronti dell'altro che è l'uomo ed è ogni essere vivente. Si può affermare che lo stesso Dio che ha cura dei passeri si china sulle nostre ferite . Gesù non teorizza sull'amore di Dio: è il Dio che si confonde con gli uomini per toccarli, sorreggerli e guarirli nel loro villaggio. Fa la fila con chi riceve il battesimo ed entra nell'acqua con loro (Mt 3,13-17), solleva dal letto la suocera di Pietro (Mc 1,31), tocca il lebbroso fuori delle mura della città (Mc 1,41), entra nella sinagoga. Vuole toccare la mano paralizzata di uno dei presenti (3 Mc 3,4-59), va a cercarsi i collaboratori sulle rive del lago (Mc 1,16-20) o nei luoghi dove questi vivono tra il disprezzo generale (Cf. la chiamata di Levi e pranzo con i pubblicani: Mc 2,13-17). A muoverlo è la com-passione, la rottura dell'indifferenza e dell'impassibilità divina dei filosofi antichi. La compassione è vera solidarietà di Dio con gli uomini. Cf., ad esempio, Mc 1,41: sentì compassione per il disfatto dalle lebbra; Mc 2,17: ha coscienza di essere venuto a guarire i malati. La compassione, o misericordia non indica qui l'atteggiamento di chi paternalisticamente vede dall'alto in basso le miserie altrui, ma un atto di solidarietà reale. La Bibbia parla spesso di misericordia di Dio[10]. La misericordia di Cristo, oltre agli atteggiamenti già citati, è menzionata in altri testi[11].

Gesù è non solo la carezza di Dio sull'essere umano, ma anche lo sguardo benevolo e pieno di amore per lui. I vangeli insistono sullo sguardo con cui Gesù accosta le persone e che esprime avvicinamento misericordioso e solidale, salvifico e amorevole. Cf., ad esempio,: Mc 10,21.23; Mt 19,26; Lc 18,24 (il ricco); Lc 6,10 (l'uomo dalla mano inaridita); Lc 19,5 (Zaccheo); Lc 22,61 (il pianto di Pietro); Gv 1, 38.42 (i primi discepoli).

Tutto ciò ci fa concludere che la concretezza dell'amore costituisce la credibilità di quella pace che Gesù reca nel mondo come pace promessa da Dio. È un nesso che ritroviamo anche negli apostoli (Atti) e nei primi cristiani. Del resto, se nonostante i problemi di ellenizzazione dei primi secoli della storia della chiesa, la concretezza dell'amore viene strenuamente difesa, vuol dire che c'è la chiara coscienza che ad essere in gioco è un problema di fondamentale importanza. Gli stessi padri della Chiesa difendono il primato dell'amore su quello della conoscenza di Dio (Gnosi), l'apàheia, il cosiddetto “distacco” dal mondo, raccomandato come un’espressione della santità, non è indifferenza, ma liberazione da ogni schiavitù scaturente dalla propria centreità individuale, come condizione previa per amare il prossimo nella concretezza quotidiana[12]. E' un discorso che inerisce quasi completamente a quello della scoperta e della responsabilità per l'altro.

L'"altro" è banco di prova della concretezza della pace

L'altro non deve essere semplicemente il luogo di peregrinazione per poi poter sempre ritornare a se stessi, come succede per l'Ulisse, simbolo della civiltà occidentale, ma è colui verso il quale si va per poter sempre restare con lui[13]. L'altro non può nemmeno essere puro e semplice specchio delle mie utopie, una sorta di patria smarrita che io applico a chi è lontano dalla mia civiltà, come succede nel mito del buon selvaggio[14]

Ma forse non è inutile la domanda: E chi è "l'altro" per me ? Per tentare una risposta che tenga conto dello spessore concreto, della carne e del sangue che ne costituiscono le fibre e lo fanno simile a me e parte di me stesso, sarà bene ricordare una verità che dovrebbe essere elementare, ma che sembra viene talvolta dimenticata: Ogni vita reale è un incontro:

«Cosa si esperimenta dunque del Tu? - Proprio niente. Perché non è cosa che si esperimenta. - Cosa si sa allora del Tu? - Solo tutto. Perché di lui non si sa più niente di singolo. Il tu mi incontra a partire dalla grazia - attraverso la ricerca non viene trovato. Ma che io dica a lui la parola fondamentale [cioè "Tu" n. d. t. ] è atto della mia essenza, del mio stato di essenza. Il tu mi incontra. Eppure io mi avvicino a lui in una relazione non mediata. Sicché la relazione è essere eletti ed eleggere, passione ed azione nello stesso tempo. [...]. La parola fondamentale Io-Tu può essere detta solo con tutta la propria essenza. La sintesi e la fusione alla totale essenza non può mai avvenire attraverso di me, non può mai avvenire senza di me. Io divento al tu; divenendo Io, dico Tu. Ogni vita reale è un incontro»[15].

Una simile esperienza dell'incontro, quella umana per eccellenza, non è esente da rischi e da fraintesi. Non sempre infatti l'incontro è vera scoperta dell'altro per quello che egli è. Può essere che l'incontro si fossilizzi solo come sistema osmotico di mutui favori e di reciproca gratificazione. Se così accade, non c'è ancora il vero rapporto Io-Tu di cui si parla, c'è solo la dilatazione di un io bifocale: un amore soffocante che si ripiega su se stesso. C'è solo l'autocompiacimento di un amore chiuso nel suo bozzolo. Ma contro una simile strumentalizzazione sistemica del Tu, occorrerà dire:

«Il linguaggio, come presenza del volto, non invita alla complicità con l'essere preferito, all' io-tu autosufficiente e dimentico dell'universo; nella sua sincerità sfugge alla clandestinità dell'amore in cui perde la sua sincerità e il suo senso e si muta in sorriso e in amoreggiamento. Il terzo mi guarda negli occhi d'altri - il linguaggio è giustizia. [...] L'epifania del volto come volto apre l'umanità. Il volto nella sua nudità di volto mi presenta la miseria del povero e dello straniero. [...] Il povero, lo straniero si presenta come eguale»[16].

Del resto, l'incontro con altro è appello a farsi suo prossimo. Nel vangelo di Luca (10, 36) alla domanda: «chi è il mio prossimo?» Gesù solleva, alla fine della parabola del "buon samaritano", la contro-domanda": chi si è fatto (il verbo greco è diventare ) prossimo?». La Bibbia interconfessionale opportunamente traduce: «chi di questi tre si è comportato come prossimo?». E' un chiaro appello all'importanza dell'agire[17].

Il carattere vincolante della responsabilità verso l'altro, incontrato come volto, che chiede il mio interagire con lui, nasce per me, che ho creduto all'amore, dall'esigenza dell'amore medesimo. Il provare com-passione è un tutt'uno con la stessa passione che Dio ha per noi: l'amore di cui siamo stati avvolti esige che il nostro incontro sfoci nell'assunzione di responsabilità per il volto incontrato. Quel volto è appello di Dio e la liberazione sperimentata diventa continuo esperimento di liberazione per l'altro e con l'altro[18].

In questa attenzione, ascolto, cura dell'altro si manifesta il frutto più maturo di una pace credibile.

L'altro come vita e come cosmo

La cura dell'altro si estende anche al cosmo. Non è solo l'imperativo di Dio (Gn 1,15: "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse"), a convincerci del carattere (eticamente) vincolante della responsabilità verso il cosmo. Sono anche le ragioni seriamente motivate di chi, guardando allo sviluppo della tecnologia occidentale, ne vede i rischi reali di estinzione della specie umana e di ogni futuro e quindi sollecita a un'assunzione di responsabilità diretta e avente lo stesso valore del tradizionale assunto etico: "compi quanto è in tuo potere quando l'esistenza altrui dipende dal tuo intervento"[19].

La responsabilità non riguarda solo il vincolo che qualcuno contrae con il suo passato (responsabilità di aver fatto qualcosa), ma anche assunzione di un obbligo per il futuro (responsabilità per qualcuno a qualcosa). Ciò che obbliga eticamente - prima ancora che religiosamente - è l'appello morale che ogni vita fragile e indifesa (è celebre l'immagine del neonato) rivolge a chi gli è accanto, per lo stesso fatto d'esistere e per la stessa circostanza della vicinanza effettiva al soggetto etico. Anche il futuro del cosmo, accomunato nello stesso destino del futuro dell'umanità sfida la credibilità dell'agire di pace.

Il vuoto lasciato dai sistemi collettivisti non inficia la necessità di continuare a progettare coralmente. Il rapporto io-tu tende per sua natura al Noi. Il volto dell'altro, riscoperto nella fede come volto di Dio nel bisognoso e nelle tracce della sua creazione[20] esige una risposta che ristabilisca i rapporti comunitari infranti.



[1] Così scriveva Urs von Bathasar già nel 1963 ( Glaubhaft ist nur die Liebe ),in un libretto breve, ma intenso, tradotto dalla Borla solo nel 1982.

[2] M. BUBER, Ich und Du , Heidelberg 1983(11.a), 22.

[3] Sono i momenti densi della presenza della grazia, le occasioni nelle quali occorre intercettare il passaggio di Dio. A. Rizzi ne parla nella seconda parte del suo libro L'europa e l'altro . Cf. A. RIZZI, L'europa e l'altro. Abbozzo di una teologia europea della liberazione , Paoline, Cinisello B., 1991.

[4] Sal 33,5: "Egli ama il diritto e la giustizia, del suo amore [grazia] è piena la terra". Sal 36,6 "la tua grazia è nel cielo, la tua fedeltà fino alle nubi". Sal 145,9: "Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature". Il libro del Siracide conclude efficacemente: "La misericordia dell'uomo riguarda il prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente " (Sir 18,13).

[5] Ger 31,3: "Gli sono venuto incontro da lontano e gli ho detto: 'Ti ho sempre amato e per questo continuerò a mostrarti il mio amore incrollabile'".

[6] Cf. Ger 31,9.20.

[7] Cfr Is 49,14.

[8] Is 41,8ss: "Israele ... ti ho scelto, non ti ho rigettato ... Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio.

[9] "Is 19, 22ss : "Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà. [23]In quel giorno ci sarà una strada dall'Egitto verso l'Assiria; l'Assiro andrà in Egitto e l'Egiziano in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. [24]In quel giorno Israele sarà il terzo con l'Egitto e l'Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. [25]Li benedirà il Signore degli eserciti: <<Benedetto sia l'Egiziano mio popolo, l'Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità>>.

[10] Cf. per l'AT: Es 33,19; 34,6-7; Dt 4,31; Is 49, 14-16; Os 11; Sal 25,16; 51,1; 102,2-12; Gio 4,2; Dn 9,9; per i deuterocanonici: cf. Gdt 7,30; 13,14; Tb 8,4-7; Sap 11,23; 12,22; 15,1; Sir 2,11; per il NT cf. Lc 1,30.50.54.58.72.78; 6.36; Rm 1,5-7; 3,21-31; 6,1-14; 9,15-16.18.23.24; 11,5-6.25-32; 12,1; Ef 2,5-8; 1 Tm 1,2.12.16; Tt 3,7; Eb 13,9; 1 Pt 1,3; 2,10.

[11] Cf. Mt 9,27; 15,22; 17,15; 20,30-31; Eb 2,17; Gd 21.

[12] Massimo, De caritate I,71; II,10.

[13] Cf. Lévinas, citato in A: RIZZI, L'europa e l'altro... op. cit., 56.

[14] Cf. U. FABBIETTI, L'ideologia del primitivo nell'antropologia contemporanea (citato in: A. RIZZI, op. cit., pag.48).

[15] M. BUBER, Ich und Du , op. cit., 17-18. La traduzione è mia. Sul concetto di alterità cf. F. CASSANO, Approssimazione. Esercizi di esperienza dell'altro , Il Mulino, Bologna 1989.

[16] E. LEVINAS, Totalità ed infinito. Saggio sull'esteriorità , Jaca Book, milano 1990 (2.a), 218.

[17] Cf. anche Rm 2,13: [13]Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati; Gc 1,22-25 [22]Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. [23]Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: [24]appena s' è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era. [25]Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla. ; 1 Gv 2,17 :"[17]E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!

[18] Cf. Es 22, [20]Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto.[21]Non maltratterai la vedova o l'orfano. [22]Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l'aiuto, io ascolterò il suo grido, [23]la mia collera si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. [24]Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse". [25]Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, [26]perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando invocherà da me l'aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso. Cf. Es 23,9; Lv 19,33-35; Dt 10,18; 15,12-15; 24,17.

[19] E' questo il motivo di fondo della tesi di H. JONAS, Il principio responsabilità , Einaudi, Torino 1990 (ed.orig. tedesca 1979).

[20] Cf. Gn 1,26-27; 1,1-2; Sap 2,23; Sir 17,3; 1 Cor 11,7; Col 3,10; Gc 3,9; per la natura cf. Rm 1,19ss.