Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

Dal sito www.puntopace.net

Meditazione al ritiro di Cetraro 16-10-02

«Tu rinnovi la tua giovinezza come aquila»

Traccia di meditazione di d. Giovanni Mazzillo

Salmo 103, 1-5:

«[1 Benedici Jahweh, anima mia, / il mio intimo benedica il suo santo nome. / [2 Benedici Jahweh, anima mia, / non dimenticare tanti suoi benefici. /  [3 Egli perdona tutte le colpe, / guarisce tutte le tue malattie; / [4 redime dalla fossa la tua vita, / ti corona di benignità e di tenerezza; / [5 sazia di bene la tua età avanzata / e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza» (traduzione da cf. I Salmi. Introduzione, traduzione e commento di Gianfranco Ravasi, Rizzoli Milano 1986, 311-312).

«Il mio intimo», tradotto «quanto è in me» significa che ogni dimensione dell’esistenza è come scossa da un moto di commozione che porta alla lode di Dio. Non è la sola dimensione intellettiva o quella emotiva, né quella detta sensitiva. La lode afferra tutta la vita, in tutti i suoi aspetti. La vita di colui che ormai ha vissuto i suoi giorni e perciò è in età avanzata. Ma anche adesso la lode è possibile. La lode è come la risonanza di quell’effusione della benignità e della tenerezza di Dio che non viene mai meno (perché sono grazia e misericordia, appunto). In qualunque età quando tutto ciò è avvertito, l’effetto è quello di far trasalire ogni angolo della propria esistenza, in un  misto di stupore e di gioia, una gioia intensa che quasi fa male.

L’orante avverte, al pari di te e di me, che le colpe sono state perdonate, come le malattie che l’avevano colpito e condotto al limite della morte. Esse non sono che ricordi lontani. Dio non si è limitato a tirarci dalla fossa una volta. Lo fa continuamente, ci riveste della sua grazia come di una corona. Ci vuole come figli, dandoci una veste nuova, l’anello regale e imbandendo per noi il banchetto della gioia.

I benefici menzionati e le colpe perdonate sono solo occasione ed esplicitazione di ciò che è il vero motivo della lode: la grandezza dell’amore di Dio, un amore immenso che si riversa su ogni creatura e che accompagna la vita dell’orante.

Da tutto ciò scaturisce il sussulto di gioia successivo, in cui l’orante dice, parlando a se stesso, ma con il tu che vuol comunicare una grande esperienza ad altri: «egli sazia di bene la tua età avanzata / e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza».

I giorni allora restano illuminati dal sorriso di Dio, un sorriso che non sempre si coglie e che tuttavia fa capolino di tanto in tanto nella vita.

È questo sorriso che ci rinnova e ci ringiovanisce. Fa alzare in volo la tua anima stanca e avvilita, ridotta talora a un cumulo di rimpianti o un ufficio di reclami e di inadempienze.

Si opera così un passaggio: da un atteggiamento lamentoso e pertanto “vecchio”, nel senso peggiorativo della parola, a una riscoperta della bellezza e della freschezza della vita. La giovinezza non è più una semplice stagione della vita, è la scoperta che ogni stagione può essere colma di stupore e di ammirazione, traboccante di lode verso Dio. In questo senso egli rinnova e allieta la tua giovinezza. A una condizione: passare dal vittimismo alla speranza, una speranza da riscoprire ogni giorno. Troviamo documentato questo tragitto che si apre alla speranza, e dunque alla giovinezza senza fine, in un brano di Isaia:

«[27 Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: «La mia sorte è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio?». [28 Non lo sai forse? Non lo hai udito? Dio eterno è il Signore, creatore di tutta la terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. [29 Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. [30 Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; [31 ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi » (Is 40,27-31)».

Per chi vive un rapporto religioso più intenso, una delle più frequenti cause di scoraggiamento è ritenere che la propria sorte, cioè le proprie vicende non contino nulla o ben poco. Abituati a sentire che il divario tra noi è Dio è veramente enorme, incolmabile, si corre sempre il pericolo di ritenere che quanto facciamo è comunque insignificante e non serve a nulla. Menzionando la frase di Gesù che siamo “servi inutili”, si isola questo detto evangelico da tutto il suo contesto e si costruisce una spiritualità rinunciataria e vittimista, sacrificale e dolorista. 

È vero, Dio è l’inarrivabile e l’ineffabile per sua natura. La sua grandezza non solo non è descrivibile, ma non è nemmeno pensabile (non avendo criteri che possano stare al suo livello). In ciò diciamo il vero e faremo bene a ricordarlo. Non dimentichiamo però che ugualmente ineffabile e inimmaginabile è la grandezza della sua misericordia, la sua benevolenza, la sua sempre rinnovatesi giovinezza che egli ci comunica.

Certamente prodigiose sono tutte le opere di Dio, ma il vero prodigio è questo suo amore illimitato e senza fine. Averlo intuito nei primi anni della nostra giovinezza non ci esonera dal doverlo riscoprire ogni anno che ci è dato ancora di vivere. Possiamo ancora lodare Dio con il salmo 71, dicendo

«Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza. [6 Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno; a te la mia lode senza fine. [7 Sono parso a molti quasi un prodigio: eri tu il mio rifugio sicuro» (Sal 71,5-7).

Quel grembo materno al quale ciascuno era appoggiato è espressione e rimando al grembo materno di Dio stesso. Qualche commentatore precisa, a proposito del salmo 103, che la tenerezza di Dio è espressa dalla radice ebraica rhm, un evidente riferimento alle «viscere materne» di Dio (cf. I Salmi. Introduzione, cit., 314.). Tale materna e paterna tenerezza è così grande, che l’orante utilizza l’immagine dell’infinito spaziale (verticale e orizzontale) esclamando:

«[11 Sì, come il cielo è alto sulla terra, così domina la sua benignità su coloro che lo temono; [12 come dista l'oriente dall'occidente, così allontana da noi le nostre ribellioni. [13 Come un padre è tenero coi suoi figli, così Jahweh è tenero su coloro che lo temono» (Sal 103,11-13, trad. come sopra).

Ricorre infine alla «profondità psicologica dell’amore paterno», che perdura e compensa la fragilità umana pur espressa plasticamente dall’immagine della creta plasmata («Egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (verso 14) e dalla potente metafora (presente anche in Omero e nella letteratura universale) del campo verdeggiante e fiorito che presto si dissecherà:

«[15 Come erba sono i giorni dell'uomo, come il fiore del campo, così egli fiorisce. [16 Ecco, lo investe il vento e non c’è più e il suo luogo più non lo riconosce ».

A fronte di tale constazione, il testo segue dicendo che la grazia di Dio, più grande anche della stessa caducità, risolleva l’uomo anche da essa, lo riporta in piedi e in alto, appunto come fa l’aquila con i suoi piccoli e per questo fa sì che la giovinezza si rinnovi:

«[4 redime dalla fossa la tua vita, / ti corona di benignità e di tenerezza; / [5 sazia di bene la tua età avanzata / e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza» (Sal 103).