Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

«Le gioie e le speranze degli uomini di oggi…». (Orsomarso 21/01/2006)

« Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» …

«La loro comunità, infatti, è composta di uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (GS 1: EV/1, 1319).

Nella prima e nell’ultima parte di questa citazione che apre la costituzione Gaudium et spes, troviamo il metodo del Vaticano II: il dialogo e la sim-patia, cioè il sentire e portare insieme problemi e speranze. Nella seconda una sintesi abbastanza indicativa dei grandi temi del Vaticano II. Cioè:

l) la Chiesa come comunità inserita nella vita  della Trinità;

2) la Chiesa come popolo di Dio che cammina nel mondo e nella storia;

3) La Chiesa come popolo messianico che si impegna per il futuro degli uomini e del mondo

In altre parole vi ritroviamo il passaggio da una Chiesa come società alla Chiesa come comunità; il passaggio una Chiesa in concorrenza con il mondo  a una Chiesa a servizio dell’uomo e delle sue autentiche conquiste umane ed infine il passaggio da una Chiesa che vive in maniera introversa (cioè per sé e il suo futuro) a una Chiesa che si impegna per il futuro degli uomini e del mondo. Vediamo da vicino questi tre aspetti.

1) la Chiesa come comunità inserita nella vita  della Trinità

Tutto nasce dalla riscoperta del "popolo di Dio"  nel contesto di ciò che è stata chiamata “ecclesiologia di comunione”.  Siamo “popolo del Dio trinitario”. Incontrare Dio è  incontrare l'amore e incontrare l’amore è incontrare la Trinità (Agostino). La Chiesa è comunità interamente legata al Padre, definitivamente salvata da Cristo e perennemente convocata dallo Spirito Santo (tutto ciò che si esprime nel simbolo: credo la Chiesa).

Si tratta di una Chiesa popolo di Dio "in quanto popolo della nuova alleanza stipulata in Cristo" pertanto di una comunità dell’alleanza e di una comunità che è alleanza: alleanza con Dio e alleanza tra gli uomini.

La Carta pastorale della Caritas (del 1995) ci aiuta a capire questa comunità come "chiesa verso la quale guardiamo e che ci impegniamo a costruire".

Essa è:

"Una comunità di discepoli, chiamata e mandata. In particolare si connota come:

- Popolo/famiglia di Dio

- Popolo itinerante e pellegrino

- Popolo che si fa profezia, libero e liberante

- Popolo missionario nella storia e nel territorio" (Ivi, 19).

Che la Chiesa sia popolo di Dio è un dato rivelato. Ha una notevole consistenza biblica, perché la Bibbia parla di "popolo di Dio", sia in riferimento al popolo d’Israele della prima alleanza sia in riferimento al popolo di Dio della nuova e definitiva alleanza in Cristo. Qui ricorre come laós toû theoû, riprendendo l’antica formulazione del popolo di Jahvè. Indica la comunità appartenente a Dio, pur nelle varianti di "popolo mio", "popolo dell'alleanza" “popolo d’acquisizione” ecc.

Ciò non significa l'abbandono della dimensione “misterica” della Chiesa, ma al contrario uno sviluppo di quest’aspetto, riconoscendo la ricchezza del "mistero" nell'uomo e nel tempo (vedi "segni dei tempi") e testimoniando la ricchezza immensa della vicenda umana sulla terra.  Si tratta sempre di un doppio riferimento: a Dio e all'uomo. A Dio, come mistero inesauribile di luce, e all’uomo, come dignità irrinunciabile che lo rende grande. È per questo che l’uomo è immagine di Dio. L’impronta del Dio trinitario, cioè Comunità d’amore, è in ogni soggetto umano, anche e specialmente in coloro che, per vari motivi, vedono offuscata tale originaria e inalienabile dignità (dal punto umano o sociale, morale o economico, esistenziale o relazionale).

A questo riguardo la Parola di Dio non  lascia scampo:

"Chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora" (Pr 14,31);

"Chi deride il povero offende il suo creatore, chi gioisce della sciagura altrui non resterà impunito" (Pr 17,5);

Questa dignità inalienabile di ogni uomo, che nasce dal suo legame con il Dio Unitrinità d’amore, è la base della cosiddetta teologia di comunione. Essa implica sia il dialogo come atteggiamento di fondo verso tutti, sia la solidarietà con tutti.

Essa comporta anche una particolare attitudine dei fedeli verso la realtà della fede e delle cose da credere, il cosiddetto "senso di fede" dei fedeli.

Comporta ancora la consistenza dell'unità come valore di fondo, pur nella diversità dei ministeri e dei carismi. Compiti e mansioni sono nella Chiesa direttamente da ricondurre all’azione dello Spirito Santo nella sua comunità e quindi tra i suoi membri, secondo la teologia del corpo e delle differenti membra, tutte necessarie e tutte ugualmente insignite di una dignità originaria, perché membra di un unico corpo avente Cristo come capo, e membra in servizio le une verso le altre.

2) la Chiesa come popolo di Dio che cammina nel mondo e nella storia

Il popolo di Dio cammina nella storia, come ci indica il cap. 7 della Lumen gentium, verso la patria definitiva, ma per contribuire a realizzare già sulla terra il progetto di Dio. Per scoprire e rendere ogni giorno attuale questo progetto, la Chiesa dipende dalla Parola di Dio, che ne traccia il percorso e ne disegna l'identità. È un progetto che si può indicare secondo alcune scelte prioritarie, che sono poi quelle del Vaticano II:

a) La scelta di Dio e della sua Parola;

b) La scelta della via di Cristo: l’incarnazione e il farsi prossimo dell’uomo;

c) La scelta preferenziale per i più bisognosi.

Queste tre scelte rendono necessari alcuni passaggi: dal supernaturalismo ad un'evangelizzazione attraverso una vita credibile; dalla carità come virtù individuale alla riscoperta dell'amore come dinamismo teologale; dall’impegno solo per la salvezza della propria anima all’impegno per gli altri e per il futuro del mondo.

In questa luce si rende evidente che solo chi ama gli uomini può capire il Vaticano II. Ed inoltre che la Verità è non solo da credere, ma anche da praticare, perché «chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,21).  Inoltre per credere occorre prima convertirsi: <<Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo»>> (Mc 1,14-15).

L’amore rende possibile la conoscenza, anzi è l’unica forma di conoscenza autentica, perché la più profonda: parliamo dell'amore verso Dio e verso il prossimo. Chi li ama entrambi li conosce anche.

Inoltre solo chi vive per gli altri sarà capace di capire se stesso. Così è della Chiesa che non esiste per sé, ma per volere ed azione dello Spirito di Dio, cioè dello Spirito Santo ed finalizzata alla salvezza del mondo. Una concezione clericale porta a una Chiesa introversa; una concezione basata sul popolo di Dio porta invece - come deve essere - a un'ecclesiologia estroversa. Perché la Chiesa sia estroversa, deve vivere la carità come solidarietà di Dio con gli uomini e in particolare con i poveri.

Essa vive infatti  come «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1).

Questa unione della Chiesa con tutta la famiglia umana è tanto più stretta quanto più è stretta l’unione con Dio. Se talvolta ci manca una vera solidarietà verso gli uomini è perché ci manca una vera familiarità con Dio. Ma anche l’inverso sembra vero.

Il cammino della Chiesa è segnato dalla sequela di Gesù. È un cammino tracciato per i sacerdoti, i religiosi e i consacrati a vario titolo, ma è un cammino anche per coloro che di solito sono chiamati i "laici".

Il Vaticano II indica  la sequela come la strada di tutti, perché via ordinaria del popolo di Dio.

È la via intanto della comunità dei discepoli pellegrini e della chiesa dei viatori (Lg 49), in comunione con i santi, in quanto essi sono "coloro che hanno seguito fedelmente Cristo".  La nostra comunità cristiana è costituita da quanti

"Obbedendo alla voce del Padre adorato in spirito e verità, (...) seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria" (Lg 41).

Chi sono coloro che devono seguire Cristo su questa via? Sono certamente i "religiosi", perché "I religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido e singolare come il mondo non possa essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini" (Lg 31);

ma sono anche i laici, i quali

"devono nutrire il mondo con i frutti dello Spirito (cf. Gal 5,22) e diffondervi lo spirito dei poveri, dei miti e dei pacifici, che il Signore nel suo Vangelo ha proclamato beati (cf. Mt 5,3-9)" (Lg 38).

Il decreto sull'apostolato dei laici, spiega meglio il concetto:

"La carità di Dio, "riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5), rende i laici capaci di esprimere realmente nella loro vita lo spirito delle beatitudini. Seguendo Gesù povero, non si abbattono per la mancanza dei beni temporali né si inorgogliscono per l'abbondanza di essi; imitando Gesù umile, non diventano vanagloriosi (cf. Gal 5,26), ma cercano di piacere a Dio più che agli uomini, sempre pronti a lasciare tutto per Cristo (cf. Lc 14,26) e a patire persecuzione per la giustizia (cf. Mt 5,10), memori della parola del Signore: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24)" (Aa 4).

Ma la sequela non è solo una chiamata per i credenti convertiti, è anche una situazione: quella dei più poveri:

"Coloro che sono oppressi da povertà, infermità, malattia e altre tribolazioni, o soffrono persecuzioni a causa della giustizia, sappiano di essere uniti in modo speciale a Cristo che soffre per la salvezza del mondo. Il Signore nel Vangelo li ha proclamati beati" (LG 41: EV/1, 395).

La somiglianza con Cristo significa vivere come lui, subire persecuzione per la giustizia e piangere davanti alla propria sorte, senza avere apparentemente nessuno che veda quelle lacrime. Significa portare piaghe che non si rimarginano, come quelle con le quali Gesù si mostra ai suoi discepoli dopo la Pasqua.

Per questo è necessario adoperarsi per affrettare la venuta del Regno, prendendo coscienza di essere un popolo messianico.

3) La Chiesa come popolo messianico che si impegna per il futuro degli uomini e del mondo

I valori del popolo di Dio sono anche le finalità del suo agire. Nella Gaudium et spes troviamo ancora:

«I beni, quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, ma illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre "il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace"»(Gs 39).

È questa la consacrazione messianica, perché specifica dell’intero popolo di Dio: "popolo messianico".

"Questo popolo messianico ha per capo Cristo "consegnato per i nostri peccati, risuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4,25), che regna glorioso in cielo dopo aver ottenuto il nome che è al di sopra di ogni altro nome. Lo statuto di questo popolo è la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali, come in un tempio, inabita lo Spirito di Dio. La sua legge è il nuovo comandamento di amare come ci ha amati Cristo (cf. Gv 13,34). Il suo fine è il regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso, ma destinato a dilatarsi sempre più, per essere portato a compimento alla fine dei secoli, quando apparirà il Cristo vita nostra (cf. Col 3,4); allora "anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio" (Rm 8,21)"(LG 9).

Ecco allora le motivazioni profonde del compito affidato alla Chiesa, la cui legge suprema è quella di "amare come Cristo ci ha amato", per diventare strumenti di liberazione, perché

“il popolo messianico, anche se di fatto non comprende ancora la totalità degli uomini e ha spesso l'apparenza di un piccolo gregge, è però per l'intera umanità germe sicurissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per la comunione di vita, di carità e di verità, viene assunto da lui anche come strumento di redenzione per tutti, ed è inviato a tutti gli uomini come luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,12-16)” (Ivi).

Le gioie e le speranze degli uomini diventano in questo mondo quelle dell’intero popolo di Dio alla sequela del Signore, perché convocato continuamente dall'Amore e per l'amore. Si tratta di un amore da tradurre in quotidianità come esperienza coinvolgente e irreversibile, un amore che non conosce ritorno, pur conoscendo incertezze, contraddizioni e persino tradimenti. Tuttavia ciò non costituisce un ostacolo insormontabile. Possiamo cadere, e cadiamo, purché ci risolleviamo, ma non possiamo non amare. Tutto può essere perdonato e superato, ma niente può sostituire l’amore.  È l’amore come esperienza della carità innanzi tutto come charis, cioè grazia e dono continuo ricevuto, e che perciò non si può trattenere per sé, ma deve essere dato e condiviso. Il Vaticano II insiste perché siamo Chiesa che condivide angosce e speranze umane, in primo luogo dei poveri. Ma così facendo, suggeriva quarant’anni fa  la via maestra per evitare ciò che oggi minaccia gli uomini di oggi: la caduta in una religiosità ormai senza Dio, dopo essere passati, nel secolo scorso, attraverso il pericolo di una fede in Dio ma senza Chiesa. Il recupero della Chiesa come popolo di Dio che cammina nel mondo, al passo con gli uomini di oggi, ci farà non solo amare la Chiesa, ma amare gli uomini e la storia perché la Chiesa stessa li ama, perché Dio veramente li ama.