Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net

Belvedere Chiesa del Crocifisso 10/03/02

Giovanni MAZZILLO

La donna nella Bibbia e nel piano di Dio

1) Dal sospetto che discrimina al riconoscimento della dignità della donna

Non si può negare che il ruolo della donna nella Chiesa abbia da sempre costituito un problema. È un problema che è nato con l’impostazione maschilista delle culture di provenienza (incluso il giudaismo) e che si è aggravato con l’inculturazione del cristianesimo nel mondo greco. Era un mondo segnato dal platonismo, che aveva separato l’originaria unità tra anima e corpo, pur presente del giudaismo, e aveva svalutato la dimensione corporea e materiale, a tutto vantaggio di quella spirituale. Alcuni padri della Chiesa hanno aggravato la situazione, o ritenendo la sessualità fondamentalmente negativa e pertanto del tutto da evitare (come Tertulliano e il Montanismo) o considerando la donna più fragile, e pertanto più incline al peccato, tanto da coinvolgere in esso lo stesso uomo. L’esemplificazione del racconto del peccato delle origini e la sua acritica divulgazione ha fornito argomenti sfavorevoli alla donna, sempre ripetuti e ribaditi, da Sant’Agostino a non pochi padri, da alcuni mistici a molti fondatori di forme di vita contemplativa e claustrale.

Nella Chiesa cattolica hanno contribuito ad aggravare la situazione la preoccupazione di difendere il celibato, diventato, dopo alcuni secoli dalle origini, obbligatorio per i sacerdoti di rito latino e, nello stesso sviluppo della civiltà occidentale, la tendenza tutta maschilista e senza dubbio punitiva verso la donna. Si pensi allo scarsissimo numero di donne praticanti la filosofia, la scienza, la letteratura e le arti nell’area europea e non solo europea, per non parlare dei sospetti verso le streghe, i loro processi, i loro roghi. Roghi che ancora bruciano nella memoria della Chiesa e giustamente spingono non solo a chiedere perdono, ma ad una inversione di tendenza nella valutazione della donna, un’inversione, che a dire il vero, è già iniziata e sta portando alcuni frutti.

A questo riguardo, sono certamente fatti positivi, anche se sembrano oggettivamente poco rilevanti, l'abrogazione dell'anacronistico divieto alle ragazze di assistere all'altare e l’esplicito invito, di alcuni anni fa, ad immettere personale femminile nei luoghi di formazione teologica, inclusi i seminari. Sono segnali che indicano almeno un cambiamento di rotta e sono accompagnati dal progresso di questi ultimi decennni sia sul versante della riflessione teologica, sia sui chiarimenti della dottrina ufficiale del magistero della Chiesa.

Si può segnalare come determinante in tale processo, quanto si trova nel Messaggio del Concilio all'umanità (8.12.1965), che, tra l’altro, riconosce il valore della donna anche relativamente al suo compito di riconciliazione e di costruzione della pace. Troviamo scritto: "Le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l'umanità a non decadere" e leggiamo un esplicito e solenne appello a tutte le donne: "Donne di tutto l'universo, cristiane e non credenti, a cui è affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta a voi di salvare la pace nel mondo!". Il tema fu ripreso nel 1967 dalla Pontificia Commissione di studio sulla donna nella società e nella Chiesa, con un documento contenente raccomandazioni e auspici. Tra l’altro si trova qui l’invito ad approfondire questioni da sempre spinose, come l'accesso delle donne ai ministeri non ordinati e la partecipazione delle donne alla liturgia e all'attività giuridisdizionale (in senso largo) della Chiesa.

Mi sembra interessante segnalare che il compito della donna nella promozione della pace è stato visto, da parte cattolica, come un tema di natura ecumenica, al punto di raccomandare l’accoglienza dell’iniziativa ecumenica su "le donne e la pace". In tale contesto è venuto l’invito a cercare insieme una risposta al quesito: "Hanno le donne un contributo originale da apportare alla pace?". Nel 1968 il processo ecumenico iniziato subisce, da parte cattolica, un arresto notevole, bloccando sul nascere qualsiasi forma di condivisione all’apertura della Chiesa anglicana verso l'ordinazione delle donne al sacerdozio. Rispondendo all’arcivescovo di Canterbury, che lo informava sul processo iniziato in tal senso nella propria Chiesa, Paolo VI ribadiva la posizione cattolica, sostenendo che "non è ammissibile ordinare donne al sacerdozio, per ragioni veramente fondamentali." (En. Vat./S1, 596). Si tratta, tuttavia, di ragioni storiche, a partire da quella di dover seguire l'esempio di Gesù, che ha scelto solo uomini come apostoli, proseguendo con gli argomenti della tradizione della Chiesa tanto nella dottrina che nella prassi. Sono tutti argomenti ripresi ed espressamente ritenuti escludenti la possibilità di una riapertura della questione dall’intervento di Giovanni Paolo II del 22-5-1994 con la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, preceduta in tale senso, nel 1977, da un intervento della Congregazione per la dottrina della fede.

Nonostante tale brusca chiusura sul ministero sacerdotale, dal Vaticano II in poi si devono comunque registrare interventi notevoli del magistero cattolico sulla uguaglianza dei sessi, per una maggiore valorizzazione della donna nella vita della Chiesa e della società e per l’eliminazione di ogni discriminazione nell'ambito professionale. Il culmine di tale processo, che ha tentato anche di condurre a una sintesi dottrinale quanto emerso, è ritenuta la Mulieris dignitatem, l'enciclica di Giovanni Paolo II pubblicata nel 1988. Partendo da tale lettera, è più agevole ricostruire a grandi linee il valore della donna, e del femminile in genere, nella Bibbia e pertanto nel piano di Dio.

2) La riscoperta della "maternità" di Dio

La Mulieris dignitatem non porta grandi novità sul piano disciplinare, ne contiene tuttavia alcune, ed anche notevoli, su quello teologico-dottrinale. È la prima volta che il Magistero della Chiesa scopre la femminilità come particolare dimensione antropologica non solo positiva, ma essenziale ed espressiva dell’amore. E, cosa ancora più straordinaria, il papa riconduce molto più a monte la radice di tale dimensione, fino a individuarla in Dio stesso. Recependo e approfondendo il valore di ciò che sta dietro l’espressione, che fu già di Giovanni Paolo I, che Dio non solo è padre, ma è anche madre, la Mulieris dignitatem parte da una specie di corollario e ne deduce tutte le conseguenze. Il ragionamento si può ricondurre ai passaggi seguenti. Innanzi tutto l’essere umano, nella sua interezza – sia come uomo che come donna – è ad immagine e somiglianza di Dio. I due aspetti sono distinti e tuttavia sono fondamentali per costituire l’essere umano perché indicano due dimensioni reciproche e complementari. Se Dio ha inteso creare l’essere umano, e non soltanto Adamo, a sua immagine e secondo la sua somiglianza, ciò significa che in lui è da ritrovare la doppia dimensione attraverso la quale l’essere umano è e si esprime. Continuando il ragionamento possiamo affermare che data la fondamentalità dell’amore nella natura stessa di Dio, come afferma la sua rivelazione all’umanità, la doppia dimensione in gioco, è una doppia, inscindibile e originaria dimensione dell’amore. Proseguendo ancora, si può dire che tale amore, che nell’essere umano si esprime attraverso la tipicità del femminile e del maschile, arriva al suo culmine nell’espressione dell’amore paterno e dell’amore materno. Proprio tale doppia e inscindibile connotazione che l’essere umano porta con sé è a immagine e somiglianza dell’amore di Dio che ne è all’origine.

Ecco le parole dell’enciclica: "In diversi passi della Sacra Scrittura troviamo dei paragoni che attribuiscono a Dio qualità maschili oppure femminili’. Troviamo in essi l’indiretta conferma della verità che ambedue, sia l’uomo che la donna, sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio" (n.8).

Con ciò tocchiamo più specificamente il tema del femminile nella Bibbia. Partendo dalle immagini e dalle espressioni che si riferiscono a Dio, basterà qui ricordare che egli, oltre che come padre, è presentato talora come madre che consola i suoi figli (Is 66,13). Dio stesso si autopresenta nel gesto affettuoso della madre che solleva il suo bambino alla sua guancia (Os 11,14). Si paragona alla madre che non potrà mai dimenticare il figlio delle sue viscere (Is 49,15; Sal 25,6; 115,5). Il suo amore è intenso, quasi "viscerale", nel senso che è simile a quello di chi ha portato in grembo i figli tanto amati. Israele li rappresenta tutti, essendo stato portato nel suo grembo, essendo stato sorretto fin dalla nascita, così come sarà sostenuto fino alla vecchiaia (Is 42,14; 46,3-4). Il vangelo di Giovani contiene un’espressione che ha come sottofondo quest’idea, quando parla di Dio come grembo di colui in cui dimora lo stesso Gesù: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno [kolpon] del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18).

Un ulteriore rimando all’idea della maternità in Dio passa sia attraverso la figura della Sapienza sia attraverso quella dello Spirito di Dio, che in ebraico è rûah, femminile. La Bibbia attribuisce ancora a Dio gesti tipici della madre come l’asciugare le lacrime dagli occhi dei propri figli (Ap 21,4) e prima ancora quello del portare teneramente tra le sue braccia il suo figlio prediletto Israele, che al pari del salmista si sente con Dio "come un bambino svezzato in braccio a sua madre" (Sal 131,2-3). D’altra parte la tradizione cristiana non ha mia dimenticato la lezione del grande padre della Chiesa Clemente Alessandrino, che in riferimento alla maternità divina di Maria, diceva: "Dio è amore ed è a causa dell’amore che noi lo cerchiamo. Nella sua ineffabile maestà egli è nostro Padre, ma nel suo amore si è aperto ed è diventato nostra Madre" [L. BOFF, Il volto materno di Dio, Queriniana, Brescia 1981, 85].

A questo riguardo, occorre dire che nella storia delle religioni l’idea della dea mater oltre a segnare una lunga tappa della storia dell’umanità, ha lasciato tracce profonde tra i popoli. È collegata all’idea stessa della provenienza dell’umanità dalle acque primigenie, così come il neonato emerge delle acque materne e così come all’inizio della Genesi come fonte della vita troviamo lo Spirito di Dio che si librava, o - secondo alcune traduzioni - covava, sulle superficie delle acque [cf. il mio contributo dal titolo "Il battesimo e i riti di purificazione nelle altre religioni"al XII Corso d'aggiornamento dell'Associazione Teologica Italiana per Docenti di dogmatica sul Tema "Il sacramento della fede" - Roma 2-4/01/02 (www.puntopace.net – testi per gli studenti)].

Dio appare così non solo come Padre, ma anche come Madre, cioè come grembo originario che dà la vita e la alimenta. Se in alcune tribù australiane era ritenuto l’autore della vita e di ogni cosa, dagli Yuin, tribù estinta di cacciatori-raccoglitori era invocato come "Nunga-Ngaua" cioè "Padre nostro", mentre nella religione dei Kagaba della Colombia era anche chiamato madre, o "Madre delle canzoni".

3) La valorizzazione della donna operata da Gesù

Tutto ciò riguarda l’idea del femminile nel concetto stesso di Dio. Sono però da aggiungere le figure femminili della Bibbia, che sebbene appaiano in una luce più sfocata rispetto ai patriarchi e ai profeti, non di rado assurgono a valore di primaria grandezza. Tra queste occorre ricordare le figure di Sara e di Rebecca del libro della Genesi, il cui ruolo non è stato proprio secondario nella storia della salvezza. Nell’Esodo è riportato il canto di Myriam, detta profetessa, sorella di Aronne, che inneggia a Dio, il liberatore d’israele (Es 15,20ss). Certa dell’idea che Dio è un liberatore, al punto che può servirsi di una donna per eliminare i più temuti avversari, fu Giuditta. Di lei è raccontato nel libro omonimo come sia riuscita ad eliminare Oloferne, intonando in seguito il canto di ringraziamento, come canto degli schiavi liberati (cc.14-16). Similmente a lei, appare Ester, altra donna di eccezionale coraggio, che nel libro che porta il suo nome ottiene dal re Assuero la revoca dello sterminio degli Ebrei (cf. Est c. 8). La Bibbia contiene tra i suoi libri ancora il nome di una donna, quella di Rut, moabita, la cui storia apparentemente "minore" diventa un anello della genealogia di Gesù.

Figure di profetesse compaiono ancora nella Bibbia, che riporta anche storie di donne di grande importanza come quella di Anna, madre di Samuele, e, venendo ai vangeli, quella di Elisabetta, oltre che ovviamente di Maria, la madre di Gesù, e della profetessa Anna che, mossa dalla Spirito Santo, al pari di Simeone, riconosce in Gesù infante la persona del Messia.

Gesù ha un atteggiamento rivoluzionario rispetto alla donna. Prende la sua difesa nel discorso della montagna, superando la legge di Mosè che la poneva di fatto alla mercé dei capricci del marito in casi di ripudio. Difende la peccatrice e ne elogia la sua conversione e l'amore nei suoi confronti (Lc 7,36-47; Mc 14,3-9; Mt 26,6-13). Salva dalla lapidazione l'adultera, prendendo le sue difese (Gv 8, 1-9ss). Valorizza la donna, prendendola anche per mano, come nel caso della guarigione dalla febbre della suocera di Pietro (Mc 1, 29-31) e nel caso della figlia di Giairo risuscitata dalla morte (Mc 5,41). In un'altra occasione impone le mani su un’inferma come succede nella sinagoga (Lc 13,10-13) e soprattutto sottolinea il fatto di aver guarito proprio la donna dalla quale era stato toccato, sebbene questa avesse un flusso di sangue che la rendeva legalmente impura e indegna di toccare alcunché di sacro (cf. Mc 5,25-34). Gesù supera le convenzioni e le consuetudini del tempo, che gli impedivano di dar retta e, peggio ancora, di domandare da bere a una donna, come succede con la Samaritana (Gv 4,1-42) ed ammette, cosa inaudita per l'epoca, le donne alla sua sequela e al suo discepolato, tanto che in Luca le donne sono al seguito di Gesù subito dopo i Dodici: "era in cammino...e con lui i Dodici e alcune donne" (Lc 8,1-3). A Maria, sorella di Lazzaro, Gesù dice che ha scelto la parte migliore, quella di sedersi ai suoi piedi per ascoltarne la parola (Gv 10,38-42). A sua Madre affida il suo discepolo amato e a lui sua Madre (Gv 19,25-27). Un intento quasi ironico si coglie infine, il giorno di Pasqua nel suo incarico, conferito proprio alle donne, di portare ai discepoli l’annuncio di essere vivo, proprio a loro tradizionalmente ritenute testimoni inattendibili persino dalla giurisdizione vigente. L’opera di Gesù appare da tutto il contesto un’opera tesa a difendere la donna e a salvaguardarne la dignità, che era stata offuscata dalle prescrizioni e dalla prassi connotate ormai in maniera maschilista nel giudaismo. Persino nelle parabole di Gesù non sfuggirà al lettore attento che i personaggi maschili sono spesso affiancati da personaggi femminili (il seminatore e la donna che impasta il pane, il buon pastore e la donna che smarrisce la dracma, i servitori che hanno ricevuto i talenti e le dieci vergini invitate alla festa di nozze).

4) Dal principio patriarcale della sottomissione alla scoperta della reciprocità solidale

Arrivati a questo punto, non si può non salutare positivamente quanto è affermato nella Mulieris dignitatem e in testi successivi di Giovanni Paolo II, che proprio sulla base di questi passi biblici e di altri simili, approfondiscono la dignità della donna e la complementarità tra aspetto maschile e aspetto femminile dell’essere umano sul piano antropologico, su quello psico-sociale e su quello spirituale, con un particolare ed intenso riferimento a Maria di Nazareth. Appare di rilevante importanza teologica il rapporto tracciato tra il mistero di Dio e la realtà umana, la relazione comunitaria in Dio e la relazione tra l'uomo e la donna. La realtà spirituale e i compiti della donna si basano pertanto su un’acquisizione antropologica fondamentale, e cioè che "ambedue sono esseri umani, in egual grado l'uomo e la donna, ambedue creati a immagine di Dio" (n. 6).

Tutto ciò comporta anche un’innegabile reciprocità. Partendo dall’idea che l'essere umano è relazionale, con una relazionalità collegata a quella di Dio, la relazionalità umana risulta essere il riflesso della relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo (n. 7). Questa fonda teologicamente l'uguaglianza e la reciprocità, e porta immediatamente a due conseguenze: la prima è l'assoluta parità sul piano del valore tra l'essere maschile e quello femminile. È un principio che anche l'apostolo Paolo, nonostante i condizionamenti culturali di cui risentiva non poteva non affermare con uguale chiarezza: "...quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,27-28)". E' un passo che esprime l'autentica dottrina cristiana sull'uomo e sulla donna, e che sembra correggere tutte le altre affermazioni paoline, mutuate dall'ebraismo, inclusa quella che riteneva solo l'uomo maschio vera e propria immagine di Dio: "L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo. E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo."(1Cor 11,7-9). È una concezione datata e oggi teologicamente superata, se la Mulieris dignitatem afferma esattamente il contrario.

La seconda conseguenza riguarda quella reciprocità tra uomo e donna, che è molto di più che semplice complementarità. Indica infatti che la questione di fondo non è su che cosa manchi all'uno o all'altra, ma la riscoperta che l'uno e l'altra sono soggetti uguali in dignità e solidarietà e quindi nativamente in riferimento l’uno all’altra. Questi due principi sono irrinunciabili e sono collegati al fatto che prendendo carne umana, il Figlio di Dio ha assunto la realtà umana in quanto tale e non esclusivamente quella dell'essere umano maschile.

Se questi sono i principi, non è però azzardato pensare che il peso della tradizione e il condizionamento culturale del patriarcato influenzi ancora oggi la prassi e le scelte della Chiesa, cosa che succedeva già a S. Paolo. Nella nostra situazione, a prima vista sembrerebbe affermato sul piano dottrinale il pieno riconoscimento della donna, tuttavia, a livello ecclesiale, molti passi ancora restano da compiere. È vero, tutti riconoscono superato il clima spirituale sfavorevole alla donna, considerata causa prima della colpa originale, artefice di seduzione e occasione di peccato. Dal punto di vista dottrinale, si può dire che oggi non esiste più nessuna delle pregiudiziali, che erano alla base dell'emarginazione della donna. Le scienze bibliche hanno fatto luce sull'artificio letterario che esprime l'idea del peccato come frattura creaturale risalente fino alle origini dell'umanità, mentre la teologia ribadisce che tanto la corresponsabilità umana che l'intervento della grazia agiscono in una realtà antropologica vissuta in solidum. L'uomo e la donna sono parimenti coinvolti non in base alla loro differenziazione sessuale, ma perché membri della famiglia umana. Le differenziazioni di sesso, che pur sono importanti e costituiscono la ricchezza umana, sono da recepire e gestire nella reciprocità e nella convivenza della diversità. Se è diventato sempre più chiaro che non l'esclusiva mascolinità, né la femminilità da sola, ma l'una e l'altra insieme costituiscono la realtà umana, restano però ancora da mettere in pratica le non poche conseguenze di una simile acquisizione teorica. Ciò vale per la società civile e, in misura ancora maggiore, per la Chiesa.