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APPUNTI DAL CONGRESSO INTERNAZIONALE DELLA SOCIETA’ TEOLOGIA EUROPEA – GRAZ 25-29/08/2001

Appunti e annotazioni di Giovanni Mazzillo

Premessa. Questi appunti sono nati come tali e tali intendono restare. Di ritorno al congresso della Società Teologica Europea, li avevo fatti circolare tra alcuni amici che vi avevano partecipato, venendo dall’Italia come me (pochi, troppo pochi, per la verità). Mi è stato chiesto di metterli a disposizione per il FORUM ATI di RdT. Lo faccio avvertendo sul loro carattere frammentario e eventuali inesattezze e anche interpretazioni personali. In qualche passaggio ho lasciato alcune mie telegrafiche annotazioni. Mancano gli apppunti sulla relazione di Lehmann, perché non ero presente.

Domenica 26/08. Tema del giorno: Affascinante varietà del cattolicesimo in Europa (Faszinierende Vielfalt des Katholischen in Europa)

Relazione principale: Otto Kallscheuer (Sassari) - Essere cattolici in Europa. Prospettive culturalpolitiche (Katholisch in Europa. Kulturpolitische Perspektiven)

Punto di partenza: Perniola, Del sentire cattolico. Un sentire senza altre identità, [ISBN: 88-15-08205-2001], che informa una tradizione del pensiero cattolico, poco appariscente ma costante, che privilegia l’esperienza sull’osservanza. A partire da qui si considera la tesi che sia possibile definire l’Europa dal cattolicesimo, con riferimeni a De Gasperi e Maritain, per i quali il potere politico è da limitare dal basso (con il federalismo) e dall’alto (attraverso un principio superiore). Spingendosi indietro, si fanno riferimenti fino ai Carolingi, portatori di un’idea europeista ante litteram. Tuttavia se l’Europa era allora una realtà di appartenenza, il principio è diventato problematico, perché l’appartenenza è tale, fino a chiedersi "Chi è in Europa e chi no?". Il diverso fa problema, è ciò avrebbe radici da ricondurre a una sorta di ideologia insita nell’identità romana, che si identificava con il valido e non con l’etnico, per cui il non-romano era da ricondurre a questo oppure da distruggere. Si è assistiti nella storia occidentale al "cannibalismo della civilizzazione", con il tradimento di quanti sono stati denominato, "barbari", "stranieri" "terzo" mondo, ecc. La tesi estrema di questa lettura storica è che Cesare prima e il papato dopo hanno contribuito a perpetuare questa situazione, sicché L’Europa non si può definire da questo cattolicesimo, che invece di accogliere, ha preteso di distruggere le differenze.

Una tendenza nettamente controcorrente è stata rappresentata da cardinale Niccolò Cusano, pensatore e operatore di conciliarità. Sebbene difendesse la centralità romana (cf. Concili di Ferrara e Firenze) si pronunciò contro l’idea allora caldeggiata da molti di una crociata contro l’Islam, ma non Cusano. Pur non contemplando nella sua visione utopica la separazione tra ecclesialità e politica, la sua indole era portata a unificare le differenze, senza stravolgerle o distruggerle. La via alternativa sembra essere stata quella della tolleranza (come in Locke),mentre la separazione tra l’elemento politico-culturale e quello religioso si diffuso in Europa con la Riforma prima e con la Controriforma cattolica, pur restando sempre problematica la distinzione tra realtà e idealità, come sarà anche nel marxismo. In ogni caso, dopo la prima utopia medioevale dell’unità europea (utopia religiosa), la seconda è quella di Novalis (utopia poetica), in rapporto con il pietismo. La sua opera La cristianità ossia l’Europa, contiene un sogno poetico-teologico sull’unità europea nel segno della fede religiosa.

Nell’epoca antecedente il Vaticano II era già presente una visione individualistica della fede. Nel mondo protestante era stata acutizzata da Schleiermacher. Nel cattolicesimo, l’unità d’Italia non aveva certamente favorito una posizione contraria. La separazione tra fede e storia rimaneva ben delineata nell’epoca della "guerra fredda", mentre in campo cattolico il quadro muta completamente con il Vat. II, quando "i nemici", tanto sul piano politico che sociale, sono trattati come partner. Si ammette il pluralismo religioso e la cattolicità entra nel moderno (superando le posizioni di Pio IX ed altri).

Sul piano sociologico, Habermas ha una sua concezione dell’Europa come realtà sociale complessiva che può e deve prendere posizione a favore degli svantaggiati mentre qualcuno, come Josè Casanova, vede nell’unità europea la possibilità per la difesa dei diritti umani. Ma la Chiesa – è da chiedersi – conserva oggi più l’eredità dell’istituzione o più quella della difesa del soggetto libero?

Ascoltando, in maniera del tutto personale, che tra l’accentuazione del valore dell’individuo e quella dell’istituzionalizzazione della fede, la domanda può riguardare la stessa "globalizzazione della fede", nel senso che un’identità religiosa non sembra possibile senza un pluralismo delle religioni. Ma proprio ciò non fa saltare ogni idea di Europa cristianamente unita, se non unica?

2. Relazione principale: P. Hünermann [al posto di David Tracy] Diversità del cattolicesimo europeo in un contesto ecclesiale globale (European Catholicism’s Diversity in a Global Church Context")

Che cos’è "cattolico"? Dai riformatori il termine è usato in contrapposizione ai protestanti. Talora indica associazioni e altri gruppi venuti dalla base, che in Germania ricevono riconoscimento solo dopo l’istituzionalizzazione della Conferenza Episcopale Tedesca. È importante rivedere le posizioni di Lamennais [vissuto tra il 1782 – 1854, cf. Della religione considerata nei suoi rapporti con l’ordine politico e sociale, con la teorizzazione della subordinazione del potere politico alla religione nota personale] per capire il movimento di questa visione del cattolicesimo. In ogni caso il concetto ha a che fare con il fatto che la realtà cattolica si conquista visibilità e pubblicità. Tre punti fondamentali:

1) problema - come è nato e che cos’è il cattolicesimo? 2) quali fondamenti teologici per i cattolicesimo? 3)il problema della sinodalità è collaterale al cattolicesimo?

C’è il problema della Chiesa globale e quella del contesto. Anche in Africa e Asia ci sono cattolici, ma ci si chiede come e quanto influiscano sulla società. C’è una varietà del cattolicesimo in Europa. Sotto Leone XIII nascono i movimenti cattolici. In Spagna, Italia e Austria, "cattolica" è anche la Chiesa di stato, ma in Germania ciò significa altro, assume una connotazione di confronto diretto con protestanti. Altre differenziazioni sull’elemento cattolico sono dovute al carisma dei leader. Caratteristiche e partiti nazionali influiscono sulle diversità. Gli ambiti sono anche diversi: l’università cattolica a Lovanio e altrove; l’accentuazione anticlericale in Francia, il dibattito sull’identità in Germania; mentre in Italia si rischia talvolta di cadere nel ghetto, come nel caso dell’università cattolica che è struttura a parte, non essendo la teologia in una facoltà statale. In Italia è da registrare la pressione dalla base per la religione nella scuola. Riviste e anche movimenti politici, che inizialmente sono conservatori, esprimono istanze sociali dal e nel mondo cattolico. Così la Democrazia cristiana è uno sviluppo del cattolicesimo in Italia. Importanti tra gli altri De Gasperi, Dossetti, Fanfani, La Pira. Nel Manifesto del CDU in Germania si parla di cattolici e protestanti per ricostruire la nazione. Dall’asilo fino ai gruppi che accompagnano l’esistenza matura si forma una mentalità e una personalità "cattolica" (o almeno così si vuole). Dal tempo di Costantino alla rivoluzione francese, la Chiesa appare comunque come una forma sociale ben precisa. Già in Cipriano la Chiesa prende la forma del senato. Anche le altre forme ecclesiastiche riprendono i modelli della società. Ad esempio, patronati in Spagna e Portogallo. Con la trasformazione della società, nella rivoluzione francese, cambia la situazione. Nascono più tardi le associazioni [Verbände] che non hanno come presidenti i vescovi. Si può parlare di cattolicesimo anche come presenza dei cattolici e delle loro istituzioni ufficiali a fianco dello stato, sul fondamento teologico è di una visione integrale dell’uomo e del mondo.

Una certa crisi tocca più tardi i cristiani impegnati in vari contesti. Si supera nei fatti l’idea di formare il cristiano autentico con i sacramenti e con l’educazione cattolica, a motivo dl pluralismo e dell’avanzata della libertà in tutte le sue forme con l’esaltazione dell’individualità. Negli anni 80 si sciolgono i rapporti soprattutto con la Chiesa. La Chiesa appare come istituzione più che come vita, che invece è rappresentata dai cattolicesimi. Si affermano momenti di esperienza e di vita, ma singolarmente e non come globalità della Chiesa. Questa diventa sempre più impresa di servizi.

Sulle prospettive, occorre ribadire che è indispensabile un’evangelizzazione dell’uomo di oggi, ma con la sua libertà e con la sua dignità, preceduta da una pre-egelizzazione che sia avvicinamento alla sua situazione e accompagnamento. La Chiesa deve diventare diaconale oltre che missionaria. Per una formazione in tal senso sono necessari cambiamenti nelle strutture ecclesiastiche, con l’accoglienza di forme moderne di socialità.

Mia domanda posta in aula a Hünermann: "Come può una Chiesa diaconale diventare anche una Chiesa "democratica"? Può, [darf] farlo (teologicamente), può farlo fattivamente [kann sie es faktisch], dovrà farlo [muss] perché storicamente vi sarà costretta, come è successo con la perdita del potere temporale, con il riconoscimento della libertà individuale, ecc?". Una risposta specifica non è stata data, ma in generale il relatore ha parlato della difficoltà a vivere nelle scelte concrete più che il dettato, lo spirito del Vaticano II.

Lunedì 27/08.

Tema del giorno: Il magistero cattolico: pietra d’inciampo e insieme chance per un rapporto creativo tra magistero e teologia (Das Katholische Lehramt: Stolperstein und Chance zugleich Zum kreativen Verhältnis von Lehramt und Theologie)

3. Relazione principale: Elisabeth Schüssler-Fiorenza (Harvard) (La lotta per la cattolicità della teologia (The Struggle for the Catholicity of Theology)

Abbiamo bisogno di una nuova visione e di una nuova coscienza per rinnovare la teologia. (Cf. In Sua Memoria della relatrice). Non è possibile una teologia cattolica senza lotta. Sin dai primi secoli sono presenti 2 tradizioni nella teologia cattolica: quella imperiale del controllo e del sospetto e quella del principio democratico, del dialogo e del "fare la verità". La lotta nasce per la compresenza trasversale in tutta la storia della Chiesa di queste due tradizioni. Cattolicità significa questa lotta per la verità, non solo all’interno della Chiesa, ma anche nei diversi ambiti in cui viviamo. La domanda del/sul femminile nella teologia ha a che fare con la cattolicità. Rahner ha parlato contro l’eurocentrismo teologico, ma c’è anche un "maschio-centrismo" nella Chiesa cattolica. Certamente la teologia richiede una coscienza della Chiesa, come richiede una coscienza del femminile. Dolls scrisse prima di diventare cardinale in "Cattolicità della Chiesa" che cattolicesimo significa anche superare le barriere e i pregiudizi, essere più radicali della democrazia, superando l’individualismo e le varie oppressioni, ritornando alla profezia dei profeti d’Israele. È la cattolicità del dialogo e del riconoscimento del valore degli altri e non quella della censura e della "curia" (che era l’appartenenza al "signore" al Kyrios, da cui, per alcuni, deriva la parola ekklesìa). Oggi è presente piuttosto l’autoritarismo nella Chiesa cattolica, invece di un’ekklesìa come assemblea. E tuttavia Gesù aveva ammonito la Chiesa a non usare il principio del potere e del dominio sugli altri. Le strutture del dominio sono eredi della romanità. Da qui l’assolutismo romano. Per cui spada e croce, controllo delle persone e delle coscienze. Le categorie sono sempre tra padre e figlio, con sottesa concezione maschilista, fino a dire che Cristo può essere rappresentato solo da maschi. Perciò non esiste nella Chiesa una democrazia. Si parla della democrazia nella società, ma non nella Chiesa. Il Vaticano II non ha cambiato radicalmente le strutture di dominio, ma ha solo cercato di limitarne il peso. In questa maniera l’eredità è stata prevalentemente quella di carattere romano, quando, invece, se la Chiesa è originariamente "sinagoga", è assemblea e su questa linea erano anche così la ecclesia e la basileia. La relatrice concludeva che nonostante la validità di alcuni principi teorici sulla libertà umana, non si affronta il problema delle strutture oppressive anche nella Chiesa. La cattolicità della Chiesa, pertanto, non è oggi presente nella sua realtà originaria, che evidenziava il servizio e la collegialità anziché il potere e la centralità. In prospettiva, invece, occorre ripartire dal battesimo, con la consapevolezza che se siamo popolo di Dio, siamo non solo pellegrini, ma fraternità (e corrispondentemente "sorellità") di uguali. Cattolicità è allora una categoria pneumatologica. Nella Bibbia sette colonne costruiscono la casa, tutti sono invitati tutti alla sapienza. In questo spazio aperto si apre la multiculturalità e si realizza la Chiesa (cf. Pr 9,1-4).

4. Relazione principale: Michael Deneken (Strasbourg-Cedex) Il magistero cattolico: insieme pietra d’inciampo e chance (Le Magistère catholique: en même temps pierre d’achoppement et chance?)

Tre punti: 1)La crisi della modernità; 2) In difesa del magistero come male necessario; 3) Attualità.

1) La crisi dell’autorità è un fatto culturale e storico. Arma nucleare è la credibilità. Nell’ortodossia l’autorità è invece collegiale, sinodale ecc. Crisi anche dell’esercizio nella mondializzazione della Chiesa. Dicono in molti, e non si può negarlo in linea preconcetta, che Giovanni Paolo II ha avuto più potere di altri papi per il sopraggiunto potere mediatico. E tuttavia enormi mutamenti sociali hanno reso difficile il magistero e hanno ancora reso possibile che fosse noto qualcosa come il contrasto tra Ratzinger e Kasper su un documento magisteriale, come la "Dominus Iesus". Ancora c’è da indicare l’odierna crisi della verità. L’incontro di Assisi tra rappresentanti di diverse religioni ha aperto una breccia nel monolitismo e offerto una possibilità concreta all’espressione di un pluralismo religioso di fatto.

2) Ci sembra di poter affermare che la teologia non è un male necessario, ma una vera e propria necessità. La confessione apostolica richiede la norma normans, cioè il criterio principale della Scrittura, collegato alla sua interpretazione. Ma ciò significa che la separazione tra magistero (che dirime le controversie importanti) e la teologia (che solleva le questioni e spinge verso gli approfondimenti) non solo è utile, ma è necessaria. La teologia o è della Chiesa o non esiste. Il magistero è da collegare alla funzione profetica del popolo di Dio. Il sensus fidelium ripropone che il magistero "cum rivelatione necessario concordat" (LG).

E’ importante riprendere, a livello ecclesiologico, la nozione della ricezione attiva, derivante dalla corporeità, oltre che dall’autorità della Chiesa. La ricezione attiva o la non ricezione esprime nei fatti il sensus fidelium per ciò che riguarda la fede relativamente alla prassi storica concreta. Alla luce di ciò, ci si deve chiedere: L’humanae vitae è allora un problema di pura e semplice disobbedienza (mancanza di disciplina) o di non ricezione da parte del popolo di Dio? (Congar). La ricezione è da valorizzare come realtà profetica dell’intera Chiesa in quanto popolo di Dio. Il Vaticano II sottolinea l’importanza dell’intero popolo di Dio nel contesto dell’autenticità della fede. La neoscolastica, invece, evidenziava solo la infallibilitas in docendo (l’infallibilità nell’insegnare) trascurando la infallibilitas in credendo, che riguarda il senso di fede dei fedeli e pertanto la ricezione di una "verità" proposta come tale (infallibilità nel credere). Invece è partendo da ciò che crediamo (in credendo) che possiamo restare ancorati a ciò che si insegna (in docendo). Nella Chiesa non viene prima l’insegnamento e dopo la fede, ma l’insegnamento dipende dalla fede ed è sempre collegato ad essa. Il magistero è affiancato dalla dimensione profetica, e ciò per una ragione ecclesiologica intrinseca.

3) Due esempi di come affrontare il rapporto tra teologia e magistero. Il primo modello sottolinea che si tratta non di giustapposizione di forze contrapposte, ma di realtà di fede dinamicamente integrate (cf. J. Doré, con il suo articolo su teologia e magistero nella rivista "La vie nouvelle"). Una diversa posizione sostiene quella visione piuttosto monistica, di stampo monastico, che vuole tutto ricondurre alla funzione episcopale (cf. Lustiger), ritenendo che i vescovi devono anche suscitare le condizioni necessarie per la ricerca teologica, sempre e comunque da ricondurre alla comunione con Cristo e con la Chiesa. Le conseguenze sono che è allora la Chiesa che suscita, controlla, anima e che i vescovi debbono insegnare teologia. Nella prima concezione la teologia ha il compito dell’accompagnamento della società, prendendo sul serio le sue richieste e le situazioni sociali. Nella seconda si rifiuta sostanzialmente l’illuminismo e ci si rifugia nel modello patriarcale.

In realtà il Vaticano II dà grande valore all’episcopato, ma ribadisce anche che il magistero è sotto la Parola (cf. Dei Verbum) e che l’annuncio è da condurre in maniera pastorale e collegiale. Specifico del magistero è l’auctoritas, specifico della teologia è la mediazione culturale (cf. Lumen gentium, n. 20) e la competenza dagli argomenti. [In questo contesto, annoto che è importante quanto lo stesso magistero cattolico ha acquisito riguardo della libertà di ricerca, ritenendola "Condizione fondamentale, … perché la teologia progredisca … essa non può avere dei binari prefissati davanti a sé, salvo i dati obiettivi della fede e le definizioni o dichiarazioni autentiche del magistero, nel grado e a quel livello di certezza in cui esso intende proporla" (Episcopato italiano, Magistero e teologia nella Chiesa, Roma 16 gennaio 1968; ECEI 1/1509)]. Sul ruolo del magistero rispetto alla teologia, occorre dire che spesso i testi procedono per analogia, ma se si esagera sul fatto che il magistero abbia il controllo della teologia, dal momento che il popolo di Dio non ha mezzi per esprimersi, pur possedendo il sensus fidei, l’intervento del magistero rischia di scadere in atto repressivo. La verità, al contrario, non è solo da "servire", ma, in quanto è anche amministrata, è "verità servente", al pari di Cristo, che pur essendo la Verità è "come colui che serve". Nella società moderna sono due i poli che si contrappongono: necessità e libertà. Ma qui si solleva un problema di non poco conto: "Può il magistero non rappresentare più di una metà dell’umanità, escludere l’opinione di tanti, e di tante di chiese separate? Occorre passare da una teologia reattiva a una teologia creativa. Se la verità ci rende liberi, non si può essere cattolici gli uni contro gli altri, ma solo gli uni in relazione agli altri.

Annotazioni prese durante la "Tavola rotonda" (Podiumsdiskussion)

Anne Jensen (Protestante): Ciò che maggiormente si avverte dopo le precisazioni in materia ecumenicaz è l’amarezza di non poter celebrare insieme l’eucaristia, ma solo le liturgie della Parola.

Grigorios Larentzakis (Ortodosso): che cosa significa "cattolico" e che cosa significa l’Europa? Abbiamo comuni responsabilità. I documenti della Congregazione non sono infallibili (almeno così rispondeva Ratzinger al metropolita, che aveva chiesto espressamente quale fosse il loro valore). L’esclusivismo ecclesiologico e soteriologico non è sostenibile. Cosa vuol dire "cattolico" anche per gli ortodossi? Una definizione confessionale è insufficiente. La traduzione "allgemein" (generale) considera la cattolicità solo in maniera organizzativa, ma non soddisfa. "Universale" indica l’estensione (in senso quantitativo: diacronicamente e sincronicamente) e qualitativo (valore della Chiesa particolare). Sull’Europa, occorre chiedersi: "Abbraccia solo l’Europa centrale o abbraccia il suo Sud (Grecia ecc.)?". L’Europa è da considerare anche in riferimento alle sue radici cristiane, ma senza perdere il suo pluralismo. Dunque occorre considerare l’Europa in maniera ecumenica. L’assemblea ecumenica di Graz rappresentò un’occasione per migliaia di persone di venire dall’Est verso l’Europa occidentale. Ci fu l’esperienza di una comune preghiera e di una medesima confessione di fede, nel superamento del monolitismo. "Chiese sorelle" compare in questo contesto e conserva il suo valore anche pratico e storico. Nei testi di Graz ci sono realtà concrete: diritti umani in sottofondo, disarmo ecc. Speriamo in un prosieguo a Strasburgo.

E. Chr. Gerhold: la cattolicità ci chiama a realizzare la riconciliazione in Europa. Fondamentale è la Dichiarazione di base (di Graz): "siamo coscienti che Lo Spirito Santo ci ha convocato, anche se conosciamo le nostre differenze ecclesiologiche. Ciò che ci muove è la consapevolezza che Cristo vuole la riconciliazione". Al contrario, la Dominus Iesus è di natura prevalentemente sacramentale. Si ribadisce in maniera decisa che la Chiesa subsistit nella Chiesa cattolica. C’è un’accentuazione prevalentemente istituzionale. Eppure la Chiesa esiste nelle concrete chiese locali. Cf. anche la Confessione augustana. per l’Europa, si tratta della sua cristianizzazione e non della sua cattolicizzazione. Occorre dare testimonianza in un’Europa sempre più secolare e lontana da Dio. Sulle religioni e la teologia occorre ribadire che il dialogo deve sempre essere collegato a ciò che gli altri ritengono fede o religione. La cattolicità non si potrà più disgiungere dall’ecumenismo.

Dorothea Sattler (cattedra di ecumenismo a Münster): La Dominus Iesus sembra non tener conto di nulla di ciò che è stato prodotto a livello ecumenico, nemmeno della dichiarazione comune sulla giustificazione. Sono sviluppate le strutture, ma non il rapporto con il Vangelo. Il documento ha dato ragione a quanti in Germania erano distanti dalla dichiarazione sulla giustificazione.

Martedì (Università di Maribor - Slovenia)

Tema del giorno: Ufficialmente riconosciuta, sopportata, non gradita! Teologia in un contesto postcomunista (Öffentlich anerkannt, geduldet, unerwünscht! Theologie im post-kommunistischen Kontext)

5. Relazione principale: Janez Juhant/Stjepan Kušar (Ljubljana/Zagreb) La teologia cattolica tra il comunismo autocratico e il liberalismo nazionale (Die katholische Theologie zwischen dem Selbstverwaltungskommunismus und dem nationalem Liberalismus)

Janez Juhant. L’intento è di dare uno sguardo all’importanza della religione nella situazione attuale, partendo dalla situazione locale, ma con proiezione globale. Le nostre speranze, nei paesi dell’Est, sembrano essere state deluse. Non basta proprio essere postcomunisti, occorre pensare a una società più umana e più cristiana. Il liberalismo [in realtà più esattamente sarebbe il liberismo economico, mia annotazione] oggi combatte la Chiesa, al pari del comunismo di ieri, sebbene in maniera poco violenta e tuttavia reale; combatte la coscienza cristiana. La "rivoluzione" mostra così le sue radici "moderne". La nuova strumentalizzazione dell’uomo passa attraverso la rivoluzione del liberalismo. Il ruolo della Chiesa di ieri non è discusso, occorre inserire persone più competenti a tutti i livelli. L’integrazione della Slovenia in Europa è una meta, ma anche un problema. Occorre superare la dimensione nazionale per una visione più internazionale.

Stjepan Kušar. La Croazia ha più ferite da guarire. La questione del potere ha contrassegnato il passato, ma la democratizzazione della Chiesa e della società deve essere accompagnata da una personalizzazione dei rapporti e delle strutture. La Chiesa cattolica ha influito sulla società attraverso la caritas e altri interventi. Importante è oggi il ruolo dei laici che hanno studiato teologia. In Croazia la situazione era diversa: più libertà di intervento nelle strutture. Oggi l’autonomia del soggetto richiede una integrazione più comunitaria e più libera, dopo l’integrazione forzata. Qui contro la depersonalizzazione del globale è importante il rinnovamento della Chiesa. Anche qui, e soprattutto oggi, c’è bisogno di liberazione dell’uomo. Infatti gli interessi veramente umani non sono presi in considerazione, ne deriva una vitale importanza della communio come Chiesa e come ecumenismo. La teologia ha il compito di chiedersi chi è l’uomo di oggi? Ci sono possibilità per la Chiesa oggi? per Essere in comunità? per un ethos umano in dialogo? Siamo pronti a lasciare da parte il potere per privilegiare la riserva escatologica? Siamo pronti ad accettare l’altro?

6. Relazione principale: Andreas Mátá-Tóth/Paul Mikluščak (Budapest- Bratislava) Teologia dal secondo mondo?Teologia regionale nei paesi della riforma dell’Est-Centro Europa (Theologie aus der Zweiten Welt? Regionale Theologie in den Reformländern Ost(Mittel)Europas)

Andres Mátá. Mi esprimo per "una Teologia dal 2° mondo". Ci sono l’Ungheria e la Slovacchia dietro i due contributi. Sono implicite domande esistenziali per una teologia regionale. C’è il problema di una patria, di un’identità, di un futuro. Una teologia regionale muove dall’invito della teologia a questa parte di Chiesa di liberarsi dalla precedente teologia pre-conciliare come unica valida e di liberarsi dall’imitazione-importazione della teologia straniera. Occorre accettare la regionalità come ha fatto la teologia della liberazione. La regionalità è pertanto da sviluppare a partire dalle proprie particolarità culturali e da una propria storia non ancora rielaborata. Ciò anche perché popoli interi sono stati "costretti" alla libertà, senza esserne maturi. Problematica è anche la divisione tra cattolici e ortodossi, una divisione trasversale alle regioni, perché la identità è stata tagliata a metà. Cosa significa sviluppare una teologia dalla base del 2° mondo? Significa agganciarsi alla scienza e alla realtà popolare e storica. E’ anche necessario creare una rete efficiente di strutture di ricerca: istituti, biblioteche, discussioni, dibattiti. Molti pensano che la Chiesa è bloccata dal liberalismo. Occorre partire dalle esperienze.

Domanda accennata, ma non affrontata direttamente: "Ma dove sono le esperienze, le comunità, la vitalità di ciò che costituisce il supporto della riflessione? Se la teologia è riflessione collegata a un’esperienza ecclesiale e storica di fede, quali sono queste esperienze e che cosa le accomuna? C’è una progettualità e un comune cammino, oltre che un comune sentire?".

Mikluščak. Si possono prendere pesci per mangiarli da un acquario in caso di necessità, ma non si può fare un acquario con dei pesci da mangiare. Intanto la Chiesa in questo nostro mondo postcomunista dovrebbe essere oasi della libertà. Abbiamo sospirato la libertà, ma la sospiriamo ancora? C’è veramente bisogno di coraggio per nuove vie, per nuovi rapporti. Occorre l’audacia della libertà davanti a Dio e davanti al proprio futuro. Ma c’è libertà nella Chiesa? Se la Chiesa è da definirsi a partire dal suo servizio [Hünermann], occorre superare il clericalismo, vivere il servizio, evitare la costrizione. La Chiesa sopravvive dove la sua gerarchia diventa più "debole" e più umile, meno istituzionale. Infine, occorre dare risposte al bisogno di identità dell’uomo, ma occorre lavorare perché non ci si isoli. E’ necessario costruire una porta, non per chiudere la casa, ma per invitare gli altri a varcarne la soglia. Da qui sono necessari dei punti identificativi del cattolicesimo per invitare gli altri. Rivedo la storia di questa regione nella mia storia personale. Mi ammalai a 20 anni a motivo della teologia, perché fui deluso da essa. Sotto il comunismo potevo andare avanti anche senza credere alla sua dottrina, ma non era così per la teologia. Non potevo continuare a studiarla senza aderirvi interiormente, eppure essa non era soddisfacente. Era la teologia neoscolastica, l’apologetica, la dottrina che non dialoga, ma ha solo certezze. Mi sembrava confinante con l’ideologia, ma non potendo rinnegarla, mi ammalai seriamente. Guarii solo quando incontro una teologia diversa, che prende sul serio l’uomo e i suoi problemi. Incontrando la teologia di Rahner guarii dal mio disagio e ora vedo un presente e un futuro oltre che per la teologia anche per la vita.

Mirko Djordievic (Belgrado). L’Ortodossia non ha avuto il personalismo che ha avuto la teologia occidentale e ciò costituisce un grande problema, accentuatosi con la fine del collettivismo. L’individuo si è trovato solo, senza certezze e anche senza maturità per affrontare i problemi della relazione interpersonale. In mancanza di questo supporto, la religione, piena di simbolismi e di ritualità, diventa identità nazionale. L’ortodossia che ha resistito agli ottomani, al comunismo, resiste oggi anche alla modernità, sembra resistere anche all’ecumenismo. Alcuni caratteri comuni nei Balcani. Non c’è un ecumenismo se non ufficiale. Esso si manifesta come sottolineatura delle differenze. Frase esemplare di alcuni vescovi: "Noi ortodossi preghiamo per tutti, ma non con tutti". Si parla di complotto dell’Occidente verso l’Oriente. Il Concilio Vaticano II non sempre è apprezzato dagli ortodossi. Qualcuno è arrivato a chiamarlo "un rinascimento di cadaveri". Così anche il rapporto con la democrazia è difficile. Da 12 secoli nell’ortodossia non c’è stato concilio. Una altra grave carenza è il fatto che non esiste nell’ortodossia una morale sociale, oggi ancora più necessaria di fronte alle sfide della storia.