ANTONIO
BARTUCCI
Introduzione al corso sulla ‘Ndrangheta’
Chiesa
e ‘Ndrangheta’
1.
S.E. Rev.ma Mons. Luigi Cantafora, nella Sua Lettera del 25 luglio 2014
indirizzata ai Direttori dei tre Istituti Teologici di Cosenza, Catanzaro e
Reggio Calabria scriveva:
“Nell’ultima assemblea straordinaria della
conferenza Episcopale Calabra del 17 luglio u.s. l’episcopato calabro ha
concordato sulla necessità di provvedere alla conoscenza del noto e triste
fenomeno della mafia, durante l’esplicitamento del previsto curriculum studiorum presso i nostri
Seminari.
(…) Pertanto, con la presente sono a chiedervi
lo studio di alcune proposte da presentare alla prossima riunione della CEC…al
fine di pervenire ad una proposta di
sintesi da offrire all’attenzione degli Arcivescovi e Vescovi della Calabria
(…)”.
Mi era parso di poter cogliere in queste
parole una preoccupazione di carattere pastorale non disgiunta da una
implicita richiesta di natura epistemologica:
da
un lato l’invito a individuare le vie di evangelizzazione, nonostante tutto,
del fenomeno della mafia; dall’altro il coinvolgimento dei tre Istituti
Teologici Calabresi, sollecitava l’elaborazione di adeguati strumenti
conoscitivi delle tematiche e delle problematiche emergenti dallo studio del fenomeno
delle mafie e dei comportamenti sociali deviati in genere.
2.
Sotto il profilo pastorale
2.1 Una prima considerazione preliminare appare
necessaria per contestuallizzare meglio il nostro assunto.
L’ecclesiologia del Vaticano II, già racchiusa
nei termini sacramento e ‘mistero’ abbandonava
la concezione puramente istituzionale della Chiesa per immergere il suo sguardo nella Trinità stessa, nelle
intenzioni profonde delle parole e dei gesti di Gesù, alla ricerca di una
sintesi tra l’organizzazione e il carisma, tra la stabilità dell’organizzazione
e il dinamismo dello Spirito”: premessa, questa, necessaria ad ogni volontà di rapportarsi, comunque, con
tutte le realtà del mondo contemporaneo, nessuna esclusa.
Su questa linea il card. Ioseph Ratzinger,
a proposito dell’eredità culturale
lasciata da Giovanni Paolo II scriveva:
“…
il cristianesimo deve riacquistare la capacità di dirsi in un mondo tanto
mutato.
Così come Tommaso d’Aquino dovette
ripensare il cristianesimo e darvi forma in un’epoca segnata dall’incontro con
il giudaismo, con l’Islam e con la cultura greca e latina, così come il cristianesimo
subì un ulteriore processo di ripensamento agli albori dell’era moderna…così
anche oggi, in un momento storico in cui si verifica una svolta epocale,
l’identità universale della Chiesa deve essere preservata senza riserve, ma
deve anche essere riscoperta la capacità tipica di ogni organismo vivente di
dirsi in maniera nuova e ripristinare un dialogo con il presente…”
L’identità universale della Chiesa
richiamava l’urgenza di una necessaria proiezione sull’assetto mondiale del
Chiesa del futuro:
“…bisogna andare cauti nel descrivere il
futuro. Ciò che è comunque chiaro è la diversa composizione del potenziale di
popolazione su cui si reggerà
Non sarà più dominante come un tempo la
tipologia umana occidentale, con il suo modo
di rapportarsi al mondo. Subentreranno altri temperamenti, altri carismi
che lasceranno la loro impronta sulla Chiesa.
Per questa ragione ciò che più conta è
a mio avviso l’essenzializzazione, per
usare un’espressione di romano Guardini.
Bisogna evitare di elaborare
precostruzioni fantastiche di qualcosa che potrà rivelarsi molto diverso e che
non possiamo prefabbricare nei meandri del nostro cervello per concentrarci invece
sull’essenziale che potrà trovare nuovi modi per incarnarsi ed
autorappresentarsi (cfr.Ioseph Ratzinger, Dio e il mondo, Edizioni san Paolo, 2001).
Si trattava, insomma, di interrogarsi
sulla capacità di cristianizzare oggi il
mondo con la serietà, l’umiltà e la fermezza calibrate in modo da non costruire
a proprie spese e secondo le proprie iniziative un ’mondo cristiano’; ma
cristianizzare il mondo così come si va costruendo.
L’Evangelii
gaudium di papa Francesco contiene le linee programmatiche della
ricostruzione di una Chiesa in una libera società, di una Chiesa non autoreferenziale,
di una Chiesa che ha il coraggio di oltrepassare le colonne d’Ercole della
Storia e navigare nell’oceano dell’umanità
spesso tempestoso e imprevisto.
L’urgenza di praticare una metanoia
- termine che dalla valenza non solo
religiosa, ma sociale e universale, a volte, laica – che si traduce in una reformatio
intra ed extra ecclesiam, è la premessa per mettersi nelle condizioni di un
dialogo e di un relazionarsi, oggi con tutte le realtà, soprattutto con quelle che si pongono contra extra legem.
Per il card. Kasper “le sfide, per
esempio, poste dal terrorismo - ma l’osservazione vale pure a proposito di
comportamenti di tipo delinquenziale - sono rappresentate dal dialogo critico e
costruttivo con la moderna cultura pluralistica
secolarizzata ...” (W. Kasper,
Non ho perduto nulla, Edizioni Dehoniane, Bologna, 2005, sottotitolo: Comunione,Dialogo ecumenico,
Evangelizzazione)
3.
2.2 Una seconda riflessione, apparentemente
lontana dal nostro discorso, può invece risultare utile e stimolante se riferita alla pretesa di
modelli organizzativi della società che intendono risolvere i problemi sociali
svincolandoli dall’ordine giuridico e di cui la teologia è chiamata a prendere
sempre più coscienza e se riferita ai diversi tentativi di realizzare, nella
storia, società parallele alla società legittima fondata sull’equità. sul
diritto e sulla giustizia.
La domanda è: quale la modalità della costruzione della autentica Civitas
Dei non scindibile dalla civitas hominis e quale il suo rapportarsi, restando
fedele alla propria identità, con realtà
che contengono il tentativo, a volte silenzioso, altre volte apertamente invadente, altre volte
violento di cesaropapismo e di controllo sociale della fede ?
Il rischio, insito nel processo del
dialogo con le culture, di un sorta di contaminatio
che spesso snatura il vero relazionarsi con l’altro nello spirito della charitas
in veritate, consiste nella possibile acquiescenza ad ogni organizzazione
statale ed extrastatale che si vorrebbe porre, in ultima analisi, come
risolutiva dei problemi
indipendentemente dalla fede in Dio trascendente.
Per Gilson, la storia stessa ha dimostrato
lo scacco e l’impossibilità di tutti i possibili esperimenti della Città di Dio
fuori dalla fede:
“ Se
si ricava una lezione dalla storia della Città di Dio e dai suoi cambiamenti
che ella ha subito nel corso dei secoli è, dunque, innanzitutto, che essa non è
soggetta a metamorfosi; ma è anche che ogni tentativo inteso a usurparne il
titolo ed il fine porta disgrazia alle società umane che pretendono di
realizzarla sulla terra.
Il carattere comune di questi tentativi è
di sostituire il legame della fede con un legame umano, quale la filosofia o la
scienza, nella speranza che esso possa universalizzarsi più facilmente della
fede e che ne risulti agevolata la nascita di una società universale temporale.
L’operazione si chiude regolarmente con un
insuccesso.
Ed è importante saperlo e dirlo in un
tempo in cui tanti spiriti religiosi si sforzano di dare un senso a nozioni
importanti come quelle di Europa e di Umanità”.
Siamo già sul terreno concreto dell’ex-sistere inteso come luogo in cui l’essenza si storicizza e
delle contraddizioni dialettiche di cui la prospettiva gilsoniana coglie la
complessità e “…postula l’esistenza e il riconoscimento preventivi
della Chiesa stessa (…) ogni società che si rifà alla Chiesa deve accettarne la
giurisdizione religiosa e, a maggior ragione, morale, ossia estesa a tutto
l’ordine temporale nella misura in cui si pongono problemi di moralità.
Che non sono i soli che si pongono, ma
che si pongono dovunque: a proposito dell’ordine politico e sociale, la cui
tranquillità si chiama pace; a proposito della guerra, che può essere giusta o ingiusta ma che in
nessun caso sfugge alle regole del diritto e della morale…” (EGilson, Le metamorfosi della Città di Dio,
Siena, 2010)
4.
Sotto il profilo epistemologico si tratta,
invece, di affrontare seriamente il problema antropologico, in strutture e
istituzioni, definite o ancora da individuare, dove si studi e si programmino ricerche per comprendere
l’uomo nel contesto del nuovo umanesimo ispirato ad una cristologia non
svincolata dalla storicità anzi, in grado di essere guida per la costruzione di
un nuovo homo spiritualis
perfettamente inserito nell’età della Scienza e della Tecnica.
E’ auspicabile, pertanto, la nascita di un ‘luogo’, come un Osservatorio Permanente
sulle mafie o un vero e proprio Istituto
di Studi sull’Uomo e sui Diritti umani, nel quale la passione per cultura sia unita ad una
percezione dell’umanità sofferente.
Il superamento del fenomeno delle mafie e, più in generale, il superamento
del fenomeno della corruzione e dei
comportamenti deviati, al di là delle valide risposte immediate – come questo
Corso sulla ‘Ndragheta’ richiede, infatti, i tempi lunghi dello studio
dell’uomo in modo da fornire alla persona umana una valida coscienza della
propria dignità, in un processo educativo che ha il suo punto di riferimento
nel Verbo.
Auguro, dunque, che da questo Corso ne
escano fuori idee stimolanti e operative che possano trovare soluzioni valide
nei tempi e nei modi adatti.
Sac. Antonio Bartucci
Prefetto
degli Studi dell’ Istituto Teologico Cosentino